A causa soprattutto della sua collocazione nel calendario ATP, ovvero al termine di una stagione fin troppo densa di appuntamenti e a ridosso delle Finals, negli ultimi anni il Master di Bercy ci ha regalato la presenza di diversi outsider in finale. Per esempio l’anno scorso, nell’epilogo del torneo, Andy Murray si trovò di fronte il gigante statunitense John Isner, che solo una volta in precedenza si era spinto così avanti in un 1000. Scorrendo fino al 2012 troviamo il polacco Jerzy Janowicz, che da qualificato riuscì ad arrivare fino in fondo alla competizione arrendendosi solo a David Ferrer. Proprio lo spagnolo, come Soderling e Berdych, ha vinto a Bercy il primo e unico 1000 della carriera. Ma questi scontri un po’ singolari suonano tutto sommato prevedibili se raffrontati alla finale di quest’anno tra l’americano Jack Sock e il serbo Filip Krajinovic.
Gli appassionati di tennis probabilmente conoscono Sock. Nato in Nebraska, come Andy Roddick, il 24 settembre del 1992, vincitore degli US Open junior nel 2010, attualmente è il n.22 della classifica ATP (ma quest’anno ha toccato il suo best ranking di n.14). Ha vinto tre titoli, due in questa stagione ad Auckland e Delray Beach, e vanta come miglior risultato negli Slam il quarto turno a Flushing Meadows nel 2015 e al Roland Garros nel 2016. I più attenti si ricorderanno il successo in doppio a Wimbledon in coppia con il canadese Vasek Pospisil nel 2014, ottenuto superando in cinque set niente di meno che i gemelli Bryan. Tecnicamente sembra una versione in miniatura del suo più illustre conterraneo: servizio (un po’ meno) dirompente, micidiale dritto (ancora più) arrotato, rovescio comprato al supermercato.
Anche molti appassionati di tennis probabilmente non conoscono Krajinovic. Nato a Sombor, il 27 febbraio sempre del 1992, talento prodigio sulle orme di Djokovic, a 15 anni si trasferisce in Florida da Bollettieri che lo paragona ad Agassi, a 16 ottiene i suoi primi punti tra i pro, a 17 centra tre finali a livello Challenger e a 18 approda per la prima volta in semifinale in un torneo ATP, a Belgrado, proprio grazie al ritiro di Nole. Poi l’infortunio alla spalla nel 2011 che lo tiene ai box per un anno, le difficoltà del rientro e il peso delle aspettative su chi sembrava un predestinato, poi di nuovo un infortunio al polso. Considerata la sua classifica di n.234 del mondo, nel 2017 si è dedicato quasi completamente ai Challenger, dove ha ottenuto 5 titoli, tutti sulla terra, ad Heilbronn, Marburg, Biella, Roma e Almaty. Confortato da questa serie di risultati positivi, ha centrato dalle qualificazioni il suo primo main draw stagionale nel circuito maggiore a Mosca, ottenendo anche la prima vittoria contro Rublev. Al momento è n.77 del ranking ATP. C’est tout, come direbbero i francesi.
In questo torneo Sock era arrivato con la testa già in vacanza tanto che all’esordio si era ritrovato sotto 5 a 1 nel terzo set contro il britannico Kyle Edmund. Poi ha deciso di svegliarsi, ha portato a casa quel match al tie-break e sconfitto in fila Pouille, fresco di vittoria a Vienna e ancora in corsa per le Finals, Verdasco, apparso in grande spolvero, e Benneteau, che all’ultima apparizione a Bercy ha sfiorato il miracolo. E ora, contro ogni aspettativa, il ragazzotto del mid-west ha la concreta occasione di portarsi a casa il primo 1000 della carriera e insieme staccare il biglietto per le ATP Finals di Londra, pure quello per la prima volta in carriera, superando lo sciagurato Carreno-Busta che dopo la semifinale all’US Open non ne ha imbroccata una. Ah, tanto per non farsi mancare niente, Jack entrerebbe anche in Top 10, diventando per la prima volta il n.1 di un paese che di n.1 ne ha visti due o tre, e pianterebbe di nuovo la bandiera a stelle e strisce su un Masters 1000 dopo 7 lunghissimi anni e sul torneo di Parigi Bercy dopo 18 anni. Gli ultimi nipoti di Zio Sam a riuscire in queste imprese? Roddick (Miami 2010) e Agassi, mica male.
Krajinovic pensava di venire a Parigi di passaggio, tra un challenger e l’altro. E invece la sua avventura è stata lunghissima. Vittorie su Pella, Djere (rimontando un set di svantaggio) e Sousa nelle qualificazioni. Poi i successi su Sugita, Querrey (pure lui sprecone nella corsa alle Finals), Mahut, la benedizione del ritiro di Nadal e il capolavoro alla distanza su uno stanco Isner. Per lui, in caso di vittoria le prime volte saranno ancora di più: primo titolo ATP appunto, primo qualificato a vincere questo torneo, prima volta nei primi 50 (n.25 di preciso) e quindi buone possibilità di strappare una testa di serie all’Australian Open. Impensabile appena pochi giorni fa. Così come impronosticabile sarebbe la sua eventuale iscrizione all’albo dei vincitori serbi di un Masters 1000: l’unico per ora è, ovviamente, Novak Djokovic. Krajinovic sarebbe inoltre il giocatore con la classifica più bassa a vincere un torneo di questa categoria dal 2001, quando lo spagnolo Roberto Carretero trionfò ad Amburgo battendo Corretja.
Non c’è nessuno scontro diretto negli archivi tra i due finalisti a livello di circuito ATP, visto che il balcanico lo ha frequentato decisamente poco in carriera. Per pescare un Head to Head tra Sock e Krajinovic bisogna tornare indietro alla semifinale del Challenger di Savannah, Georgia, edizione 2014. Si impose Sock, in due set, con un doppio 6-4, anche se poi perse la finale contro un giovanissimo Nick Kyrgios. Lo yankee parte anche oggi favorito e se dovesse mantenere l’efficienza al servizio che lo ha contraddistinto nel corso del torneo (94% di giochi vinti con la battuta a disposizione) potrebbe avere la vittoria in tasca. Ma il serbo sembra avere il dente avvelenato contro gli americani a Parigi ed è già sopravvissuto alle bombe di Querrey e Isner. Se riuscirà a non farsi sopraffare dal big game di “Giacomo Calzino”, mettendolo sulla difensiva, potrebbe avere una chance. In fondo questa è stata l’edizione più pazza del Masters 1000 più pazzo dell’anno, il primo a non portare alcuna delle prime otto teste di serie in semifinale da Montreal 2001. Non ci dovremmo più stupire di nulla.