Se a vincere uno Slam è la numero 85 del mondo, che fino a un mese fa era addirittura classificata 957, sembrerebbe obbligatorio parlare di sorpresa. Però quello che è successo agli US Open 2017 non credo sia poi cosi straordinario: secondo me la vittoria di Sloane Stephens è invece nella logica delle cose. Così come la finale di Madison Keys.
Sloane e Madison sono infatti due talenti speciali e chi segue il tennis femminile con attenzione lo sapeva da molto tempo: ogni traguardo sembrava alla loro portata. Certo, non si poteva prevedere con precisione quando si sarebbero affermate ad altissimi livelli, perché il tennis non è una scienza esatta, però si poteva ipotizzare che, senza sfortune e senza guai fisici (che non sono ostacoli da poco), i grandi traguardi sarebbero arrivati: quasi inevitabilmente. È accaduto nell’ultimo Major del 2017.
In fondo è successo lo stesso con Garbiñe Muguruza e Karolina Pliskova: certe qualità sono troppo evidenti per non consentire di emergere. Oggi tutti questi talenti hanno ormai all’attivo almeno uno finale Slam.
Personalmente non considero Stephens la giocatrice in prospettiva più forte in assoluto della sua generazione, ma direi che un primato ce l’ha da sempre: è probabilmente la più complessa da capire e raccontare sino in fondo. Impossibile descriverla per banali categorie, e nemmeno seguendo una logica schematica e lineare, tanto che in lei certe caratteristiche sono ambivalenti: in alcune situazioni possono essere delle qualità, in altre possono trasformarsi in difetti. Sloane non è una semplice giocatrice di attacco, ma nemmeno una semplice giocatrice di difesa. Il suo eclettismo fisico-tecnico la pone in una condizione differente, in cui le tante opzioni di cui dispone possono diventare una risorsa, ma a volte anche un freno.
Se a questo aggiungiamo un carattere tennistico altrettanto sfaccettato e difficilmente definibile (in alcune giornate in campo sembra sicura e tranquilla, in altre tesa e timorosa), si inizia a comprendere perché è impossibile raccontarla totalmente. Le variabili sono moltissime e le loro combinazioni ancora di più.
Cominciamo dagli aspetti tecnici. Sulla questione mi sono espresso così tante volte che temo di diventare ripetitivo, ma non posso fare a meno di sottolinearlo: sono convinto che Sloane Stephens sia la giocatrice tecnicamente più completa della sua generazione. Se penso a qualsiasi colpo esistente nel tennis, sono certo di averglielo visto eseguire. Sotto questo aspetto direi che è la Kuznetsova delle under 25; proprio come Svetlana, anche lei conosce l’intera enciclopedia del gioco, dalla prima all’ultima pagina: possiede tutte le soluzioni.
Servizio di potenza, slice e kick. E poi dritti e rovesci da fondo campo in ogni modo, così come nelle risposte (aggressive come quelle bloccate di opposizione). Smorzate, gioco di volo, e anche una notevole manualità nelle opzioni di tocco. In più tutte le risorse del tennis di contenimento. Quindi colpi piatti, topspin, slice, chop. Rispetto a Kuznetsova forse le manca il tweener e la veronica; ma non me la sento di escluderli: dico solo che non ricordo di averglieli visti utilizzare.
Naturalmente possedere tutti i colpi e saperli eseguire (bene) non significa essere automaticamente la più forte. Nel tennis contemporaneo è più produttivo avere nel proprio arsenale pochi colpi fondamentali, utilizzati in modo davvero superiore, piuttosto che una grande varietà di soluzioni eseguite però con una incisività inferiore. Anche se va sottolineato che il dritto di Sloane è un’arma davvero pericolosa. Meno solido è il rovescio; e, come sempre in questi casi, è l’efficacia del lato debole a dare la misura dello stato di forma: se anche il rovescio è incisivo, se ha la sicurezza di uscire dalla diagonale sinistra con il lungolinea, allora significa che attraversa un periodo di grande condizione.
Teniamo presenti queste caratteristiche tecniche e integriamole con quelle fisiche. Per gli standard del tennis attuale Stephens non è altissima (1,70), ma è una vera atleta. Centosettanta centimetri di scatto ed esplosività, ma anche di notevole resistenza. Mettere un match sulla corsa contro di lei è un azzardo che non consiglierei a nessuna. Ma forse la sua dote migliore è la rapidità, una rapidità che si sposa con una capacità di coordinazione fenomenale, quasi istantanea, che le consente di eseguire colpi efficaci anche su palle che per quasi tutte le altre sembrerebbero impossibili.
Forse la definizione migliore di queste sue doti straordinarie l’ho sentita durante la telecronaca del match vinto contro Serena Williams agli Australian Open 2013: se non ricordo male la voce era di Chris Bradham, e per la sua capacità di arrivare su qualsiasi palla, rendendo prendibile anche l’imprendibile, l’aveva definita “sprinting demon”.
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