George Homsi è nato in Libano, ma fin da giovanissimo si è trasferito in Francia e dagli Anni Ottanta è giornalista specializzato nel tennis e ha coperto tutti i tornei più importanti per diverse testate cartacee e radiofoniche. Fra le altre L’Equipe, Tennis de France, le radio RTL e, in Svizzera, RTS Sport. È stato direttore della Comunicazione ATP, fra il 1992 e il 1996, succedendo a Richard Evans nel posto oggi occupato da Nicola Arzani. Oggi collabora, fra gli altri, con RTS Sport, Sportinformation, Radio France. Parla correntemente francese, inglese, libanese, arabo e sa esprimersi anche in svedese e italiano. Da più di 35 anni è amico di Ubaldo Scanagatta, che qui lo ha intervistato per Ubitennis.
L’INTERVISTA
Qual è il primo Slam che hai seguito da inviato?
Nel 1982.
Parlaci della tua carriera. Come ti sei approcciato al tennis?
La ragione principale per cui mi sono avvicinato al giornalismo è stata la mia passione per il tennis, e non viceversa. Sono stato abbastanza fortunato da poter trasformare il mio amore per il tennis in una professione. All’inizio non è stato facile; si comincia lentamente, poi inizi a conoscere qualcuno che capisce che puoi fare quel tipo di lavoro.
Per quanti e quali giornali, riviste, radio hai lavorato?
Ho lavorato per molte testate. Onestamente non è una cosa a cui presto particolare attenzione, il mio approccio è più ‘ giorno dopo giorno’. Comunque ho lavorato molto per l’Equipe, che ha sempre avuto molti freelance, e per molti anni ho collaborato con RTL Radio. Anche per diversi magazine internazionali.
Hai ricoperto anche l’incarico di direttore della Comunicazione ATP. Come ci sei arrivato?
Ero molto giovane, non sapevo esattamente cosa aspettarmi. È stata un’esperienza che mi ha insegnato molto e mi ha aiutato a capire che gestire un team non è il mio punto di forza. È per questo che sono un freelance, amo l’idea di sentirmi indipendente.
È difficile essere un freelance oggi, con i giornali che sono sempre più in difficoltà?
Ci sono abituato, ma ovviamente è più difficile di quanto non fosse anni fa. Soprattutto per via dei budget ristretti e dell’avvento di Internet.
Non so tu, ma di solito noi giornalisti non diventiamo troppo ricchi con il tennis…
Se un giorno dovessi diventare ricco, beh, difficilmente sarebbe grazie al tennis o in generale grazie al giornalismo!
Quale consiglio ti senti di dare a un giovane che voglia diventare un giornalista grazie alla passione per il tennis, come te?
Il consiglio è… la passione. Se hai davvero una forte passione, seguila: tutte le porte si apriranno grazie alla passione. Seguila, tienila viva. Se la perdi tutto diventerà molto difficile.
È stato facile per te comprendere diverse lingue. È perché sei nato in Libano?
O perché sono intelligente (sorride)! Scherzi a parte, comprendere la lingua e gli accenti mi viene molto naturale. Il fatto che sono nato in Libano e da piccolo parlavo già due lingue diverse mi ha aiutato molto. In Libano parliamo francese e arabo che sono due lingue molto diverse; la bocca diventa, come dire… malleabile, così è più semplice districarsi tra le diverse pronunce. E poi mi diverte molto.
Dal 1982, quando hai cominciato, quanto è cambiato il tennis dal punto di vista giornalistico?
È cambiato completamente. Anni fa era tutto molto più ‘umano’, potevi dialogare direttamente con i giocatori. Oggi ci sono diverse barriere da superare, organizzazioni, agenti, uffici stampa. Onestamente è una delle cose che mi piace meno. Non voglio passare per uno che rimpiange il passato ma in questo caso sì, abbiamo perso qualcosa. Un po’ di umanità.
Grazie per essere stato con noi George. Almeno noi non abbiamo perso il nostro rapporto ‘umano’.
Grazie mille (in italiano).
I Signori della sala stampa: