A volte il tennis sa essere una fiaba. La lunga rincorsa del protagonista più inatteso, le fasi del riscatto, la gioia del lieto fine. C’è un ordine rintracciabile, una sorta di spinta narrativa che intorcina la trama attorno all’esigenza di abbracciare il finale che tutti auspicano. Erroneamente si crede invece che sia la favola a proporre, come caratteristica apodittica, il lieto fine. Per ogni Krajinovic che s’arrampica in finale a Bercy, per ogni Stephens che vince uno Slam dopo un comeback ai limiti del credibile: ‘ è una favola’, solo talvolta si ha il buon gusto di aggiungere ‘a lieto fine’. Perché in effetti la favola nasce con intenti moralistici, ha carattere giocoso, vuole insegnare qualcosa. E non sempre è conciliabile con il classico lieto fine.
Quella di David Goffin, appesa tra Londra e Lille, è probabilmente la favola del 2017. Il folletto di Rocourt ha fatto ogni cosa era in suo potere. All’02 Arena si è preso le spoglie di un Nadal ormai svuotato di ogni energia, poi ha fatto lo stesso con un Federer forse troppo convinto dei suoi mezzi e poco attento al serbatoio della riserva. Dunque ha imbracciato la baionetta e ha attaccato Dimitrov per 150 minuti in finale, senza sosta, ottenendone il trofeo del secondo classificato. La prima (crudele) morale: se l’avversario ha più chili e l’attitudine difensiva quella buona, hai voglia tu a sfiancarlo di stilettate. Alla fine soccombi tu, con tutto l’onore che ti è possibile ricevere e tutto sommato un buon assegno da mandarci i figli al college, un giorno.
Un centinaio di ore più tardi, in Francia ma praticamente quasi in Belgio, David è sceso in campo contro Lucas Pouille. Giocando il miglior tennis che era possibile giocare a soli cinque giorni da una finale parecchio logorante, al termine di una stagione che lo è stata almeno altrettanto e soprattutto negli ultimi tre mesi. 33 partite tra il 30 agosto e il 26 novembre, in 88 giorni. Quasi una partita ogni due giorni e mezzo, con due sole settimane di pausa. La 33esima l’ha giocata e vinta contro Jo Wilfried Tsonga, che aveva dalla sua il pubblico e il conforto degli scontri diretti, in particolare dell’ultima sfida di Rotterdam vinta in rimonta. Al Pierre Mauroy David ha trascorso un set sul cornicione, attaccando dal primo scambio come consuetudine di novembre vuole, e rischiando di vedersi sottrarre il servizio a più riprese. Sempre giocando meglio dell’avversario, ma trovando ragione nel punteggio solo dopo aver vinto il tie-break. Di lì un assolo del belga a farsi beffe dei drittoni del francese.
Due punti senza perdere un set, come a Charleroi contro l’Italia a febbraio, laddove a Bruxelles in semifinale erano stati ancora due punti con due soli set smarriti. Decisive nelle sfide casalinghe, questa volta le due vittorie di David Goffin sono servite solo ad alimentare i rimpianti. A realizzare gli altri tre punti sono stati infatti i francesi, che proprio non potevano esimersi dal punire un Bemelmans pasticcione in doppio e un Darcis tremendamente inconsistente tanto venerdì quanto domenica. Goffin, eroe silenzioso, ha provato a tirare la giacchetta alla fiaba perché si palesasse col suo lieto fine, dopo la delusione della finale persa due anni fa. Sull’insalatiera del 2015 è inciso il nome della Gran Bretagna, più propriamente dovrebbe essere intitolata ad Andrew Barron Murray che dei dodici punti necessari per vincere la competizione, tra febbraio e novembre, era stato quasi totale artefice con otto vittorie in singolare e tre in doppio.
David Goffin ha dovuto pensare che si potesse vincere una Coppa Davis praticamente da soli, avendo delegato solo la faccenda tedesca di febbraio alle (allora) miracolose mani di Steve Darcis. Tecnicamente è possibile, ha dimostrato Murray, a patto di poter contare su un doppio di sicuro affidamento. O in alternativa si deve prendere in carico anche quell’onere. Andy lo ha fatto, ma potendo contare sul fratello Jamie, discreto attore dei giochi tennistici a quattro; David, anche avesse voluto cimentarsi con la sfida del doppio, avrebbe dovuto scegliere uno tra Bemelmans e De Loore. Il primo sconfitto tre volte quest’anno, nei doppi di Davis, il secondo in due occasioni. Tragico culmine la sconfitta decisiva di sabato contro Herbert e Gasquet.
La favola di Goffin, eroe anche sfortunato, si conclude così. Con una seconda morale. La Coppa Davis rimane un piccolo cosmo bistrattato all’esterno del tennis che conta, e assume rilevanza solo quando stai per vincerla. Ma se vuoi vincerla, hai bisogno di un tuo “doppio”. Se invece sei da solo… devi anche occuparti del doppio.