Non sono il professionista che il tennis mi chiede di essere. Questa è la verità. L’unica occasione che ho di trascorrere una vita normale è quando sono a casa. È il posto dove posso passare del tempo con la mia famiglia, giocare a Call of Duty con i miei compagni, essere un ragazzo come altri. È anche il momento in cui il tennis si aspetta che mi alleni, che vada in palestra e migliori gli aspetti mentali del mio gioco. Non sto facendo i progressi che dovrei perché non lo voglio abbastanza, non lo sto prendendo abbastanza seriamente. Lo so, e non c’è motivo di convincere qualcun altro del contrario. C’è una battaglia continua tra l’agonista in me che vuole vincere, vincere, vincere e l’essere umano che vuole vivere una vita normale con la mia famiglia, lontano dalle luci.
LA MORTE E IL TOUR
Il momento in cui tutto è venuto a galla è stato due anni fa, quando mia nonna, Julianah Foster, è morta. Non sono riuscito a passare con lei il tempo che avrei voluto, a causa del tennis. Mi ha tenuto lontano da lei, ed è qualcosa che ancora mi rode dentro. Ad essere onesto, direi che ho smesso di dedicarmi al tennis quanto avrei dovuto, dal momento in cui è morta. Nanna è stata praticamente mia madre per cinque anni più o meno, mentre mia madre lavorava full time come ingegnere elettronico e viaggiava avanti e indietro tra casa nostra a Canberra e i suoi uffici a Sydney e Melbourne. Eravamo incredibilmente legati. Trascorrevamo ore e ore e ore insieme. Dormivamo persino nello stesso letto. Non ci sarà mai nessun’altra persona come Nanna. Mi ricordo quando mamma le comprò una macchina arancione, dato che scarrozzava in continuazione Christos, Halimah e me in giro per Canberra. Nanna volle darle un tocco personale, e la portò a farla dipingere con dei fiori su tutta la carrozzeria. Quando non eravamo nella macchina hippie, Nanna ci portava in una piccola Suzuki quattro porte. L’ultima volta che eravamo insieme colpì un palo: James Frawley, con cui mi allenavo ed è un mio buon amico, era nell’auto e disse a mia madre che non sarebbe più salita in auto con noi. La chiamava Nanna anche lui, tutti i miei amici lo facevano, era divertente.
Fumava molto, e mia madre lo odiava. Sbuffava nuvole di fumo in auto o al Lyneham Tennis Centre, leggendo il suo Woman’s Day o Woman’s Weekly mentre mi allenavo. Ho tenuto il piccolo segreto di Nanna fino a poco tempo fa: poi ho detto a mia madre che Nanna fumava in continuazione e diciamo che non ne è stata così contenta. Dopo la sua morte, mio fratello e io abbiamo fatto visita ad un amico a Canberra, George che lavora da Armani Art, per un tatuaggio che rappresentasse un “74”, la sua età al momento del decesso. I miei genitori non amano i tatuaggi, quindi ce lo siamo tenuti per noi (mamma lo ha scoperto quando qualcuno lo ha postato sui social network). Mi fa ancora male ogni volta che lo guardo. Ricordo tutti i bei momenti, ma poi penso a quanto mi manca e provo ancora un dolore intenso, e vero. A questo punto mi rendo conto che il tennis non è molto importante in questa situazione. È solo un gioco, colpiamo una palla oltre la rete. Quando mi affacciai per la prima volta al tour pensai che fosse incredibile, una vita del genere, mi piaceva molto. Quando mio nonno è venuto a mancare recentemente, mi sono ritirato da alcuni tornei. Avevo bisogno di essere a casa. Amo essere a casa ed essere normale, più di ogni altra cosa.
IL FUOCO DENTRO
Ma non fraintendetemi. Amo vincere. Che sia scacchi, Call Of Duty o tennis, odio perdere e mi arrabbio – come avrete notato! – quando sento di non starmi esprimendo al massimo del mio potenziale. Quando sono nel giusto stato mentale, mi sento imbattibile. Quel periodo di quest’anno in cui ho battuto Novak Djokovic un paio di volte di seguito, ad Acapulco e Indian Wells? Già. Imbattibile. Sentivo che molte persone pensavano che la prima vittoria su Novak ad Acapulco fosse un caso. Io sapevo che non era così ed ero molto motivato a dimostrarlo. Per volere del destino, ci giocai una settimana e mezzo dopo, a Indian Wells, e vinsi in due set. Quando la motivazione è alta, sento di poter battere chiunque. Il risultato dipende solo da me. Fu la stessa cosa contro Nadal a Cincinnati. È facile prepararsi a un match del genere: avversario importante, campo Centrale, grande sfida. Adoro. È contro avversari classificati male e sui campi secondari, che non riesco concentrarmi e mi distraggo. Ovviamente la mia stagione Slam è stata terribile: intendevo davvero dire quello che ho detto dopo la sconfitta contro John Millman a New York. Forse è giusto che Sebastian Grosjean lavori con qualcuno più concentrato e che si dedichi più di me. Non lo so…
Gira tutto intorno al mio livello di motivazione: e una delle cose che lo influenza sono i media, e il modo in cui mi sento ritratto da loro. Wimbledon di quest’anno ne è l’esempio. Ho iniziato il torneo con un infortunio all’anca che prima o poi richiederà un intervento chirurgico. Ma non è così che i media hanno raccontato la storia. Apparentemente, non me ne fregava nulla e sono stato irrispettoso. E dopo ho avuto anche il coraggio di andare per locali, come se stessi commettendo un crimine. Chi è che non è mai andato per locali, nella propria vita? Quindi gli stessi giornalisti che mi adoravano dopo le vittorie su Djokovic, adesso mi distruggevano per una sconfitta da infortunato? Ok, come vi pare, non cercherò di contraddirvi se è questo quello che credete. Ci torneremo…
BERNIE TOMIC È UNA CONTRADDIZIONE
Sbagliereste anche se mi inseriste nella stessa categoria di Bernard Tomic, come hanno fatto Kitty Chiller e tanti altri. Bernie ha perso la via, eravamo molto amici quando ero più giovane: ovviamente non conoscevo il tour così bene all’epoca ed eravamo quasi coetanei, della stessa nazionalità, spesso agli stessi tornei. Ma è cambiato molto da allora. Deve capire cosa vuole fare, non riesco a condividere nulla di quello che dice ormai. Dice una cosa e ne fa un’altra, e si contraddice ogni volta. Dice che il tennis non lo rende felice, che non gli piace giocare, eppure dice che l’unica cosa che lo renderebbe davvero felice sarebbe vincere uno Slam. Non ha alcun senso. Posso onestamente affermare che vincere uno Slam non mi renderebbe la persona più felice del mondo. Come ho già scritto, a me piace solo essere un ragazzo normale e avere abbastanza da vivere per una vita normale. Non ho assolutamente bisogno di altro denaro. Siamo molto diversi.
IO E I MEDIA
Sono una persona molto riservata. Non mi piace che il pubblico sappia cose che mi riguardano e si interessi degli affari miei. Ho anche un po’ la scimmia sulla spalla, quindi non mi piace che la gente mi giudichi senza conoscermi, o dica cose non vere. Odio profondamente avere una vita così aperta e pubblica. Non mi piace per niente. Ho letto più volte che sono arrogante, irrispettoso e che il tennis è il mio unico argomento. Nulla di tutto ciò è minimamente vicino alla verità e chiunque abbia passato del tempo con me vi dirà lo stesso. Ho difficoltà a gestire questa cosa, sempre di più con il passare del tempo. Quando iniziai sul tour, non mi aspettavo nessuna attenzione dai media, mentre adesso, con un po’ di prospettiva e contesto, li vedo per quello che sono davvero. E non mi piacciono affatto. I più anziani del tour non sanno cosa significhi crescere nell’era dei social media. È una cosa grossa, non posso dire o fare nulla senza che ci sia una camera puntata su di me o qualcuno dica qualcosa al riguardo.
Ho giocato a basket misto a Canberra per cinque minuti qualche mese fa, e i media lo hanno riportato, perché mi ero ritirato da Atlanta a causa dell’infortunio all’anca. Gli articoli parlavano di una partita a tempo pieno e regolamentare, quando in realtà stavo solo scherzando e perdendo tempo con gli amici per qualche minuto. Dopo il torneo di Washington ho avuto una grossa discussione privata con mia madre sull’argomento. Le ho detto che non credevo di aver fatto nulla di male e non credevo ci sarebbero state videocamere a riprendermi alle tre del mattino. Mi ha risposto schietta, come sempre. Mi ha detto che non è nella nostra natura essere meschini con le persone, anche se loro sono meschine con noi. E di stare attento, perché ci sarà sempre qualcuno che cercherà di fare soldi con il mio nome – come quelli che hanno venduto ai giornali i video post-Wimbledon – e che non devo importarmene. Ma non è sempre facile disinteressarsi quando si sente di aver subito un torto.
FIGLI E FUTURO
Ci sono molte cose che vorrei ottenere nella vita. Mi sento chiedere spesso circa il futuro, che sembra sempre strano quando hai 22 anni e una carriera da tennista, una vita di famiglia e molte altre cose davanti. Ci sono cose su cui bisogna concentrarsi adesso, come rimettere in sesto la mia anca e il mio braccio, e tornare al livello di inizio 2017. Ma un pensiero che mi motiva molto è quello di guadagnare abbastanza per aprire un centro per ragazzi senzatetto, con problemi familiari o economici, e indirizzarli allo sport. Potrebbero venire e giocare su campi da basket, tennis, piscine, e anche viverci. Mi piacerebbe molto farlo, avere un paio di figli e supportare mia moglie in qualsiasi cosa vorrà fare. Una delle cose più soddisfacenti che abbia mai fatto è stato costruire un piccolo rifugio al Lyneham Tennis Centre come tributo a Nanna, proprio dove si metteva a fumare e leggere. È questo che conta nella vita, e io lo sto imparando.
Traduzione a cura di Carlo Carnevale