dal nostro inviato a Parigi
Uno dei principali problemi logistici di un torneo a livello masters 1000 organizzato indoor, in un impianto non nato e pensato per il tennis, ma polivalente (nelle aree di lato all’ingresso principale, e alle “lounge”, già campeggiano i cartelloni pubblicitari del concerto di Mariah Carey che si terrà qui fra un mese, il 9 dicembre), è la scarsezza di campi di allenamento. Nel palazzetto ci sono il centrale, l’uno e il due. Di fronte al “Gate 28” della AccorHotels Arena di Bercy, è stata allestita una tensostruttura, detta “bubble”, la bolla, in cui trovano posto la sala fitness e palestra dei giocatori, e altri due campi, il 3 e il 4, molto piccoli e senza nessun posto per eventuali spettatori, a cui si può accedere solo in 4 persone alla volta. Figurarsi se non mi ci fiondavo appena possibile.
L’allenamento a cui sono andato (e a cui mancava poco partecipassi, come vedremo), è stato un festival di pallate a tutto braccio non da ridere. Protagonisti, Dominic Thiem e il mitico Jack Sock. Mitico – parere personale, s’intende – per la simpatia, l’allegria delle espressioni, il bel modo di fare schietto e sereno riguardo allo sport, da vero americano del mid-west. Sono tratti, come anche l’autoironia e lo stato di nascita, che ha in comune con l’indimenticabile Andy Roddick, Hall-Of-Famer, l’unico giocatore per cui abbia sinceramente fatto il tifo negli ultimi 15 anni, accidenti a Roger Federer, e sia per sempre maledetta quella volée alta di rovescio a Wimbledon 2009. Evidentemente, i tennisti del Nebraska hanno un fascino tutto loro. Ma torniamo alla tecnica.
Il buon vecchio Jack “calzino”, qui in riva alla Senna, si è fatto strada fino alla semifinale a forza di bombe super-cariche di topspin scagliate con il suo clamoroso drittone, a seguito dell’ottimo servizio. La meccanica esecutiva del nostro “Americano a Parigi” è a dir poco personale, a partire da un’impugnatura western molto caricata, e la cosa che salta subito all’occhio è l’azione di pronazione-supinazione di polso e avambraccio incredibilmente estremizzata in fase di caricamento (in parole povere, piegamento in avanti e successiva rotazione verso dietro mentre prepara il movimento a colpire). Con un gesto del genere, paragonabile a quello dei lanciatori di baseball, solo eseguito in orizzontale invece che in verticale, Jack è in grado di far accelerare la testa della racchetta con rapidità altissima, frustando la palla dal basso verso l’alto-avanti e sparandola a velocità e soprattutto rotazioni degne del miglior Nadal. Vediamolo al rallentatore qui sotto.
Poco da commentare, come da titolo del pezzo, una “frullata” che sviterebbe il polso a qualsiasi amatore, e credo anche a diversi professionisti non abituati a questo tipo di personalissimo movimento. Jack mantiene chiusa in avanti l’articolazione, con testa della racchetta che punta la palla in arrivo fino all’ultimo istante possibile, poi solo alla fine scatena un qualcosa che sarebbe l’ovalizzazione dell’attrezzo, ma che si fa fatica a definire tale, contenuta e rapidissima, solo di rotazione dell’avambraccio e del polso (che in ogni caso, nella fase di accelerazione verso la palla rimane bloccato a 90 gradi, questo vale anche per Sock, solo che è una fase più breve del consueto). Ripeto, sembra davvero baseball, e sospetto che nel tempo libero Jack non sia niente male sul monte di lancio. Il follow-through è un “tergicristallo” molto evidente, che a volte lo statunitense lascia andare fino al “reverse forehand”, finale sopra la spalla destra, simile a quello di Rafa.
Da due metri, decisamente impressionante, Thiem non è certo uno che se c’è da fare a cazzotti da fondocampo si tira indietro, ma spesso l’ho visto in difficoltà a reggere ritmo e rotazioni di Sock. Due metri quando andava bene, perchè, come vediamo qui sotto, e ricordo che eravamo in un campo allestito alla meno peggio, per finire con una nota divertente, vi faccio vedere il video più esteso e a velocità normale.
Dopo pochi secondi, Jack va in recupero con il rovescio, praticamente inciampa su di me che lo stavo filmando (e mi guarda per capire dov’ero e tenere le distanze), continua a girarsi tra un colpo e l’altro anche dopo, e l’occhiata finale che mi dà, nell’ultimo frame del video, personalmente la ritengo il manifesto di tutti questi anni di spunti tecnici in giro per il mondo: come a dire “Luca, ma sempre in mezzo alle scatole stai!“. Sorry, Jack, me ne rendo conto, ma non credo che smetterò. Magari, la prossima volta mi scanso un attimo, comunque, hai ragione pure tu.