Nadal e il tabù Masters. Federer è in semifinale (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)
Domanda facile facile: chi è il primo qualificato alle semifinali del Masters? Risposta esatta: un signore di oltre 36 anni che ha trovato la pozione magica per dilettare e dilettarsi, chissà fino a quando. Non è stato il miglior Roger Federer dell’anno, quello del secondo match del round robin londinese, ma la prestazione va tarata anche sul valore dell’avversario, il ventenne Sascha Zverev, da tempo accreditato proprio dal Divino, di cui è uno degli sparring d’allenamento preferiti, come erede lassù in vetta. Per un’ora, il tedesco tiene un ritmo infernale, comanda il gioco per lunghi tratti e solo per comprensibile volubilità giovanile perde un primo set in cui è sopra 4-0 nel tie break. Ma nel secondo recupera da un break sotto, tiene Roger lontano dalla rete e si rimette in vita, favorito dalle scarse percentuali di prime e dalla fallibilità di rovescio dell’avversario. Il terzo set però non ha storia, i 45 gratuiti totali di Sascha indirizzano la sfida e offrono a Federer il 54 successo alle Finals e la 14a semifinale in carriera (sei successi, l’ultimo nel 2011).
Invece esistono amori tormentati e impossibili, che ti respingono a ogni appuntamento e non accettano corteggiamenti. Nadal si è preso cuori su cuori in carriera, ma la relazione con il Masters non è mai sbocciata. Anzi, lo ha portato spesso a una valle di lacrime: Rafa si è qualificato per 13 volte alle Finals, e in cinque occasioni non è neppure riuscito a giocarle, sempre per acciacchi assortiti. E quest’anno, che ci arrivava di nuovo da numero uno, ha dovuto accettare l’addio dopo il primo match perso contro Goffin. Il ginocchio destro, martoriato dall’inguaribile sindrome di Hoffa, ha prolungato la maledizione: il satanasso maiorchino non è mai riuscito a vincere l’ultimo evento stagionale, malgrado le due finali giocate nel 2010 e nel 2013, una delle rare perle che non appartiene ancora alla sua collezione. Un mese fa, sull’onda dei trionfi a New York e a Pechino con annesso il primato in classifica, pareva che il tabù potesse finalmente cadere, o quantomeno essere affrontato a petto in fuori, e invece il fisico ammaccato da mille battaglie ancora una volta gli ha chiesto il conto: «Non potevo continuare, non avrebbe avuto senso. Non riesco ad andare avanti, è stato un miracolo essere in campo».
Così, un’annata scintillante, fenomenale, eroica, che gli regala comunque il numero uno di fine stagione per la quarta volta in carriera, si chiude mestamente con due ritiri, a Bercy e a Londra: «Ho deciso durante il match, avevo sensazioni terribili, non stavo bene in campo. però sono contentissimo di come è andato l’anno. Spero di poter tornare a giocare ad alti livelli presto, ma non meritavo di finirlo in condizioni non buone, in campo. Certo, credo di essere il top player che ha avuto più infortuni in carriera, più problemi di tutti. Ma sono abituato, e so cosa devo fare». Programmazione, dunque. E’ facile immaginare che senza la pesante trasferta asiatica (dove però ha ottenuto una vittoria a Pechino e la finale di Shanghai, determinanti per la vetta del ranking), oggi la 02 Arena potrebbe ancora applaudirlo, anziché averlo salutato con grande deferenza e debordante affetto. Una conclusione che non tiene conto di un paio di considerazioni: innanzitutto che il problema alle ginocchia è congenito e può ripresentarsi in ogni momento, fermo restando che 78 partite in stagione (quelle giocate da Rafa nel 2017) indubbiamente rappresentano un aggravio; e poi che Nadal è un agonista, si nutre dell’atmosfera dei match, nella sfida con l’avversario ha sempre cercato conforto alla forza e alle certezze del momento. Soprattutto, è una conclusione che lui stesso rigetta: «Non rimpiango nessuna delle scelte che ho fatto quest’anno, non hanno inficiato sulla mia condizione. Se decido di giocare, è perché sento di poterlo fare. Sono anche abituato a questa situazione, purtroppo la mia carriera va così. Sono dispiaciuto ma non mi dispero: ho avuto una stagione fantastica (…)
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L’uscita di Nadal: la realtà va oltre l’immaginazione (Gianni Clerici, La Repubblica)
Non sappiamo più se definire il tennis un film, e le partite un copione. Dopo aver ammirato, con molte riserve, i film con Riggs che in realtà finge di perdere dalla King, e di Borg che termina la sua carriera a causa di McEnroe, ho assistito l’altra sera a un film verità, al termine del quale Rafael Nadal è stato battuto per la prima volta da un tennista più debole di lui. Com’è potuto accadere, se quello che ho visto non era un film? E’ accaduto che Nadal era infortunato, che il ginocchio destro, nonostante gli interventi del mitico Dottor Cotorro, che lo assiste da una vita, non era altro che un incerto sostegno, un organo poco adatto alla corse e tanto meno agli appoggi. E’ accaduto che, a causa di quel ginocchio, Nadal aveva abbandonato la sua abituale posizione che lo porta, partendo tre o quattro metri fuori dalla linea di fondo, come faceva anche Borg, a colpire le ribattute. E via via a raggiungere la baseline, per assestare il suo terribile diritto mancino, un colpo che prima di lui non esisteva e che, al suo paese, tutti conoscono come “la nadalite”.
Un colpo che non esisteva, se non come Borg shot, ma che lui, Nadal, ha portato agli estremi di mancino per decisione familiare. Con simile colpo, Rafa ha costruito tutti i suoi successi, e gli avversari, per lo più battuti, hanno dovuto rassegnarsi ad evitare il colpo, o ad anticiparlo, attaccando Nadal su un rovescio altrettanto insolito, e quasi altrettanto preoccupante. L’altra notte Rafa giocava contro il belga Goffin, il primo belga che attinga al livero dei suoi antenati Washer, e Brichant, incredibile esempio di tennista altrettanto forte nel tennis che nel basket. Goffin è n. 8 del mondo, ma mi domando se potrebbe davvero battere un Nadal col ginocchio destro sano.
Il disagio al ginocchio ha fatto sì che Nadal perdesse e non recuperasse gli abituali metri di campo per solito difesi, e cioè i 206 mq, e non meno di 50 dietro la riga di fondo. Avremmo così sofferto la vicenda di un tennista costretto alla difesa di un campo teoricamente più vasto di quello del suo avversario. A ciò si è aggiunta la reazione emotiva di Goffin, che ha più volte sofferto punteggi resi incerti dalla personalità di Rafa. Dal primo tiebreak, al secondo set in vantaggio quasi decisivo per 5-3 perduto dopo 4 match point al tiebreak, al 3 set, in cui da 1-4 ecco l’infortunato risalire nuovamente a un filo dalla parità, a 4-5. Per fortuna del civilissimo Goffin il copione dell’immaginario film, che avrebbe visto Nadal vincitore, risanato, e confermato n. 1 di questa annata straordinaria non era ancora pronto (…)