Caroline Garcia e gli anni duemila
Nel periodo di Courier e Graf si stava affermando anche Andre Agassi, e lo faceva attraverso concetti di gioco differenti, mai visti prima. Agassi (nato nello stesso anno di Courier, e futuro marito di Steffi), avrebbe introdotto un genere di tennis che estremizzava l’idea di aggressività e ritmo. Un tennis che puntava a soffocare l’avversario sottraendogli i tempi di gioco e di riflessione, grazie alla simmetria di colpi (dritto e rovescio ugualmente efficaci) eseguiti il prima possibile. Fondamentale per questi obiettivi l’avanzamento della posizione di impatto della palla, sempre più a ridosso della linea di fondo campo, quando non addirittura dentro. E questo sin dalla risposta.
Questo tennis ha avuto seguito e successo soprattutto nel decennio successivo, dagli anni duemila in poi. Fra le donne Clijsters, Li Na, e oggi Azarenka, Muguruza, sono giocatrici che hanno applicato concetti di questo tipo. Naturalmente ciascuna con le loro specificità, ma con il comune denominatore di pressione costante, ritmo vorticoso e massima aggressività.
Nella finale di Wuhan sulle seconde di servizio dell’avversaria, Caroline Garcia per rispondere avanzava un paio di metri dentro il campo: una posizione estrema, alla ricerca di un punto di impatto che le permettesse di prendere l’iniziativa immediatamente, se non addirittura di trovare un vincente. E se consideriamo i colpi di inizio gioco come quelli che indirizzano e sintetizzano le strategie dello scambio, direi che la posizione in risposta di Garcia è emblematica delle sue intenzioni per l’intero match.
Barty versus Garcia, ovvero tennis pre-Agassi versus tennis post-Agassi. Ecco perché ho parlato di confronto tra stili di gioco che si rifanno a generazioni di tennis differenti. Un genere di tennis è meglio dell’altro? Non credo abbia senso assegnare scale di valore ai diversi stili di gioco, anche se suppongo che poi ciascuno abbia le proprie preferenze. Per quanto mi riguarda su questo tema sono ancora più esigente: più che fare una scelta tra un modo di giocare o l’altro, li prendo tutti; nel senso che preferisco che nel circuito ci sia il maggior numero possibile di stili di gioco, in modo da vedere partite di natura diversa, che possano offrire una molteplicità di spunti e interpretazioni.
Sul tema in generale potrei fermarmi qui, ma mi rimane un dubbio più mirato, sulle specifiche scelte di gioco di Caroline Garcia. Per spiegarlo comincio rifacendomi a un articolo dell’inizio di quest’anno: “Tutte queste qualità tecniche fanno di lei, a mio giudizio, la giocatrice con il repertorio più completo della sua generazione dopo Sloane Stephens, altra ventitreenne (entrambe sono nate nel 1993) straordinariamente dotata, che considero appena superiore a Caroline perché ancora più forte nel gioco difensivo. Ma spesso queste doti rimangono sulla carta: sono i frammenti di un quadro di insieme che allo stato attuale non riesce quasi mai a ricomporsi del tutto”.
E qui arriva la questione tattica e mentale, che è parte integrante del tema; vado avanti con il paragrafo successivo: “(…) non si sta parlando di un’atleta che semplicemente fatica a giocare bene nelle occasioni importanti, o a chiudere i match quando è in vantaggio: quello sarebbe un problema emotivo abbastanza comune. Per Garcia secondo me la questione è di natura più profonda, ed è tale da andare oltre la pura difficoltà esecutiva, finendo per invadere la sfera tattica. Mi spiego: è come se nei grandi match, sui grandi palcoscenici, Caroline tenesse nascosta la sua vera personalità tennistica, finendo spesso per adeguarsi a quella di chi ha di fronte. E così capita che contro Radwanska sfoderi soluzioni estremamente tecniche, mentre un match contro Sharapova diventi un braccio di ferro basato sulla potenza.
Ma allora qual è la sua vera natura? Perché in campo a volte sembra mimetizzarsi? Perché non è mai riuscita ad andare oltre il terzo turno in uno Slam?”
Oggi non scriverei più le stesse cose; a distanza di tempo secondo me Garcia un progresso lo ha compiuto: ha intrapreso una strada tattica precisa e la sta portando avanti. Appunto quello stile di gioco “agassiano”, che ho provato a sintetizzare prima, e che Caroline sviluppa a partire dalla posizione in campo molto avanzata.
Però, avendola vista giocare spesso in passato, non avevo ricavato la convinzione che Caroline avesse dentro di sé la tendenza a praticare un tennis di così estrema aggressività. Se ad esempio ripenso a Clijsters o Azarenka da giovanissime, la loro attitudine appariva subito chiara, e davvero non avrei potuto immaginarle esprimersi con un tennis diverso. Invece ricordo di avere visto versioni più attendiste di Garcia: una giocatrice che a volte provava a rallentare lo scambio, a volte ricorreva anche a classici schemi di approccio per prendere le rete, con l’obiettivo di valorizzare la sua capacità di volo.
E qui torna la questione mentale. È possibile praticare un tennis che non corrisponde fino in fondo alla propria indole? Ed è vantaggioso?
Premessa: il tennis di massima pressione è un tennis che sottrae tempi di gioco; non solo alle avversarie, ma anche a chi lo propone. Significa cioè dover scegliere tra un numero forse inferiore di opzioni, ma doverle selezionare con una rapidità estrema. A volte la velocità richiesta è tale che la scelta diventa praticamente istantanea: quasi più una espressione dell’istinto che del pensiero.
Tenendo presenti questi aspetti, alle domande qui sopra risponderei così: sì, un tennis molto rapido potrebbe rivelarsi utile per una giocatrice come Garcia, che a volte si fa sopraffare dall’ansia e patisce lo stress nelle occasioni più importanti. Mettersi nella condizione di dover agire nel modo più istintivo potrebbe cioè essere di aiuto a non “pensare troppo”, e tenere a bada i timori di cui Caroline ha sofferto in passato. Timori che spesso l’hanno ostacolata, sino a farle prendere decisioni tecnico-tattiche incoerenti o intempestive.
In un certo senso è come se la attuale Garcia si fosse imposta l’indirizzo tattico più adatto a tenere sotto controllo la componente psicologica, anche a costo di penalizzare certe soluzioni tecniche che con questa impostazione ha meno spazio per esprimere.
Con la vittoria a Wuhan, Garcia ha sicuramente compiuto un passo avanti nei risultati, e probabilmente anche nella fiducia e nell’autostima. E per il futuro? Forse continuerà a giocare così per il resto della carriera; o forse no. Chissà che più avanti altri successi non le consentano di acquisire maggiore sicurezza, fino a permetterle di adottare uno stile di gioco più profondamente personale. E anche se è difficile prevederlo, confesso che un po’ me lo auguro.