Il primo ad avvicinare l’ex numero 1 al mondo fu Jo-Wilfred Tsonga, a febbraio del 2016 all’ATP di Rio de Janeiro. La proposta venne però rifiutata, e la prospettiva di una collaborazione a distanza allontanata, pressappoco per le stesse ragioni per cui naufragano le relazioni a distanza: sarebbe troppo complicato, mancherebbe il contatto costante e regolare durante l’anno, e si creerebbero false aspettative. Quest’anno è stata invece la volta di Juan Martin Del Potro, che ha contattato Kuerten ad Aprile, proponendogli una collaborazione da allenatore. Rifiutata anche questa però; Guga dice infatti di volersi dedicare per il momento al tennis brasiliano e ai giovani più che ai tennisti professionisti, non chiudendo però le porte ad un possibile impegno futuro nel box di un top player. Per Del Potro c’era però anche un’altra causa dietro il rifiuto: la battaglia cronica con gli infortuni, che Guga stesso ha affrontato (e perso), motivo per cui non si sente in grado di lavorare con l’argentino.
Nel caso in cui dovesse però aiutare qualcuno nel circuito ATP, Guga sceglierebbe probabilmente Dominic Thiem. Il brasiliano avverte una certa affinità con il gioco dell’austriaco e crede che potrebbe contribuire al suo sviluppo sulle superfici veloci. L’interesse però è più una suggestione che non una vera e propria proposta: Kuerten non sembra infatti intenzionato a riprendere la vita di viaggi e stress propria del circuito maggiore, e vuole dedicarsi ai due figli di 4 e 5 anni, e al progetto GugaTeam lanciato quest’anno.
GugaTeam consiste in una quarantina di scuole tennis sparse per il Brasile, che ospitano più di 2000 allievi. Lo scopo, secondo le parole di Kuerten, è più ampio rispetto al crescere semplicemente talenti. “Consolidare lo sviluppo del tennis in Brasile e dare fiducia e sicurezza agli allievi di poter contare sui propri mezzi per riuscire ad emergere”. Il progetto verrà portato avanti con calma e tranquillità, per trasformare l’esperienza di questa ragazzi in un’opportunità, senza trauma. L’idea è di insegnare l’idea che anche la sconfitta è positiva, fa parte del processo. Il dialogo con i genitori è un’altro tasto fondamentale, perché spesso vogliono solo che i figli vincano; io voglio che imparino”.