E anche quest’anno si torna a Londra per chiudere la stagione tennistica. Una città che, in questo 2017, ha avuto per Marin Cilic un sapore tanto dolce all’inizio quanto amaro in fondo. Nella capitale inglese Marin ha disputato dodici match perdendone solo due, purtroppo per lui due finali. Entrambe sono finite in tre set, ma mentre la prima (Queen’s) è stata combattuta, incerta ed emozionante, nella seconda l’equilibrio non è durato a lungo – anche se forse in quanto a emozioni qualcuno tenderebbe a preferire questa. La finale di Wimbledon contro Federer è l’incontro, perso, più importante della carriera di Cilic e le lacrime versate dal croato durante il secondo set sono diventate inevitabilmente una fotografia memorabile di quest’anno di tennis. Una vescica al piede destro gli ha impedito di poter giocare al massimo e la frustrazione in quel momento ha preso il sopravvento, ma ciò non toglie l’ottimo risultato ottenuto.
Nonostante lo scorso anno di questi tempi Cilic avesse all’attivo due titoli (tra cui il primo ‘1000’) e si apprestasse a mettere fine al regno di Djokovic, il 2017 si potrebbe persino considerare un’annata migliore. Il raggiungimento della seconda finale Slam della carriera è un traguardo che ha molteplici valenze: ha messo finalmente in mostra su palcoscenici importanti il suo feeling con l’erba, gli ha ridato slancio in classifica nonostante il successivo lungo stop estivo, e soprattutto ha iniziato a dare continuità, seppur con notevole ritardo, al successo degli US Open del 2014. Tornei del genere fanno acquisire consapevolezza nei propri mezzi, e se questa viene ben sfruttata può fungere da miccia per far decollare il razzo. Restando nella metafora, si può dire che la rampa di lancio era già stata preparata con la vittoria a Flushing Meadows, dopo la quale in molti storsero il naso nel leggere il suo nome sulla lista dei vincitori di un major… e va detto che il nativo di Medjugorje non fece molto per farli ricredere. Nel 2015 vinse solo il 250 di Mosca e negli Slam raggiunse una semifinale a New York, mentre l’anno scorso, come detto, fece qualcosa in più trionfando al Western & Southern Open. Ma dopo la finale di Wimbledon Cilic ha messo in chiaro definitivamente come quel successo non fosse affatto casuale. Piazzare un’altro risultato notevole a livello Slam fa ben sperare per il futuro e il croato sta iniziando a crearsi una certa reputazione; nelle giornate migliori è in grado di produrre un gioco di livello altissimo, diventando straripante alla battuta e letteralmente ingestibile con le accelerazioni da fondo.
Un appunto che si fa spesso a questo genere di giocatori (Cilic, Berdych, Tsonga…) che stazionano a ridosso dei più grandi, è sempre quello di non riuscire a tirar fuori gli artigli per sferrare la zampata finale. Ciò che manca a Cilic ovviamente non è tanto sul piano del gioco o della tattica, ma più su quello caratteriale. La cattiveria agonistica c’è ma forse dovrebbe trovare il modo di usarla in maniera più adeguata e non farla sfociare in piccoli gesti di nervosismo. Ebbene nel 2017 non possiamo dire che il croato abbia fatto progressi in questo senso. Nel 2017, dei diciannove match giunti al set decisivo, ne ha persi nove vincendone quindi solo dieci. Se poi consideriamo che in totale è uscito sconfitto dal campo diciannove volte, significa che la metà di queste è stato ad un set dalla vittoria. I numeri complessivi comunque sono leggermente migliori rispetto al 2016, anno in cui vinse 49 match su 73 (67%), mentre nel 2017 ha vinto 42 match su 61 (69%). È evidente che la lunga pausa alla quale è stato costretto tra luglio e agosto abbia influito sul suo rendimento – soprattutto se si considera che il risultato più importante del suo 2016 era arrivato proprio in quel periodo a Cincinnati – tuttavia è riuscito comunque a migliorare il best ranking. Dopo tre anni passati ininterrottamente nella top-15, finalmente la perseveranza e la poco appariscente continuità gli hanno permesso di entrare nella cinquina che conta. A metà ottobre è salito al quarto posto.
Lo scorso anno Marin arrivava a Londra ricoprendo il ruolo di mina vagante (era testa di serie numero 7). Oggi, viste le assenze di Murray e Djokovic, quello con il palmares più vasto dopo Federer e Nadal è lui, e di conseguenza è inevitabile aspettarsi risultati migliori rispetto alle Finals del 2016. Cilic dodici mesi fa era nel gruppo ‘McEnroe’ in compagnia di Murray, Nishikori, e Wawrinka, e dei suoi tre incontri vinse solo quello d’esordio contro il giapponese in tre set; la sconfitta con il numero 1 fu netta mentre con lo svizzero furono due tie-break a condannarlo. Le condizioni con le quali si presenta all’ultimo torneo dell’anno fanno tutto sommato ben sperare. Dopo gli US Open ha preso parte solamente a quattro eventi, tutti dal mese di ottobre in poi, e salvo la sconfitta con Mannarino a Tokyo, le partite perse con il n. 1 Nadal a Shanghai, il redivivo del Potro a Basilea, e il favoloso Benneteau a Bercy, sono risultati che, considerando il modo in cui sono arrivati, ci possono stare. La sua prima partecipazione alle Finals era avvenuta nel 2014 e in quel caso le cose non andarono bene: nel match d’esordio rimediò una sonora sconfitta contro Djokovic e successivamente disse “non mi sono sentito a mio agio”. In totale il croato alla O2 Arena ha disputato sei incontri di cui uno solo vinto, il conteggio dei set è invece 3-11. Non sappiamo se questo è sufficiente per farlo essere a suo agio, ma quel che è certo è che dovrà farselo bastare.