Il commento della finale in inglese con Steve Flink
Il dominio “salomonico” di Federer e Nadal: non era mai successo nella storia
NEW YORK – La finale dell’US Open è andata come si prevedeva che andasse. Tre set a zero e Kevin “had to go home, back in Illinois”. Anche quelli che speravano in un match equilibrato pensavano che al massimo Anderson avrebbe vinto un set, molto difficilmente due, di certo non tre. D’altra parte in 4 precedenti duelli, tutti regolarmente perduti con il coetaneo spagnolo, il finalista più alto nella storia degli Slam con i suoi 203 cm aveva perso 9 set e vinto uno soltanto.
LA PARTITA: ANDERSON NON POTEVA DI PIÙ
Alla prova dei fatti, e di quella che per lui trentunenne era la prima finale di uno Slam è successo in realtà che il buon Kevin, sudafricano trapiantato da tempo in Illinois con la mogliettina Kelsie (spiritosa blogger) non è mai andato vicino a vincere un set né a strappare la battuta a Rafa Nadal. E’ arrivato una sola volta a 40. E soltanto nell’ultimissimo game, cioè sul 63 63 54 quando anche il “disumano” Nadal è diventato umano per 3 minuti (su 2 h e 27m complessive di partita): “Negli ultimi due game ho servito peggio” avrebbe confessato, bontà sua, Rafa con la mega Coppa da lui vinta 3 volte (anche nel 2010 e nel 2013) che gli troneggiava davanti nella sala delle conferenze stampa, dove di solito c’era una meno luccicante bottiglia di Evian.
In tutti gli altri game però no. Era stato disumano. Si era parlato tanto dello straordinario servizio di Anderson, prima della finale, dei suoi 19 aces di media, dei suoi primi 3 turni senza aver mai subito break, e invece alla resa dei conti gli ace sono stati solo 10 (contro 1), la percentuale di prime sotto al 60% (59%) mentre Nadal è stato sul 63% e di fatto ha servito meglio e risposto… molto, ma molto meglio grazie anche a una scelta tattica che poteva apparire discutibile: stava almeno quattro metri dietro la riga di fondo, a volte cinque. Ad ogni sbracciata i giudici di linea che gli stavano alle spalle dovevano avere i riflessi pronti per scansarsi ed evitare una mulinata di dritto o di rovescio che avrebbe potuto spaccare loro la testa.
Perché Anderson, soprattutto nei punti pari, non sia riuscito a giocare uno slice esterno sul rovescio di Rafa non so. Forse non gli riesce tanto. Serve molto bene esterno sui punti dispari, ma lì andava a sbattere sil dritto del mancino di Manacor.
Però durante il match veniva a tutti di contare, me compreso con i miei ripetuti tweet, i pochissimi punti che concedeva Rafa. Infatti il maiorchino ha perso appena 15 punti in 16 turni di servizio, con Anderson che è arrivato soltanto 4 volte a 30 e ha perso 5 volte i game di risposta a zero.
Ma il dato forse più curioso e sorprendente perché insolito riguarda il Rafa a rete: lì ha fatto 16 punti su 16. Percentuale del cento per cento! E non sono state tutte volée facili. Ora è vero che Rafa sceglie bene il momento per andar a rete, quando lo fa di solito ha già fatto il punto per tre quarti, ma in questa finale ha fatto anche un paio di serve&volley e a rete ha giocato anche volée difficili per un vero volleador. Come quella che gli ha dato il rassicurante break del 4-2 nel secondo set. Di sicuro Rafa vollea meglio di Djokovic. E anche meglio del primo Federer (quello che secondo uno dei suoi primi coach, lo svedese Peter Lundgren, “A rete Roger si sente come uno che si tuffa in un mare infestato dai pescecani”. Lo disse a me all’aeroporto di Melbourne). Il Federer allenato da Edberg fece sostanziali progressi anche nell’attidudine mentale al tennis a rete, ancor prima dell’invenzione di Cincinnati, la celebre SABR (sneak attack by Roger).
16 volée in tre set, su un totale di 102 punti conquistati da Rafa, non sono neppure pochissime. Ricordo sempre quella finale di Wimbledon 2002 fra Lleyton Hewitt e David Nalbandian dove non si giocò neppure una volée. A rete si trovarono soltanto per la stretta di mano finale.
Nadal ha praticamente fiaccato la resistenza di Anderson nei primissimi game. Dopo tre turni di servizio ciascuno la differenza era abissale: Anderson aveva dovuto giocare 42 punti nei game di servizio (non ho contato con precisione quante prime ha messo e quante seconde, ma nel primo set ha servito il 60% di prime… deduco che avrà servito circa una sessantina di battute in 3 game! Immaginatevi lo stress, e anche la fatica) e Rafa in 3 game vinti a 15, 0 e 30 appena 15 punti, forse 20 battute. Un terzo e zero fatica, zero stress.
Ok, dopo 35 minuti i due finalisti si trovavano ancora in equilibrio, 3-3, ma Anderson, per solito pallido assai, era già rosso e pareva respirare a fatica. Rafa era tranquillissimo, mai visto neppure il minimo segno di nervosismo nonostante le 2 palle break mancate nel terzo game di 18 punti e 13 minuti, le altre due palle break nel quinto game di 16 punti e 9 minuti. Da lì in poi avrebbe fatto 4 game di fila, brekkando Anderson due volte, e poi nel sesto game nel secondo set il terzo break che lo avrebbe deciso. Anderson non ha giocato male (“Il dritto che ha sbagliato sulla palla break nel settimo game del primo set ha cambiato il match” è stata la sentenza di Nadal).
NADAL FA 16. STACCA NOLE, E ROGER…
Ma la cronaca, nei punti e nelle chiavi tattiche, l’hanno già svolta con straordinaria tempestività – tutto era on line un minuto e mezzo dopo la fine della partita – Vanni Gibertini e Luca Baldissera, i miei due “assi”. A me tocca il compito piuttosto ingrato di… ripetere quanto avevo scritto in sede di presentazione quando avevo già cominciato ad assegnare il terzo US Open a Rafa dopo la sua vittoria su del Potro (che gli aveva spianato la strada eliminando Roger Federer). Con 16 Slam in bacheca adesso Rafa si è avvicinato ai 19 di Roger Federer (ora sostenuto anche da..) che ha cinque anni di più e statisticamente dovrebbe “smettere” di vincere prima di lui. Nell’anno delle sue 36 primavere Roger ha già fatto miracoli a vincere ancora due Slam. Per quanto potrà continuare ancora, sebbene nessuno dubiti della sua classe cristallina, della sua straordinaria capacità di giocare più di tre ore senza quasi sudare e affaticarsi? Un anno? Due?
Nessuno può saperlo. Nessuno può scommettere se la sua schiena, la parte apparentemente più fragile del suo corpo, reggerà e per quanto.
Certo il discorso della salute e della sua importanza non vale solo per Roger: Rafa lo ritira fuori ogni piè sospinto dopo essere stato “bloccato” da vari infortuni, ginocchio e polso, nel 2012, nel 2014 e nel 2016. “Se sogno di superare Federer negli Slam? No, non ci penso proprio, il mio unico sogno è continuare a stare bene. Io mi sento fortunato. Io infatti guardo alla mia carriera e non a quella degli altri, né di Roger nè di altri…Non ho mai pensato troppo a queste cose. Voi lo fate… io no. Prima di tutto non esistono solo gli Slam, il tennis non è solo quello… poi io sono felice per quello che faccio io, per quello che ho vinto io. Sennò sarei come uno che è molto ricco ed è geloso di uno che è più ricco, di uno che ha tante case e guarda ad un altro che ne ha di più e uno che ha un casa bellissima ma c’è un altro che ha una casa ancora più bella della sua! Io non sono fatto così, non guardo cosa fa, cosa vince un altro, chiunque sia, non ho bisogno di vincere nessuna competizione (sugli Slam) con Roger per essere felice…” ha detto ai colleghi spagnoli.
Rafa mi sembrava super-sincero. Io credo che sia davvero come dice, ovvero che “Non sono ossessionato da quanti tornei vince Federer” sia la sua affermazione più vera a riguardo. Ciò non toglie che invece a noi, media, fans di Federer, Nadal, Djokovic, Murray, appassionati, il discorso degli Slam e di chi ne ha vinti o ne vincerà di più, intriga. Altro che se intriga. Perché potrebbe rimettere in ballo il famoso (famigerato?) discorso del GOAT. Se Nadal pareggiasse il conto degli Slam di Roger, restando in vantaggio nei confronti diretti, i Nadaliani non prenderebbero pigolo? Io dico di sì.
Intanto c’è da osservare – come ha fatto puntualmente Steve Flink nel video registrato in inglese su Ubitennis.net e qui – che Djokovic che si era molto avvicinato a Nadal negli ultimi anni, era a 12 Slam contro 14, adesso è 4 Slam più indietro. Djokovic aveva preso gusto a suonarle di sana pianta a Rafa, soprattutto sul cemento, lo aveva scavalcato nei confronti diretti e pareva aver decisamente preso il sopravvento.
Ora, 4 Slam di meno, quasi certamente non gli basterà un anno (a meno che faccia il Grande Slam!) per eguagliarlo. Il …BisBabbo serbo tornerà in lizza nel suo Slam prediletto, l’Australian Open vinto sei volte, ma in quali condizioni? Nessuno può saperlo. Fatto sta che dopo il 2011 e il 2015 era Djokovic il maggior candidato a raggiungere un Federer eventualmente declinante. Ora non è più lui. Le cose, nello sport come nella vita, evolvono, cambiano. Eviterei di ricorrere all’abusato…”del doman non v’è certezza”.
Non c’è dubbio che nessuno poteva prevedere un anno fa che, come non era mai accaduto nella storia, i vecchi duellanti Federer e Nadal si sarebbero spartiti in parti uguali i 4 Slam – con Nadal che ci ha tenuto a sottolineare a chi gli chiedeva se quest’annata fosse comparabile con le sue migliori: “Ho vinto 2 Slam, ho fatto tre finali di Slam, un altro l’ho perso 15-13 nei quarti (e avrebbe potuto aggiungere ho vinto per la decima volta Montecarlo, Barcellona e Roland Garros…), è certamente una delle migliori” – ma nessuno poteva altresì prevedere che Murray avrebbe avuto problemi fisici per quasi tutto l’anno – l’anca – che Djokovic ne avrebbe avuti altrettanti al gomito e… nella psiche, idem Wawrinka. Solo quelli di Nishikori potevano essere considerati prevedibili… come da tradizione. Insomma, senza nulla togliere ai due più grandi protagonisti dell’annate – e di quante annate! – ci sono stata anche diverse circostanze che li hanno un tantino favoriti. Direi che è un fatto obiettivo. Va riconosciuto anche da parte dei Nadaliani e dei Federeriani più accesi.
NADAL È SEMPRE PIÙ N.1, E (FORSE) CI RIMARRÀ PER TUTTO L’ANNO
Intanto un altro dato obiettivo è il seguente: Nadal è n.1 del mondo e ha accumulato un discreto vantaggio sull’unico che potrebbe buttarlo giù dal trono, Federer.
Rafa ha infatti 1860 punti ATP in più. Non sono pochi, anche grazie a una competitività diffusa nell’arco di tutta la stagione: “Sono sorpreso di come ho giocato bene in Australia, un po’ meno di come ho giocato dopo”. Lo spagnolo adesso ha tennis e fiducia. Vero che Roger non ha cambiali in scadenza. L’anno scorso non giocò per tutto il secondo semestre. E vero anche che Roger di solito, se sta bene, trae d’abitudine il maggior profitto dalla stagione indoor. Certo più di Nadal voglio ricordare che (e sia detto tra parentesi) non aveva più vinto un torneo sul “duro” in 34 partecipazioni: ”Ma vittorie e sconfitte sono nostre compagne di viaggio… – ha sottolineato Rafa che se non fosse campione di tennis potrebbe far l’avvocato – se perdo in finale al quinto set l’Australian Open, Acapulco e Miami, come quest’anno, devo considerare il mio tennis sul cemento un fallimento? Per me no, per me sono grandi risultati…”.
Non sono ancora in grado, mentre scrivo a notte fonda perché già gli italiani più mattinieri possano commentare, di fare i calcoli precisi sulle ipotesi di risultati che potrebbero consentire a Federer di scavalcare Nadal nella corsa al n.1, un traguardo che un paio di anni fa non sembrava più interessarli, e invece ora li interessa eccome (anche qui: le cose cambiano) perché Federer è solleticato all’idea di stabilire l’ennesimo record, diventare il più anziano n.1 nella storia dell’Atp, e perché Nadal ora che è n.1 non vorrebbe davvero mollare la leadership. Insomma per ora si è intanto seduto sul trono. Ma sulla corona ha già allungato le mani anche per fine anno.
Ricordo solo che da qui a fine stagione Roger vorrebbe giocare, schiena permettendo, dopo la Laver Cup (esibizione simil-Ryder Cup fra Europa e Resto del Mondo in cui è coinvolto il suo management e lui stesso dal 22 al 24 settembre a Praga) i Masters 1000 di Shanghai e Parigi Bercy (che quindi distribuiscono 1000 punti ATP al vincitore) e in mezzo il “suo” torneo di Basilea, più le finali ATP di Londra che assegnano al vincitore 1500 punti.
Se anche Federer vincesse alcuni di questi tornei, occorrerebbe vedere che cosa farà Nadal, il quale anche con qualche buon piazzamento qua e là, potrebbe contenere le perdite. Ripeto: 1860 punti gli danno un discreto margine. E più ancora gliene danno, adesso, la eccellente condizione fisica (dubbia invece per Federer) e la grande fiducia che questo suo sesto Slam vinto al di fuori dalla terra battuta di certo gli dà.
P.S. A conclusione di questo mio ultimo articolo da New York e dell’US Open, vorrei ringraziare (in ordine alfabetico) gli amici che hanno collaborato alla grande qui dalla Grande Mela, Luca Baldissera, Roberto Dell’Olivo, Vanni Gibertini, Eleonora Magnanelli, Bruno Morobianco, Ferruccio Roberti, e decine di ragazzi (e meno ragazzi) in Italia, con in testa i più… responsabili Silvia Berna, Carlo Carnevale, Luca De Gaspari, Alessandro Stella che hanno coordinato un formidabile lavoro d’equipe. Tutti ci hanno consentito di battere tutti i nostri precedenti record di contatti. Anche 86.000 sessioni domenica scorsa. E oltre 2 milioni di pagine visualizzate. GRAZIE! GRAZIE. E Grazie ovviamente ai lettori che hanno dimostrato di apprezzare il nostro lavoro.