L’antitesi nasce totale. Svezia contro Stati Uniti. Ghiaccio e ardore. Il vigore del braccio destro contro il polso mancino vellutato. Regolarità difensiva da una parte, anarchia del gesto tecnico d’attacco dall’altra. Il controllo emotivo esasperato che incrocia racchette spaccate e imprevedibilità. Bjorn Borg e John McEnroe hanno spinto di forza (l’uno) e di classe (l’altro) il tennis degli anni Settanta fuori dalla dimensione d’elite. Hanno aperto la strada a una nuova era, quella moderna, senza però rinnegare il fascino antico dei gesti bianchi.
La loro rivalità è deflagrata al punto da non poter evitare effetti collaterali: oggi Bjorn e John sono amici. Poli opposti che si attraggono. La storia è relativamente breve, più che mai adatta ad essere condensata in 100 minuti di pellicola: appena 14 partite in quattro anni, complice la non perfetta contemporaneità tra le due vicende umane e sportive. Prima viene Borg, capace di vincere tutto per poi esaurirsi come il bagliore di una cometa, nel pieno della maturità agonistica. Poi McEnroe, che arriva quando Borg era già tale e inizia a buttare sabbia in un ingranaggio che sembrava perfetto. Molte puntate in meno di quelle raccontate ai giorni nostri dai 13 anni di Federer-Nadal, articolati in quasi 40 sfide. Per chi non ha vissuto in prima persona quell’epoca, proprio il contemporaneo dualismo tra Rafa e Roger può rendere in qualche modo l’idea.
LE SFIDE – Solo 14 volte l’uno contro l’altro, dicevamo. Il primo incrocio nel 1978, a Stoccolma. Il diciannovenne McEnroe fu subito in grado di battere Borg, che aveva già vinto due volte sull’erba londinese e tre il Roland Garros. Poi l’epopea di Wimbledon. Finale 1980, per molti la partita più bella di sempre. Vittoria soffertissima di Borg che centrò il suo quinto Championships. La sconfitta non impedì però a McEnroe di realizzare l’impresa di giornata, portandosi a casa il quarto set dopo 34 punti di tie-break. Borg si vide cancellare cinque match point, per poi vincere al quinto set. Di un soffio. Era ancora il più forte, ma con la piena cognizione di aver incrociato chi poteva accelerarne il tramonto. Per gli appassionati di tennis quella finale rappresenta il culmine di una grande rivalità, arrivata al punto più alto dal punto di vista tecnico e mediatico. L’inerzia però stava cambiando. Pochi mesi dopo McEnroe vinse la finale degli US Open, un anno più tardi si prese la rivincita a Wimbledon per poi stendere ancora lo svedese nello Slam americano. Borg aveva perso il controllo del tennis mondiale. Si ritirò assai precocemente nel 1983, a 26 anni. Non merita approfondimenti il nostalgico tentativo di ritorno sulla scena, sei anni più tardi. Gli almanacchi conservano traccia di 64 tornei vinti in carriera dallo svedese, 77 dallo statunitense (guardando solo al singolare).
TECNICA – Entrambi, partendo dagli antipodi, sono stati dei riformatori. Borg cambiò il gioco, sfruttando il peso della racchetta di legno per imprimere da fondocampo traiettorie fino a quel momento inedite. Da maestro del top spin, martellava costringendo l’avversario a ribattere la pallina ampiamente oltre la linea. Dalla sua parte la potenza del servizio e del dritto. E il rovescio a due mani, a quei tempi considerato poco ortodosso. Il tennis di Borg pagava lauti interessi con l’allungarsi degli scambi, ma è riduttivo definirlo difensivista pensando ai cinque successi consecutivi sull’erba di Wimbledon. McEnroe inseguiva invece la più rapida soluzione dello scambio. Preparava i punti con il suo inedito servizio (piedi paralleli alla linea di fondo, spalle girate) per poi scendere a rete, dotato di intuizione, senso della posizione e tocco da fuoriclasse.
PERSONAGGI OPPOSTI – Borg venne prima. Lo svedese si è trovato ad anticipare e introdurre la parabola di un tennista programmato per fare tutto esattamente all’opposto rispetto a lui. Freddo, calmo, riservato. Di Bjorn non si ricordano gesti di rabbia, almeno sul campo. Sangue caldo nel cuore di un blocco di ghiaccio. In realtà Adriano Panatta, suo grande amico, lo dipinge come “un matto calmo”. Proprio Panatta gli presentò Loredana Bertè, matrimonio da copertina che però finì in disastro. Oggi è un sessantenne distinto ed elegante, che ha imparato a godersi la vita. McEnroe era invece più che mai teatrale, scenografico. Accompagnava gli errori prendendosela molto con se stesso, instaurava una dialettica sempre accesa con gli arbitri. L’obiettivo, non troppo velato, era influenzarli. Convinto patriota, si accese d’amore per la bandiera a stelle e strisce al punto da vincere cinque volte la Coppa Davis. Oggi McEnroe commenta tennis in tv ben remunerato, ma dietro la telecamera c’è stato anche per condurre un quiz (The Chair, sulla ABC nel 2002). Attore nato durante la sua carriera tennistica, non ha rifiutato la corte del cinema e delle serie tv. Per divertimento, si intende, interpretando parti non trascendentali. A lungo è stato venditore d’arte di successo, a New York. La Laver Cup ci ha offerto l’opportunità di vederli insieme a bordo campo, capitani delle squadre di Europa e Resto del Mondo. Il film ci proietta indietro nel tempo, ma sembra sia stato realizzato – da produzione svedese – puntando maggiormente l’obiettivo sulla storia di Borg. The Genius ha avuto da ridire: “Parlano di me e neppure mi interpellano?”
UBALDO SCANAGATTA CON JOHN MCENROE (2014)
UBALDO SCANAGATTA CON BJORN BORG (2011)