2015: La Coppa Davis non deve diventare la Coppa del Nonno! La mia proposta (Ubaldo Scanagatta)
2017: Parla Ubaldo: Coppa Davis, 117 anni e li dimostra. I big disertano, e i lettori… (Ubaldo Scanagatta)
Laver Cup e Coppa Davis non hanno nulla in comune salvo il fatto di essere due manifestazioni che anziché esaltare il tennis individuale puntano sul concetto di squadra. Non c’è alcun dubbio che sotto svariati profili la Laver Cup è stato un successo – sebbene nessuno possa garantirne un successo centenario come è accaduto per la Coppa Davis dal 1900 al terzo millennio – come non c’è alcun dubbio sul fatto che la Coppa Davis stia soffrendo la progressiva disaffezione dei grandi campioni i quali, una volta conquistata, spesso se ne allontano con svariate motivazioni, condivisibili talvolta sì (ad esempio per l’incongruità del calendario) e talvolta no. Fatto sta che un po’ di maquillage ad una Coppa che nel ‘900 andava certo bene e oggi certo meno bene, ha davvero le rughe, andrebbe quantomeno pensato e forse fatto.
Perché ad esempio il fatto che un Paese sia… campione del mondo (titolo onestamente improprio se si pensa che basta un giocatore e mezzo a vincerla, come è successo alla Svezia di Borg e alla Gran Bretagna di Murray per citare i due esempi forse più eclatanti…comunque quelli che prima mi vengono a mente) a dicembre e a febbraio possa essere già detronizzato – dopo aver giocato sia la finale sia il primo turno in trasferta – non giova all’immagine della Coppa, prima ancora che dei supposti campioni del mondo “oscurati” perfino ai tifosi di casa. Non c’è poi dubbio alcuno, anche, sul fatto che purtroppo le finali della Davis finiscano per interessare quasi sempre soltanto i due Paesi coinvolti, e i loro media. Mentre in tutte le altre discipline più popolari (calcio, rugby, volley, basket) – certamente anche perché nascono come sport di squadra – non è così.
Ma già la Laver Cup, al di là del fatto che le denominazioni Europa e World (o Resto del Mondo) non sono per nulla coinvolgenti, ha il pregio di riunire una dozzina di giocatori che teoricamente possono coinvolgere una dozzina di Paesi e, di riflesso, i loro fans, i loro media, le varie tv. Ad offrire alle tv del… Resto del Mondo, una finale di Davis Slovacchia-Croazia come è accaduto nel 2005 – anche questo è il primo esempio eclatante che mi viene in mente – oppure anche quella di quest’anno Francia-Belgio e potete immaginare l’interesse spasmodico che può suscitare al di fuori dei due Paesi confinanti. La Ryder Cup di golf, spesso è stata citata da chi ha voluto (Federer e il suo agente Godsick) lanciare la Laver Cup – attenzione però: nella Ryder Cup ogni vittoria vale un punto! Sempre… – ha successo anche perché si disputa ogni due anni.
La Davis continua a essere disputata ogni anno perché in almeno 160 Paesi su 200, è forse l’unica manifestazione che “promuove” localmente il tennis. E quei 160 Paesi non vorrebbero rinunciare alla cadenza annuale. Nessun top10 – solitamente – rappresenta uno di quei 160 Paesi. Ed è l’assenza e lo scarso interesse dei top-10 il vero problema che oggi minaccia il prestigio (declinante) della Coppa Davis. Mi pare assolutamente necessario, pragmatico, al di là dei gusti di noi appassionati, pensare a qualche modifica della Coppa Davis per cercare di recuperare l’interesse e la presenza dei migliori tennisti delle classifiche mondiali. Dando per quasi scontato che con la presenza dei migliori, le loro nazioni d’appartenenza, sarebbero al 90% presenti nel World Group, le modifiche essenziali al calendario e al format dovrebbero riguardare principalmente il World Group, individuando però un sistema di retrocessioni e promozioni in qualche modo collegato ad uno svolgimento biennale della Davis a livello di World Group.
Il primo punto è stabilire quante nazioni dovrebbero far parte di questo World Group. Qualche tempo fa io scrissi un articolo che proponeva un World Group di 29 nazioni, con il team campione esentato dalla disputa di uno o due turni e obbligatorio padrone di casa al primo impegno. Parlando a Praga nel corso della Laver Cup con il collega Mike Dickson, veterano del Daily Mail, ho saputo di un suo progetto per una modifica alla Davis. Lo ha fatto conoscere, prima che a me, al presidente della Federazione Internazionale David Haggarty. Riassumo qui, per sottoporli alla vostra attenzione e ai vostri commenti insieme all’articolo che scrissi io, i principi espressi da Mike che si ispiravano a tre criteri da salvaguardare primariamente: a) assicurare la partecipazione dei top-player b) mantenere almeno in gran parte la formula dei match casalinghi e in trasferta (fondamentale soprattutto per quei Paesi che non ospitano grandi eventi tennistici) c) mantenere prestigio e credibilità alla competizione. Ci sono poi (prima?) gli aspetti commerciali (sponsors, diritti tv) che vanno anch’essi tenuti nella debita considerazione (sia per il World Group che forse anche per i gruppi sottostanti).
LA MODIFICA DEL FORMATO: I campioni in carica non giocano fino alle semifinali che dureranno una settimana e saranno loro a ospitare. Le semifinali saranno giocate nella prima parte della settimana, la finale nella seconda. Ciò consente alla nazione ospitante avere un anno intero per trovare la sede migliore e commercializzare al meglio l’evento. 12 nazioni giocano il primo turno, 6 il secondo. Tre vanno in semifinale insieme ai campione in carica. La Davis viene giocata 3 anni su 4. Non la si gioca nell’anno delle Olimpiadi, il cui calendario è già congestionato. Si può anche imporre una regola che impedisca ad una Nazione di ospitare la settimana finale per più di tre anni consecutivi.
I VANTAGGI DI QUESTO FORMATO:
1) Nessun top-player sarebbe tenuto a dare la propria disponibilità per più di nove settimane di Coppa Davis nell’arco di 4 anni. Non avrebbe, insomma, più scuse per declinare la partecipazione. Se non accettano neppure un impegno del genere per mantenere credibilità alla Davis, beh… non ci faranno una gran bella figura anche all’interno del loro Paese e fra i loro tifosi, che oggi invece possono arrivare a giustificare la loro assenza.
2) Ci sarà più intervallo fra gli incontri. I benefici sono diversi. Prima di tutto quello di avere più tempo per trovare sedi decenti (che possono produrre maggiori introiti). Quei Paesi che perdono soldi ospitando la Davis forse non li perderebbero più (o ne perderebbero meno).
3) Allo stesso modo trovare uno stadio ad hoc per semifinali e finale diventerebbe molto più facile. Volendo mantenere il principio di una semifinale (quella non includente i detentori della Coppa) giocata secondo il principio dei match giocati in casa e fuori, quella potrebbe essere giocata in casa di una delle due semifinaliste come è stato fino ad oggi.
4) Questo formato verrebbe incontro all’idea (finora sostenuta dall’ITF anche se non approvata con il 75% dai votanti in Vietnam all’inizio di agosto… e di certo non approvata dal sottoscritto! Ma l’ITF sembra persuasa di dover portare avanti il progetto…) di giocare la finale in sede neutra per motivi di marketing e perché la sede verrebbe “messa all’asta da chi offre di più” (come sarebbe stato il caso se Ginevra fosse stata prescelta) fra quattro diversi “mercati”, cioè quelli delle quattro squadre semifinaliste.
Aumenterebbero così le chances della città ospitante, avendo quella del proprio Paese certamente fra le 4 semifinaliste e con il vantaggio del fattore campo e della superficie. Negli ultimi 12 anni, 31 delle 44 nazioni che hanno raggiunto le semifinali sono state nazioni europee e solo 15 dal resto del mondo. Nei prossimi 10 anni, osservando da dove i migliori giovani stanno emergendo (Canada, USA, Australia), forse si raggiungerà un maggior equilibrio che nell’ultimo decennio. Ciò riduce le chances di una città europea che ospiti una finale fra due Paesi di altri continenti. Inoltre con 4 nazioni invece di due concentrate in una stessa settimana finale di Davis, si dovrebbe raggiungere un equilibrio maggiore dei profitti ITF fra le nazioni affiliate.
Infine alleggerire la pressione sul calendario… potrebbe essere operazione “diplomatica” ben vista dall’ATP che avrebbe più spazio per i suoi tornei (e desideri dei giocatori) e potrebbe portare a una negoziazione con la stessa ATP su altri argomenti, sia per ottenere date più favorevoli nel calendario per quei turni (meno di prima) da programmare, sia eventualmente per cercare di reintrodurre punti ATP (incentivi quindi…) a chi giochi la Davis e le Olimpiadi.
LA CONCLUSIONE (e la vostra discussione): È chiaro che non esiste formato che soddisfi tutti all’unanimità. In teoria questo potrebbe essere allargato per la fase finale anche alla Fed Cup (che da sola non potrebbe mai “reggere” una sede neutrale). Avere la Davis tre anni ogni quattro è un… passo più accettabile per i tradizionalisti (e quei Paesi che la vorrebbero ogni anno) che non passare subito a una Davis ogni due anni. Anche se negli altri sport funziona così (mondiali di calcio e europei si alternano ogni due anni, e così anche in altri sport). Ma non fare assolutamente nulla rischia di far morire la Davis. Se poi la si debba giocare due set su tre o tre su cinque è un altro discorso. La Laver Cup, nella quale addirittura si giocava un long-tiebreak dopo due set, ha dimostrato che si possono vedere eccellenti partite, tutte intorno alle due ore quando equilibrate (e se non sono equilibrate perché prolungarle?) anche se non durano quattro ore. Le quattro ore, per contro, ammazzano le audience televisive e la possibilità di grandi network generalisti di ospitare la Davis, costretta a sbarcare su canali tipo Supertennis in Italia et similia all’estero. È questo quello che auspica la ITF?
Personalmente sarei curioso di sapere se vi piace più la proposta di cui scrissi tempo fa o quella di quest’oggi. Pregherei di attenersi, nei commenti, al tema in discussione. Così li raccoglierò e ci torneremo sopra. Magari inviandoli anche all’ITF.