dalla nostra inviata a Parigi
In una domenica di di fine ottobre il numero uno del mondo Rafael Nadal si sta allenando sul campo centrale dell’Accor Hotels Arena di Parigi in preparazione al Rolex Paris Masters, e in particolare del suo esordio contro Hyeon Chung (anche se in quel momento il nome dell’avversario gli è ancora sconosciuto) che potrebbe regalargli l’ufficialità del numero 1 a fine stagione. Il suo coach lo osserva sereno e rilassato, intervenendo di tanto in tanto con pacati consigli. Escluso con queste poche righe che si parli di Toni Nadal, facile intuire che l’allenatore in questione sia Carlos Moya.
Nato il 27 agosto 1976 a Palma di Maiorca porta dentro di sé la tranquillità innata dell’isola spagnola. Per inseguire il sogno di diventare un campione di tennis lasciò ancora bambino proprio la tanto amata Maiorca e si trasferì nella caotica Barcellona. Tante furono le lacrime versate dal piccolo Carlos ma il risultato riuscì forse a superare le aspettative: il 7 giugno 1998 Moya vince infatti il Roland Garros sconfiggendo in finale Alex Corretja per tre set a zero. Lo spagnolo non solo ha classe da vendere sul campo da gioco e uno dei migliori dritti in top-spin del circuito, ma ha anche il sorriso perfetto per conquistare il grande pubblico e le copertine di molti tabloid. Le soddisfazioni per Carlos non finiscono però in una domenica parigina; l’anno successivo alla vittoria dello slam francese raggiunge la vetta della classifica mondiale, primo spagnolo nell’era Open a riuscirci. Certo Moya occupa la posizione numero uno solamente per due settimane a partire dal 15 marzo 1999, a seguito di una finale giocata a Indian Wells. Visto il periodo tennistico e i campioni allora in circolazione comunque un’impresa non da poco.
Moya indicò la strada al tennis spagnolo e su questa strada si incamminarono i due successivi numeri uno iberici: Juan Carlos Ferrero e ovviamente Rafael Nadal. Carlos conosce Rafa sin da quando quest’ultimo era ancora un bambino a Manacor. I due si comprendono perfettamente sia grazie alle medesime origini sia per i tanti chilometri macinati insieme nel circuito ATP, ai tempi in cui Carlos era ancora in attività. È il 2010 infatti l’anno che sancisce la fine della carriera da giocatore di Moya: a causa di un problema al piede destro egli decide di ritirarsi dall’attività agonistica per dedicarsi alla famiglia e al primogenito appena nato.
Proprio in quell’occasione venne chiesto a Nadal cosa rappresentasse per lui Carlos. La risposta fu semplice, ma estremamente significativa: “È un amico”. Non serve aggiungere altro per capire le ragioni che nel dicembre 2016 spingono Rafa a chiedere a Moya di entrare a far parte del suo team.
Carlos, oltre al bagaglio tennistico, porta una serenità e una leggerezza nuove per Nadal. Lo stesso Rafa ha ammesso in un’intervista che l’arrivo di Moya ha regalato una ventata di aria fresca all’ormai solita routine, dando l’impressione che svolgere le attività abituali fosse più semplice, meno pesante. In meno di un anno è diventata ormai una costante vedere Carlos non perdere mai calma e serenità nemmeno quando assiste ai match più difficili di Rafa; eppure l’allenatore ha ancora fresche nella memoria le sensazioni di quando egli stesso calcava i campi da gioco e comprende, pertanto, perfettamente gli stati d’animo del suo giocatore. Ora che lo zio Toni sembra sul punto di uscire definitivamente di scena, o almeno di farsi da parte, la figura di Moya diventa fondamentale per Nadal. Un bellissimo proverbio argentino dice “nessuno potrà toglierci i balli che abbiamo ballato”. Carlos non ha assolutamente intenzione di far dimenticare i balli condotti da Toni, la sua forza non sta nel non temere il confronto con lo zio più famoso del tennis, ma sta nel non pensare nemmeno lontanamente a un confronto. Moya guarda beatamente al futuro e a tutto ciò che è in suo potere fare per aiutare Nadal nel continuare la sua danza.