Nel 2017 è tremendamente difficile riuscire a colpire una pallina senza finire in mondovisione: tutti i tornei Challenger e addirittura molti Futures hanno almeno una telecamera fissa, tipo circuito di sorveglianza, in cima alla rete di ogni campo. Eppure le qualificazioni dei tornei, persino di quelli importanti come il Rolex Masters di Bercy, esulano da questa legge. E così mentre Federer vinceva a Basilea, Wozniacki a Singapore e due suoi connazionali si contendevano il titolo a Vienna, Paul-Henri Mathieu ha perso su una “pista di pattinaggio” l’ultimo incontro della sua carriera, senza che ne venisse trasmesso neppure un fotogramma.
Nell’ultima settimana buona per sprintare verso le Finals, “Paulo” appende la racchetta a quel chiodo già martellato nel muro a inizio stagione: l’annuncio del ritiro era arrivato nei primi mesi dell’anno e di fatto il 2017 d’oro degli over 35, di cui lui farebbe parte, è stato invece una sorta di giro dei saluti. La Federazione francese non lo ha accompagnato come ci si sarebbe aspettati, generando un piccolo caso che ricorda da vicino quello nostrano di Francesca Schiavone. Da nessuno dei tornei parigini è arrivata una wild card per il tabellone principale, né dal Roland Garros – del quale ha superato le qualificazioni infiammando la folla – né da Bercy, dove ha salutato il tennis con un inappellabile 6-4 6-3 in favore di Pospisil nel turno decisivo, davanti ad appena 300 affezionati. Gli inviti per il tabellone principale questa settimana sono andati a Nicolas Mahut, Pierre-Hugues Herbert e Julien Benneteau, che ha a sua volta fatto intendere che abbandonerà nel 2018.
Sono passate appena 24 ore, tre quarti dei posti stampa di Bercy sono ancora vuoti e internet ha già chiuso il discorso, sentenziando che “Paul-Henri Mathieu (Strasburgo, 12 gennaio 1982) è stato un tennista francese“. All’ultimo a battere Sampras e Kuerten, per l’ultima volta non viene regalato nulla. Finiscono così 18 anni da professionista iniziati con il botto di un titolo junior nello Slam di casa e terminati con un bilancio negativo, soprattutto in termini di fortuna. Qualche alto non altissimo – quattro titoli ATP, una manciata di affacci nelle seconde settimane major – e troppi bassi. Il peggior momento in una ormai vecchia domenica di dicembre, quando un Mathieu ragazzetto avrebbe potuto consegnare alla Francia la Coppa Davis 2002; si fece invece rimontare due set di vantaggio dal coetaneo Youzhny (che neppure avrebbe dovuto giocare) senza mai arrivare a match point, nello stesso Palais Omnisport di Bercy in cui ha concluso ieri.
“È un peccato ridurre la mia carriera a un match disputato quando avevo 20 anni, di ritorno da un infortunio. Avrei potuto smettere di pensarci, ma hanno continuato a parlarmene costantemente” ha detto a fine incontro, quando qualcuno ha battuto per l’ennesima volta su quel tasto. Le sliding doors sono un concetto di cui è facile abusare, ma nessuno degli incontri giocati negli anni a venire ha più cambiato la storia di Mathieu: il terzo turno del Roland Garros del 2006, un esempio da quasi cinque ore subito definito un classico del torneo, terminò con un 5-7 6-4 6-4 6-4 per il suo avversario (Nadal). E il best ranking si è fermato al n.12, a un passo dalla simbolica top 10 raggiunta da tanti altri francesi nello stesso decennio: ancora una volta, “quasi ma non”. Gli instancabili tentativi di riabilitare la propria immagine sono però valsi a PHM un tifo tra i più uniti, accorati, inossidabili mai ricevuti da un tennista di seconda fascia, simile al calcistico “Mai schiavi del risultato”.
Proprio per questo mette tristezza sapere che il silenzio l’ha fatta da padrone, ieri sul campo secondario di Bercy. E a fine incontro anche Mathieu ha detto che “da quando il Roland Garros si è concluso per me quest’anno era già finito, e la mia mente era già altrove“. Nonostante ciò il pubblico potrà comunque farsi perdonare in extremis, andando a fare un po’ di rumore al doppio di domani che di fatto sarà la vera ultima volta di Mathieu (in coppia con Paire). Tra un mese, a Lille, la Francia avrà invece un’altra occasione per vincere quella Coppa Davis sfuggita quindici anni fa. Stavolta senza “Paulo”, non proprio a tutto c’è rimedio.