La vittoria di Lucas Pouille contro Steve Darcis nell’ultimo singolare della finale di Coppa Davis tra Francia e Belgio ha sancito il ritorno alla vittoria della Francia nella competizione dopo ben 16 anni (l’ultima volta era accaduto nel 2001 a Melbourne, allora un vero e proprio miracolo contro l’Australia di Hewitt e Rafter e oltretutto sull’erba).
Una vittoria più complicata di quello che si sarebbe potuto pensare, perché David Goffin ha dimostrato anche in questa occasione quanto sia stato nel finale di stagione uno dei tennisti più in forma. Due vittorie in terra asiatica nel circuito, poi la finale al Master, ed infine la seconda finale in 3 anni in Davis, dove davvero più di tanto in questo week-end non poteva fare. Il nuovo nr.7 del ranking ha prima dominato Lucas Pouille e poi stroncato l’esplsività di Jo-Wilfried Tsonga, di certo non l’ultimo arrivato.
Cosa è mancato allora al Belgio per cogliere lo storico successo? Innanzitutto, Steve Darcis. L’uomo Davis per eccellenza dei belgi è venuto clamorosamente meno in questa tre giorni di Lille. Se pensiamo che praticamente da solo aveva eliminato la Germania dei fratelli Zverev al 1° turno e poi colto il fondamentale successo contro Thompson nella semifinale con l’Australia, non sappiamo veramente a cosa ascrivere i due singolari davvero incolori di questo week-end. Un dato su tutti, l’attuale nr. 76 del ranking Atp ha conquistato in due match appena 10 giochi, 6 contro Tsonga (e forse ci può anche stare), appena 4 contro Pouille in quella che doveva essere la partita della vita. Probabilmente quel break a freddo subito nell’ultimo match gli ha fatto subito capire che non sarebbe stata la sua giornata, ma onestamente doveva e poteva fare qualcosa di più, soprattutto da un punto di vista mentale, anche se deve essere molto difficile giocare il punto decisivo per il tuo paese e capire che non sei al meglio. Psicologicamente un Everest da scalare.
Ma l’impressione è che la finale per il Belgio sia girata nel doppio di sabato, che come al solito in Davis è stato poi decisivo per la vittoria finale. Dopo un inizio disastroso De Loore e Bemelmans si sono venuti a trovare un set pari e 5-4 e servizio Bemelmans nel terzo, occasione più che mai propizia per andare due set a uno. Lì è crollato Ruben Bemelmans, ben conscio di ciò quando poi a fine match è scoppiato in lacrime sulla panchina belga. Perso il servizio (con annessi un paio di disastri dello stesso Bemelmans), i belgi hanno ceduto il set al tie break e di lì la partita è totalmente cambiata. Cosa sarebbe successo se la coppia belga fosse andata avanti due set a uno? La controprova non l’avremo mai, ma in quel momento Herbert e Gasquet (non proprio due tipi dal carattere forte) sembravano davvero in grossa difficoltà.
Lo “sliding doors” del doppio ci consente di passare dalla parte dei vincitori. La Francia torna con merito a vincere la Davis, anche se ad onor del vero come già scritto nella preview di questa finale, in finale ci era arrivata battendo 3 avversari privi dei loro numeri 1. Prima il Giappone senza Nishikori, poi la Gran Bretagna senza Murray ed infine la Serbia senza Djokovic (e Troicki). Ma per quella che è la storia della manifestazione e l’importanza che da sempre il movimento francese ha nel circuito tennistico, era giusto che dopo un digiuno di 16 anni si potesse festeggiare nuovamente la Davis.
Ed è alquanto scontato rimarcare quanto sia stata importante, al di là dei vari Tsonga, Pouille, Gasquet ed Herbert (senza dimenticare Mahut, Chardy, Simon e Benneteau), ai fini della vittoria finale la presenza sulla panchina francese di quel signore chiamato Yannick Noah. Perché dopo i 4 moschettieri degli anni ’30 non c’è dubbio che Noah sia una delle icone del tennis transalpino.
È stato l’ultimo francese a vincere in campo maschile uno Slam (1983 Roland Garros), è stato con lui in panchina che la Francia nel 1991 interruppe dopo 48 anni il digiuno di vittorie in Davis, con la fantastica vittoria in finale contro gli Usa di Pete Sampras e Andre Agassi (e del fortissimo doppio Falch/Seguso) a Grenoble. Fu lui che nell’occasione si affidò al “vecchio” rivale Henry Leconte che letteralmente travolse con il suo rovescio esplosivo un acerbo Sampras, talmente frastornato che sul 2-1 francese si fece poi anche battere da Guy Forget, allora nr 1 dei “blues”. Noah con Leconte a stento si parlava, ma in quell’occasione lo caricò a dovere e tutti insieme compirono l’impresa.
E fu sempre con Noah in panchina che la Francia vinse un’incredibile Davis in Svezia nel 1996, dopo aver in semifinale fatto un miracolo contro l’Italia di Gaudenzi e Furlan, che a Nantes era in vantaggio 2-0 dopo la prima giornata. L’Equipe il sabato mattina propose una vignetta con la mano e le treccine di Noah che emergevano (solo quelle) dalle sabbie mobili. Allora fu bravissimo a tenere sulla corda i suoi uomini che infatti compirono una impensabile (ahinoi) rimonta. E fu altrettanto mitico a guidare Arnaud Boetsch contro Niklas Kulti in una delle più palpitanti finali a Malmoe contro la Svezia. Sul 2-2 Kulti arrivò a 3 match point consecutivi sul 7-6 del quinto set 40-0. Boetsch non solo li annullò ma poi vinse 10-8 conquistando la Coppa.
Anche stavolta Noah è stato chiamato a compattare un gruppo potenzialmente di primo livello ma consumato dalle polemiche interne. La finale del 2014 a Lille contro la Svizzera ne fu una palese dimostrazione. Fermo restando l’indubbio valore di Federer e Wawrinka, in quell’occasione successe di tutto nel team francese, mal gestito da Arnaud Clement in panchina, che dimostrò di non avere l’esperienza e la “grandeur” alla Noah per gestire situazioni delicate. Prima tutto il gruppo francese dichiarò improvvidamente nei giorni precedenti l’inizio della finale di avere lo “champagne pronto in frigo” poi Tsonga non confessò un fastidio al ginocchio, giocò e perse contro Wawrinka nel primo singolare e poi rimase fuori dal doppio e la domenica, attirandosi le critiche dei compagni. La conferenza stampa finale dei francesi fu alquanto imbarazzante, era chiaro che nel gruppo c’era qualcosa che non andava.
Noah non fa sconti a nessuno, il gruppo prima di tutto. Monfils l’anno scorso contestò prima la scelta di giocare la sfida con il Canada nella lontana Guadalupe, poi decise di non giocare in Croazia lamentando problemi fisici, vincendo però un torneo la settimana seguente. Noah non gliel’ha mai perdonata e quest’anno lo ha tenuto fuori sempre, perché il suo obiettivo era avere il gruppo unito, sempre e comunque. Sono stati ben 8 i giocatori convocati dal capitano francese quest’anno e tutti hanno vinto almeno un match con il punteggio ancora in bilico.
Ma il capolavoro Noah lo ha fatto durante la finale. Prima ha cambiato il quartetto, sacrificando Mahut e convocando Gasquet, per avere comunque una scelta in più in singolare (scelta sacrosanta seppur rischiosa). Poi ha schierato in doppio una coppia inedita, Gasquet/Herbert, rinunciando a Tsonga che con lo stesso Gasquet aveva già giocato e vinto in Davis. “Mi è capitato di giocare in Davis con un compagno con il quale non avevo mai fatto coppia, non ci fu nessun problema” la tesi di Noah, ancora una volta esatta. Gasquet e Herbert seppur con qualche difficoltà il 2-1 lo hanno conquistato. “Se avessero perso mi avrebbero tagliato la testa” ha detto il capitano francese nella conferenza post-doppio, testa che sarebbe volata sicuramente stasera quando Noah ha deciso di schierare nel singolare decisivo Pouille invece di Gasquet (come tutti o quasi pensavamo). Chi lo avrebbe criticato se avesse schierato Gasquet e Richard avesse poi perso? E se invece avesse perso Pouille? Ma Noah non fa ragionamenti “politici”, lui fa quello che sente, quello in cui è convinto, lo ha fatto sempre e per questo non è un personaggio facile. Ma proprio per questo la vittoria della Francia è soprattutto sua, ancora una volta un vero leader, dentro e fuori il campo. Che poi sia entrato nella storia perché è il quarto capitano di Davis dall’abolizione del Challenge Round (1972) ad aver vinto almeno 3 volte il trofeo (affianca Fraser, Olsson e Pilic) è un dettaglio, nella storia del tennis Noah vi è da un bel po’.
Ultima osservazione. Non è stata una finale di Davis molto entusiasmante, ma lo spettacolo di pubblico e le emozioni non sono mancate. Speriamo che il sig. Haggerty ed i suoi uomini ci ripensino, ridurre le sfide al meglio dei 3 set sarebbe un vero e proprio delitto. Ieri su twitter qualcuno ha scritto “Nella Davis non c’è mai nulla di logico”, sacrosante parole e per questo non andrebbe mai cambiata. Lunga vita alla Davis.