Venus Williams
Non ho molto da dire su Venus Williams, i risultati parlano per lei. A Singapore ha dato ulteriore conferma di un 2017 eccezionale, in cui nei cinque eventi più importanti (4 Slam + WTA Finals) ha raggiunto: un quarto turno, una semifinale e ben tre finali. Nessuna avversaria è stata altrettanto costante ad altissimi livelli, anche se a Venus è mancato il successo pieno.
Contro Wozniacki ha rischiato di ripetere l’andamento della finale di Wimbledon (persa contro Muguruza per 7-5, 6-0). Infatti proprio come a Londra anche a Singapore dopo un primo set lottato si è ritrovata sotto 0-5 nel secondo. Ma qui però ha avuto uno scatto di orgoglio, forse aiutata anche dal fatto che Wozniacki ha mostrato meno killer instinct della Muguruza versione “on fire” di Londra. Venus ha sfoderato quattro game da antologia, risalendo fino al 4-5 e servizio. Poi però qualche gratuito di troppo le ha impedito di completare la rimonta, e ha finito per cedere con un doppio 6-4.
Al Masters era arrivata giocando pochissimo dopo gli US Open (solo due match a Hong Kong), per gestire al meglio le energie di fine stagione. Poi è stata aiutata dal fatto che il suo gruppo aveva iniziato a scendere in campo per primo, avendo di fatto sempre il turno di riposo tra un match e l’altro sino alla semifinale. Però ha anche dovuto lottare per 3 ore e 13 minuti contro Ostapenko e per 2 ore e 29 contro Garcia in semifinale: due partite durissime, che forse hanno pesato sul suo rendimento in finale, che non prevede il turno di riposo come invece accade negli Slam.
Al di là di tutto ha dimostrato che a 37 anni è ancora in grado di dare spettacolo e di tenere testa a giocatrici rampanti come Ostapenko, che sono nate quando lei già vinceva (ha raggiunto la prima finale Slam agli US Open 1997, contro Martina Hingis). Capisco che suonino come frasi fatte, ma sappiamo che sono vere; alla sua età potrebbe tranquillamente godersi la fama e il denaro guadagnato, ma se continua a giocare a tennis evidentemente significa che le piace farlo. In più la sua grande classe le permette di aggiungere al divertimento risultati di altissimo livello, che non fanno altro che aumentare il valore del suo palmarès personale. Ecco perché, secondo me, fa benissimo nelle interviste a non prendere in considerazione l’idea del ritiro (“L’anno prossimo continuerò semplicemente a giocare”).
Caroline Wozniacki
Su Wozniacki dirò cose che forse non saranno condivise dalla maggioranza, ma delle quali sono convinto. Innanzitutto non credo che la Wozniacki del Masters 2017 sia stata la migliore versione della sua carriera. Non penso neanche che sia stata quella con la maggiore predisposizione offensiva. E non credo nemmeno che sia stata quella con il migliore servizio.
Ho invece una impressione diversa. Ho l’impressione cioè che ciclicamente (quando vince tornei di un certo rilievo) emerga la teoria che Caroline “finalmente ha smesso i panni della pura difensivista”, per praticare un tennis diverso. Io penso piuttosto questo: quando Wozniacki è davvero in forma la sua sicurezza cresce, il suo gioco assume una connotazione più varia e le soluzioni che attua aumentano; di conseguenza le prestazioni che offre sono tatticamente e tecnicamente più articolate. Ma questo accade da molti anni ormai; nei periodi in cui, appunto, è in grande condizione. Ne cito ad esempio altri due.
Penso all‘arabian swing 2011 (nel periodo in cui contendeva il primato del ranking a Kim Clijsters), in cui aveva lasciato le briciole alle avversarie vincendo Dubai e perso solo in finale a Doha da Vera Zvonareva. Partite in cui aveva aumentato il numero dei vincenti, cercato più spesso la rete, e servito solidamente.
Ma soprattutto ricordo quella che secondo me è stata davvero la miglior Wozniacki in carriera, quella della seconda metà del 2014: finalista a Flushing Meadows, e a Singapore capace di sconfiggere nei gironi Sharapova, Kvitova e Radwanska, prima di arrendersi 7-6 al terzo contro Serena Williams, in una semifinale di qualità straordinaria. Penso che quella Wozniacki avrebbe potuto vincere sia US Open che Masters se non avesse trovato un’avversaria del calibro di Serena.
Questo non significa che la Caroline vincitrice del Masters 2017 non sia una tennista notevole, e con anche qualche piccola novità tecnica. Rispetto al passato secondo me ha infatti messo in mostra una capacità di eseguire cross di dritto strettissimi che la superficie lenta di Singapore rendeva particolarmente insidiosi; in sostanza molto intelligentemente ha preso atto di una debolezza (la difficoltà a imprimere potenza al dritto) e in alcune situazioni l’ha trasformata in un’arma a proprio favore. Si tratta di progressi tecnico-tattici magari non enormi ma comunque interessanti, la dimostrazione che ogni professionista che lavora e si applica con costanza è sempre in tempo ad allargare il proprio repertorio.
Dopo la vittoria nelle WTA Finals la domanda che subito le è stata fatta è se questo Masters si trasformerà in un punto di partenza per provare finalmente a vincere uno Slam. Del resto questo è stato il “tormentone” che l’ha inseguita per anni quando era ai vertici del ranking. Comprensibilmente ha risposto che al momento pensa solo a godersi questo successo, poi si vedrà.
Forse è anche prematuro lasciarsi andare a troppi entusiasmi. Dopo il Masters le prime si fermano per un lungo periodo, e si finisce per partire nell’anno successivo da zero, senza che il risultato dell’ultimo grande torneo stagionale riesca a incidere in termini di fiducia ed entusiasmo sul futuro. Ricordo anche che nelle ultime edizioni alle Finals hanno vinto giocatrici per certi aspetti simili a Wozniacki: Radwanska e Cibulkova. Simili perché in grado al massimo di arrivare in una finale Slam, ma mai di vincerla. E non è che dopo il successo al Masters Aga e Dominika abbiano compiuto un salto di qualità. Caroline saprà andare oltre? Come ho scritto sopra, per me la Wozniacki della fine del 2014 è stata una giocatrice davvero molto forte, in grado di dare filo da torcere a Serena. Riuscisse a tornare a quei livelli allora avrebbe concrete possibilità di vincere un Major.