Prendi i soldi e scappa. La vita del tennista professionista, si sa, è costosa: viaggi, staff e alberghi sono spese pesanti, ma necessarie. Tra le voci di bilancio su cui si può lavorare per limitare l’alleggerimento del portafoglio, i giocatori sembrano prediligerne una in particolare: le tasse. E allora ecco che scattano le diaspore e i cambi di residenza apparentemente scomodi da un punto di vista logistico. L’ultimo in ordine cronologico a giocare la carta del trasferimento è stato Kyle Edmund. Il numero 3 britannico ha infatti deciso di abbandonare l’umidità di Beverley, nello Yorkshire, in favore del più piacevole clima tropicale di Nassau (Bahamas). Ma che non siano stati problemi di sinusite a determinare l’addio al “natio borgo selvaggio“appare piuttosto evidente.
Kyle raggiunge così il giovane collega Denis Shapovalov (anch’egli residente nella capitale bahamense) e si iscrive al sempre più folto club dei tennisti accasati nei vari paradisi fiscali. Nella lista dei “furbetti” spiccano i nomi di top player come Djokovic e Berdych (entrambi residenti a Montecarlo) o di giovani rampanti quali Pouille (Dubai) e Sascha Zverev (che dimora nel Principato, così come il fratello Mischa).
C’è da dire che non tutti i top player fanno ricorso a questa pratica. Tra i romantici spiccano Andy Murray, sempre attaccatissimo alle proprie radici e alla propria famiglia, Simona Halep, che ha promesso di aiutare la crescita tennistica del proprio paese dopo il ritiro, e anche Rafa Nadal, che non scambierebbe la sua Manacor con nessun posto al mondo. Un piccolo plauso con riserva anche per Roger Federer, che non ha cambiato residenza è vero, ma che di fatto è nato in Svizzera, dove la pressione fiscale è piuttosto leggera. Per dirla alla Gaber: “se fossi nato in altri luoghi poteva andarmi peggio“.
Piccola parentesi sul curioso caso dei giocatori statunitensi. Praticamente nessuno dei tennisti a stelle e strisce è andato a vivere negli Eden fiscali di cui sopra, ma oltre all’amor patrio, in questo caso, entra in gioco anche una seconda motivazione più pragmatica. Negli USA esistono tre categorie di tasse: federali (uguali per tutti), statali e locali (queste ultime variano a seconda dello stato). I cittadini statunitensi sono però chiamati a pagare le tasse federali a prescindere dal paese di residenza. Per questa ragione chi andasse a vivere all’estero si ritroverebbe sottoposto ad un doppio regime fiscale, opzione sicuramente poco allettante agli occhi di chiunque. Inoltre cinque stati (Alaska, Texas, Nevada, Florida e New Hampshire) non presentano tasse statali (e spesso neanche locali) motivo per cui risiedere in uno di questi territori equivale all’incirca ad un trasferimento a Dubai o Montecarlo. Senza però dover rinunciare allo stile di vita americano, vero Querrey e Isner?