La lezione data da Grigor Dimitrov a un Goffin leggermente claudicante, e comunque da sempre incapace di arginare il tennis del bulgaro con il quale il bilancio dei testa a testa è 1 a 7 (e l’unica vittoria del belga era stata quest’anno a Rotterdam… ma Dimitrov arrivava dall’aver vinto il torneo di casa a Sofia) e la vittoria più sofferta del previsto di un ancora discontinuo Thiem al terzo sul “ripescato” Carreno Busta, non meritano molta più attenzione della cronaca già loro dedicata dagli altri due inviati di Ubitennis qui a Londra, Carlo Carnevale e Luca Baldissera. Mi cimento qui allora in un articolo un tantino complicato, perché fare i conti in tasca a un torneo del quale l’ATP non ti vuole dire niente, allargando la situazione “commerciale” anche ad altre realtà, i due circuiti, gli Slam, gli sponsor, è tutt’altro che semplice. I dati che ho raccolto, riferiti al 2016 perché il 2017 non è ancora concluso, non vanno presi per oro colato. Però dovrebbero avvicinarsi abbastanza alla realtà e, comunque, rendere l’idea di una situazione abbastanza complessa, peraltro con molte zone d’ombra.
Partiamo da alcuni dati precisi, sicuri. Nella giornata di apertura delle finali ATP nella 02 Arena c’erano stati quasi 34.000 spettatori. 17.800 nella sessione pomeridiana illuminata da Federer (e un po’ meno da Sock), 16.117 in quella serale in cui si è esibito vittoriosamente al suo esordio Zverev (su Cilic). Nei due giorni successivi ci sono stati un migliaio di spettatori in meno, 33.065 lunedì, 32.993 martedì. 230.000 biglietti sarebbero già stati venduti (su un totale potenziale di circa 300.000 biglietti negli otto giorni, visto che la capienza è di 21.000 posti, che vanno moltiplicati per due x 7 giorni più i 21.000 del giorno finale) anche se non gioca Murray. Lo scorso anno gli spettatori furono 263.000, e le finali ATP furono il quarto evento più grosso di tutto l’anno nel Regno Unito. È vero che c’erano Andy Murray e Novak Djokovic in lotta per il primo posto, ma non c’erano però né Roger Federer né Rafa Nadal, presenti invece quest’anno (anche se Rafa per poco).
La media del costo di un biglietto, fra quelli a bordocampo e quelli in piccionaia, oscilla – in soldoni e senza garantirvi una precisione a prova di bomba – intorno alle 40 sterline. Ciò significa un introito attorno ai 12 milioni di sterline, oltre 14/15 milioni di euro. E stiamo parlando solo dei biglietti. Dagli sponsor l’ATP nel 2016 riscosse 21,43 milioni di sterline. Cioè quattro volte quello che la WTA incamera dalle finali WTA a Singapore (5,32 milioni). È abbastanza difficile “scovare” gli introiti derivanti dai diritti televisivi da 50 Paesi, di cui 14 in Asia, 2 nel Medio Oriente, 5 nel Nord America, 2 in Africa, 1 in Oceania, e il resto, 26, in Europa, fra cui ovviamente Sky Italia che ha anche acquistato i diritti per lo streaming di NOW TV che consente, senza contratto, di acquistare la possibilità di vedere le finali anche per un solo giorno (per tutto ciò che offre Sky), per tutta la settimana, per un mese. Ogni Paese, a seconda della tipologia del network, cable e non, dell’audience ipotizzabile e di tante altre componenti e varianti, ha un suo metro. Ma voci abbastanza informate (?) garantiscono che il muro dei 50 milioni di sterline di introiti sia stato ampiamente superato.
Per quanto riguarda gli sponsor le finali ATP ne hanno 16, quasi tutti presenti tutto l’anno lungo il circuito. Fra le uscite l’unica davvero certificabile e sicura al 100 per 100 è quella del montepremi: 8 milioni di dollari USA. È facile capire perché da Londra l’ATP non si voglia più allontanare, dopo che in passato era stato detto che il torneo non sarebbe mai rimasto per più di cinque anni nella stessa città.
Come avete visto i ricavi dai biglietti rappresentano una minima parte dei proventi di quest’evento che è di gran lunga la fonte di maggior reddito per l’ATP. I diritti televisivi costituiscono la fetta maggiore, insieme ai main sponsor e alla vendita degli spazi commerciali e delle suites per le p.r. all’interno della 02 Arena. L’ATP non fornisce dettagli in merito. Ma sono somme colossali. Vi basti sapere che la suite dalla quale si poteva ammirare dall’alto il gioco sul centrale della 02 Arena – e che era il luogo nel quale ogni anno veniva premiato un giornalista con il Ron Bookman Media ATP Award – quest’ anno non era disponibile per la cerimonia che ha premiato l’argentino Guillermo Salatino, 72 anni, primo sudamericano insignito di tale onorificenza e leggenda del giornalismo del suo Paese e non solo. Ci è stato detto – ma nessuno poteva dirlo con certezza – che quella sala “panoramica” era stata venduta per le p.r. dei due maggiori sponsor del torneo, Nitto e J.P.Morgan, main sponsor e uno dei cinque “platinum sponsors” del circuito ATP (gli altri sono Emirates, FedEx, Peugeot e Infosys) al modico prezzo di 3 milioni di sterline. Inciso: proprio recentemente la banca d’investimento J.P.Morgan che dal 1982 sponsorizza l’US Open (anche attraverso la Chase Manhattan Bank) ha annunciato che sarà il Diamond sponsor del Rolex Masters 1000 di Shanghai.
Quando un torneo è così importante, ed è così ben seguito commercialmente, i guadagni sono enormi. Qui nel Regno Unito la BBC con il suo secondo canale trasmette i match del pomeriggio, Sky Sport quelli della sera. Quando una tv nazionale acquista i diritti di un torneo, di un evento, quel torneo, quell’evento hanno… ”svoltato”. Non lo dico per spirito polemico, credetemi, ma se un torneo di tennis nazionale o la Coppa Davis e la Fed Cup, vengono mostrati da Supertennis significa che nessun grande network nazionale l’ha creduto interessante in termini di audience e l’ha voluto. Il giorno che l’Italia avesse un grande campione, un Alberto Tomba, un Valentino Rossi con racchetta, i tornei cui parteciperebbe verrebbero certamente trasmessi da Rai, Mediaset o Sky. E non più da Supertennis. Se ciò accadesse, insomma, per Supertennis non sarebbe una bella cosa, ma per il tennis e la stessa Federtennis invece sì.
I ritorni economici delle ATP finals sono in continuo crescendo. Quelli di quest’anno ancora non si conoscono, ma rispetto al primo anno della gestione Kermode – cioè dacchè si giocano a Londra – erano cresciuti del 215%. Gli sponsor non sono solo nei banner attorno al campo o nella 02 Arena. C’è la Fan Zone dove, fra le varie attività, gli spettatori possono paragonare la velocità dei loro servizi con quelli dei “Maestri” con la Ricoh, possono vedere come gli accordatori della Tecnifibre incordano una racchetta dei campioni oppure riempire sondaggi o farsi fotografare per conquistare magliette e pantaloncini della Lacoste. Secondo una ricerca condotta dagli analisti dello Sport Business Group, in collaborazione con le agenzie di management collegate con lo sport, per le finali ATP e WTA, più i quattro Slam e i due circuiti (quindi senza considerare tutto il resto che attiene all’ITF, Coppa Davis e Fed Cup e Olimpiadi) gli sponsor nel tennis hanno investito nel 2016 circa 550 milioni di euro. E hanno interagito facendo affari con i 4 Slam ottantaquattro (84) diversi brand. E con un centinaio di tornei fra ATP e WTA sono stati raggiunti 843 “affari-accordi” di sponsorships piccole e grandi. Chris Kermode, direttore delle ATP finals a Londra da sette anni quando cominciarono qui, ha le idee chiare: “Dobbiamo attirare un’audience più giovane rispetto a quella tradizionale, ma non fraintendete, non penso ai ragazzi di 12 anni. C’è un grande mercato di ventenni interessati… a metà, che bisogna cercare di raggiungere mentre stanno crescendo per non perderli”.
E così – in straordinario contrasto con i gesti bianchi e i silenzi di Wimbledon – alla 02 Arena risuonano note di rock al massimo dei decibel ai cambi campo, volteggiano le “spider” telecamere a sorprendere in ogni angolo gli spettatori per coinvolgerli, tuonano i battiti del cuore quando i giocatori chiedono il challenge con il pubblico che si lascia trascinare un po’ pecorescamente e applaude… Questi non sono soltanto mezzi per procurarsi il cosiddetto “engagement” degli spettatori, cioè una partecipazione attiva, ma sono i segnali di un nuovo chiaro dinamismo nel marketing del tennis, sport che nei piani degli strateghi del marketing deve assomigliare sempre di più all’intrattenimento se vuole sviluppare business. C’è chi preferirà passare una serata, più giorni, in uno stadio di tennis dove accadono tante cose, insomma, e altri che invece preferiranno andarsi a guardare “Ballando con le Stelle”. Ma sempre di intrattenimento si tratterà. Senza business, ormai – piaccia o non piaccia – non c’è più sport che possa svilupparsi. Forse in Italia si dovrebbe tentare di coinvolgere un tipo come Fiorello.
Il tennis si presta abbastanza a questo tipo di evoluzione – che qualcuno certo considererà regressione – perché in altre discipline gli sportivi sono più distanti, più lontani, meno accessibili… agli occhi della gente. Pensate anche soltanto al momento dei campi campo, quando il tennista resta seduto per un minuto e mezzo con le telecamere che – se non ci sono spot pubblicitari in onda – lo riprendono in primo piano. Quale altro sport lo permette? Non quelli di squadra, neppure il popolarissimo calcio. E quei cambi di campo istituzionalizzati consentono più che in altri sport l’ingresso televisivo, e digitale, degli spot commerciali.
Tanti ormai, anche a Roma, e da ultimo alle Next Gen ATP Finals di Milano stanno copiando questo trend londinese che in parte si è sviluppato per primo in America, ma che le “apripista” ATP Finals stanno propagando in Europa. Anche le finali femminili WTA a Istanbul si ispirarono a Londra… senza avere il bacino di fans di una città come Londra. E poi le donne fanno meno cassetta degli uomini, soprattutto in certi Paesi, anche se a livello individuale le tenniste comprese fra il quinto e il decimo posto possono “valere” perfino più degli uomini che hanno un’identica classifica ma non vincono uno Slam (monopolizzati da una decade dai Fab Four): lasciando da parte il fenomeno Federer, un ex n.1 come Murray o Djokovic ha dovuto competere con Lewis Hamilton, Valentino Rossi, Cristiano Ronaldo, Lionel Messi. Serena Williams e, più di lei, Maria Sharapova, non hanno avuto avversarie. C’erano tre tenniste nella lista di Forbes magazine delle atlete più sponsorizzate.
Il tennis più ancora di altri sport sta utilizzando al massimo il mondo dei digital media, dei social. Le pagine visualizzate dei giocatori più forti e popolari, ormai tutti assistiti da veri e propri team di media p.r. e di agenzie specializzate, crescono di anno in anno del 150%. C’è un solo Wimbledon e un solo campo centrale è il Tempio del tennis, ma lo sport ha sempre più bisogno di mezzi per raggiungere folle oceaniche tramite la tv e anche il sold out che la tv deve poter enfatizzare. Non c’è di peggio che assistere ad uno spettacolo televisivo con gli spalti vuoti. E neppure Wimbledon si può più permettere una giornata cancellata dalla pioggia. Così ha coperto il Centre Court con un tetto e si sta apprestando a coprire anche il n.1, sulla falsariga dei tre campi copribili dell’Australian Open. Ma l’incredibile diffusione mondiale dello sport, e del tennis, finisce per annacquare perfino l’importanza del grande campione nazionale, se si parla di business. In Inghilterra l’evento televisivo più visto del 2013 – è un esempio – fu il Wimbledon vinto da Andy Murray, 77 anni dopo Fred Perry. Ma perfino per Wimbledon sarebbe stato meglio che il torneo lo vincesse un giocatore asiatico. Il trionfo di Li Na al Roland Garros 2011 (sulla nostra Schiavone, campionessa in carica) si portò dietro 300 milioni di audience cinese.
L’attrezzatura sportiva è inevitabilmente il settore che, come numeri di affari (ma non di volume di soldi), è più presente. 55 “contratti” sono stati fatti da 13 marche. Ciascuna di queste quattro, Babolat, Head, Wilson e Yonex hanno stipulato più di cinque contratti di sponsorship. La Wilson è l’unica marca che “ha” due Slam: Australian e US Open. In Italia, e anche queste sono dati raccolti un po’ approssimativamente, le quattro marche dominanti per le racchetta sono Head (leader), seguita da Babolat e Wilson che coprono quasi l’80% del mercato. Senza contare Decathlon, che essendo azienda francese sfugge ai conti nazionali, e nemmeno quelle aziende di e-commerce che hanno base all’estero come Tennis-Point, Tennis-Warehouse o Mr.Tennis (difficile da configurarne il volume d’affari); si vendono circa 180.000 racchette l’anno per un fatturato complessivo intorno agli 8 milioni, euro più euro meno. Riguardo alle palle invece, al di là di un’oscillazione per ciò che concerne il volume rispetto al valore, Dunlop è fortemente in testa al mercato – circa il 50%, fra 48% e 53% – con Head che si attesta intorno al 26%, Wilson al 14% e Babolat al 10%. Fatturato complessivo (sempre con l’impossibilità di stabilire quanto “lavorino” gli stessi soggetti sopra citati) intorno ai 5 milioni. Ma, ribadisco, prendete questi numeri relativi a 480.000 dozzine di palle (per qualche strano motivo le palle si contano a dozzine…e il costo medio è di 10,50 euro a dozzina) con beneficio di inventario, giusto per avere un’idea, perché di anno in anno ci sono oscillazioni, lanci di nuovi prodotti che influenzano il mercato. Ma grossomodo la situazione non si dovrebbe discostare molto da quella descritta (con difficoltà, perché le aziende tengono spesso nascoste, oppure gonfiano, certe cifre e percentuali).
Per quanto riguarda gli sponsor più ricchi, cioè i maggiori contribuenti alle fortune del circuito ATP, alcune stime sostengono che la compagnia aerea Emirates è decisamente e di gran lunga lo sponsor più importante e massiccio. Verserebbe il 31% del totale sponsorship incassato da ATP. Il 16% Peugeot, il 15% Fed Ex, il 12% Wilson. Un altro 12% viene da marche di orologi, Rado e Rolex. Per tutti gli altri ci sarebbe un 14/15% ma ogni anno naturalmente ci sono varie oscillazioni. Per l’anno prossimo, ad esempio, la sponsorship “car-transportation” del circuito da parte di Peugeot non è ancora assicurata. Fino al 2020, insieme al nuovo sponsor Nitto che ha sostituito Barclays Bank, le finali ATP saranno ancora certamente a Londra e all’02 Arena. Secondo me resteranno qui per sempre.