Se la sentenza del Tribunale Federale FIT (8/2017) che aveva inibito Camila Giorgi per nove mesi, condannandola altresì alla sanzione pecuniaria di 30.000€, aveva destato notevoli perplessità, tanto da essere completamente annullata dalla Corte d’Appello Federale il 31 marzo di quest’anno, la decisione del Collegio di Garanzia del CONI che l’ha fatta ritornare in piena vita è un guazzabuglio giuridico che apre il campo al più clamoroso arbitrio da parte di ogni federazione sportiva.
Prima di spiegare il perché però, è bene fare un riassunto delle puntate precedenti: la triste vicenda trae origine dalla mancata partecipazione di Camila Giorgi al play-off di Fed Cup tra Italia e Spagna dell’aprile 2016. Con una mail spedita il 4 dello stesso mese, l’azzurra comunicò la non accettazione della convocazione, dando il via alle indagini della Procura Federale. La contestazione mossa a Giorgi riguardò la “violazione dell’art. 1, commi 1, 2 e 4 del Regolamento di Giustizia e dell’art. 19, comma 1 del Regolamento di Giustizia, per aver contravvenuto all’osservanza dello Statuto e dei Regolamenti Federali, mantenendo una condotta non conforma ai principi della lealtà, della probità e della rettitudine sportiva, non rispondendo ad una convocazione per una rappresentativa nazionale”.
Nel dettaglio, il comma 4 dell’art. 1 stabilisce che “gli atleti selezionati per le rappresentative nazionali sono tenuti a rispondere alle convocazioni e a mettersi a disposizione della Federazione, nonché ad onorare il ruolo rappresentativo ad essi conferito; gli affiliati, da parte, sono tenuti a mettere a disposizione della FIT gli atleti selezionati per far parte delle rappresentative nazionali”. L’art. 19 prevede invece che “gli atleti selezionati per le rappresentative nazionali che rifiutano o non rispondono alla convocazione e non si mettono a disposizione della Federazione, ovvero non onorano il ruolo rappresentativo ad essi conferito sono con sanzione pecuniaria e con sanzione inibitiva fino ad un massimo di un anno”.
La difesa dell’atleta fu incentrata su un’eccezione preliminare secondo la quale, non essendo essa tesserata per la federazione italiana sin dal 2011, la stessa non sarebbe stata soggetta all’osservanza del Regolamento di Giustizia Federale e quindi non sarebbe stata passibile di procedimento disciplinare e della eventuale sanzione. Secondo la difesa, pertanto, l’unico legame giuridico tra Camila e la FIT sarebbe stato quello relativo ai famosi cinque contratti – per l’inosservanza dei quali non è competente la giustizia sportiva – non essendovi all’epoca dei fatti alcun vincolo giuridico sportivo tra l’atleta e la federazione.
Il Tribunale rigettò tale eccezione con delle motivazioni giuridicamente inconsistenti. L’organo di giustizia sportiva della FIT diede infatti un’interpretazione dell’art. 10 dello Statuto FIT piuttosto curiosa. Tale disposizione rubricata “Dovere dei tesserati” prevede che “1. I tesserati sono tenuti ad osservare il Codice della Giustizia Sportiva, lo Statuto ed i regolamenti della FIT, nonché le deliberazioni e le decisioni dei suoi organi e ad adempiere agli obblighi di carattere economico secondo le norme e le deliberazioni federali. 2. Gli atleti selezionati per le rappresentative nazionali sono tenuti a rispondere alle convocazioni e a mettersi a disposizione della FIT, nonché ad onorare il ruolo rappresentativo conferito. 3. I tesserati sono tenuti a rispettare il Codice di comportamento sportivo del CONI. 4. Ai tesserati è vietato scommettere, direttamente od indirettamente, sul risultato di gare alle quali partecipino a qualsiasi titolo ed approfittare comunque di informazioni privilegiate nell’ambito delle attività che svolgono. Gli atleti che disputano tornei dei circuiti internazionali ATP e WTA non possono, né direttamente né indirettamente, scommettere sulle gare di tali competizioni”.
Orbene, secondo il Tribunale Federale, mentre le disposizioni dei commi 1, 3 e 4 sarebbero riservate ai “tesserati” quella del comma 2 sarebbe da estendere anche agli “atleti non tesserati”. Cioè in altre parole, secondo la ricostruzione del Tribunale, un atleta non tesserato potrebbe serenamente non rispettare il codice di Giustizia Sportiva, lo Statuto e i regolamenti FIT, il codice di comportamento del CONI e anche scommettere (!) ma sarebbe obbligato a rispondere alla convocazione in nazionale! Il tutto senza dimenticare che l’articolo è rubricato “Dovere dei tesserati”!
In ogni caso, ci si chiedeva già allora come fosse possibile che in tutti questi anni nessuno si fosse mai posto il problema che Camila Giorgi, ovvero la tennista azzurra di punta del futuro, non fosse tesserata per la federazione per la quale aveva giocato per anni! La Corte d’Appello Federale, condividendo più o meno in toto le nostre perplessità, accolse il reclamo proposto da Camila Giorgi, annullando così la sentenza del Tribunale Federale e dichiarando il difetto di giurisdizione proprio perché l’atleta non era tesserata con la FIT. La Corte d’Appello cassò completamente la tesi del Tribunale FIT e della Procura Federale per i quali “non vi è dubbio che l’atleta Camila Giorgi, che svolge attività rilevante per l’ordinamento sportivo essendo affermata giocatrice professionista, rappresenti un soggetto giuridico autonomo rispetto alla figura del tesserato, ma come quest’ultimo debba essere sottoposto ad un giudizio disciplinare”.
In realtà, secondo la corretta interpretazione della Corte d’Appello, il tesseramento è una condizione essenziale per svolgere attività federale e dunque in assenza di tale fondamentale requisito non si può essere soggetti ai regolamenti federali. Tanto più che con contratti di natura privatistica le parti avevano previsto l’obbligo di Giorgi di tesserarsi per la federazione. La procura Generale dello Sport presso il CONI e la Procura FIT però decisero di ricorrere al Collegio di Garanzia.
Arriviamo così ad oggi, ovvero alle motivazioni rese pubbliche dal Collegio che ribalta nuovamente le carte e fa “rivivere” la sentenza di primo grado. Ad avviso del Collegio, non vi sarebbe il difetto di giurisdizione, Camila Giorgi può essere “giudicata” da un Tribunale Federale pur non essendo tesserata. Il Collegio si lancia in una avventurosissima e francamente sconcertante distinzione tra il “rapporto di tesseramento” e la “tessera”. Secondo l’organo giudicante “l’art. 73 del richiamato Regolamento Organico dispone testualmente: ‘L’esistenza del tesseramento, cioè del rapporto giuridico-sportivo che lega una persona alla FIT, è documentata dalla tessera federale di riconoscimento’. Se ne trae che il tesseramento è il rapporto tra l’atleta e la Federazione, la tessera il documento rappresentativo del richiamato rapporto. Il comma 2 dell’art. 73, con riguardo alle tessere, dispone il loro rilascio direttamente dalla Federazione o tramite un affiliato di appartenenza. In virtù delle norme del Regolamento Organico, dunque, i soggetti legittimati a documentare un rapporto giuridico sportivo, che lega una persona alla FIT, sono esclusivamente la Federazione e gli affiliati alla medesima”.
Da quanto precede emerge che il tesseramento, inteso quale rapporto giuridico-sportivo, è altro rispetto alla sua documentazione. In questa prospettiva, il rapporto giuridico-sportivo non si costituisce con il rilascio della tessera, ma preesiste logicamente alla medesima, che è allora il documento che assume valore probatorio per i fini previsti dal Regolamento medesimo”. In altre parole, hai diritto alla tessera federale in quanto hai un “rapporto di tesseramento” preesistente: una follia.
Continua il Collegio: “La costituzione di un rapporto giuridico-sportivo tra atleta e FIT non è, dunque, dovuta al rilascio della tessera, ma alla sussistenza di una relazione tra una persona e la FIT, sia di contenuto organizzativo, sia relativa allo svolgimento di una attività sportiva (nella specie il tennis), secondo quanto previsto dall’art. 84 del Regolamento Organico (“Settori di età”). E non è un caso che l’art. 73, nel definire il rapporto di tesseramento, non si limiti alla relazione sportiva tra atleta e FIT, ma estenda il rapporto a qualunque relazione tra una ‘persona’ (dunque anche diversa dall’atleta) e la FIT. Del resto, l’art. 74 R.O., rubricato ‘Tipi di tessera’, distingue tra ‘tessera di riconoscimento’ e ‘tessera di riconoscimento e di abilitazione alle gare’, destinate, le prime, a soci e, le seconde, ad atleti”.
Dunque parafrasando il Collegio, una qualunque persona che entri in contatto con una federazione può dare luogo alla nascita di un “rapporto di tesseramento”. Peccato che il Collegio si dimentichi di informarci sulle modalità di questa nascita del rapporto: come si fa a stabilire quando è nato il rapporto? Quali sono gli elementi? Ma soprattutto: chi lo stabilisce? La federazione? Dunque con questa sentenza il Collegio attribuisce alle federazioni il potere di stabilire autonomamente se un determinato soggetto che a qualsiasi titolo abbia una “qualunque relazione” con la federazione stessa, debba ritenersi “tesserato” e dunque sottoposto ai suoi regolamenti ed anche alle sue sanzioni! Tutto perfettamente democratico, insomma…
Ma il meglio la sentenza lo dà nella parte finale, dove si arriva al massimo del paradosso. Si chiede a questo punto il Collegio, ma a che cosa servirà mai questa tessera se il “rapporto di tesseramento” può sorgere anche in assenza della tessera stessa? Ecco il capolavoro: “Se, dunque, il rilascio della tessera non rappresenta il momento costitutivo dello status di tesserato, occorre tuttavia interrogarsi sulla sua funzione e sulla rilevanza del possesso della medesima. La risposta è offerta dall’art. 81 del Regolamento, per il quale è indispensabile il possesso del documento rappresentativo ai fini della partecipazione ad un’attività sportiva”. Ancora: “Il rilascio di una tessera non è indispensabile per la costituzione di un rapporto giuridico-sportivo (dunque anche per una attività diversa da quella sportiva), ma lo è ai soli fini della partecipazione ad una manifestazione”. Il riferimento alla manifestazione, che restringe la portata dell’attività sportiva, è dovuto al fatto che l’art. 81 richiede che “per partecipare a una attività sportiva l’interessato deve possedere ed esibire all’Ufficiale di gara preposto la tessera atleta o la tessera atleta non agonista del settore cui appartiene la manifestazione'”.
Dunque, ricapitoliamo cosa dice il collegio in questa meravigliosa espressione di arguzia tecnico-giuridica: la tessera federale non è necessaria affinché si possa dire costituito il “rapporto di tesseramento” ma se non hai la tessera non puoi partecipare ad un’attività sportiva federale. E allora, come avrebbe detto il grande Antonio Lubrano, la domanda nasce spontanea: se Camila Giorgi, come è pacifico, non è in possesso della tessera FIT, come ha fatto a giocare in Fed Cup negli anni passati? Vuoi vedere che Camila Giorgi, in quanto priva di tessera FIT, non poteva proprio essere convocata in Nazionale?
La conclusione è la seguente: Camila Giorgi è stata squalificata perché ha rifiutato una convocazione in nazionale che – come ci dice il Collegio di Garanzia del CONI – non avrebbe mai potuto ricevere. E si può essere mai squalificati per aver detto di no ad una convocazione tecnicamente e giuridicamente sbagliata e inesistente? Beh, per questi signori evidentemente sì. Roba da pazzi! A questo punto squalificheranno anche chi ha diramato la convocazione? Povero Barazzutti…