Dall’anno tennistico che sta per finire ho selezionato alcuni episodi particolari. Definirli “strani” è forse improprio, ma rimangono difficili da classificare perché probabilmente ciascuno di noi, in base alla propria sensibilità, ricorrerebbe ad aggettivi diversi. In ogni caso, comunque li si giudichi, a mio avviso meritavano di essere ricordati.
Come Björn Borg
Purtroppo non posso raccontare il primo episodio come si deve, perché non ho trovato immagini in rete che consentano di documentarlo. Le “prove” le possiedono nei loro archivi le TV, in Italia Supertennis, ma forse non si sono resi conto di avere qualcosa di unico, e dunque non l’hanno valorizzato come merita. Come ritrovarsi proprietari di un quadro d’autore e, invece che metterlo in mostra, lasciarlo in soffitta, rischiando che finisca regalato a un robivecchi.
Va bene: un po’ scherzo e un po’ no. Spiego di cosa si tratta. Si tratta della prima protesta di Peng Shuai nei confronti di una decisione arbitrale, accaduta durante Puig def. Peng, 4-6 6-3, 6-4, secondo turno del torneo di Wuhan. Credevo che nel corso della sua carriera Peng non si sarebbe mai spinta a tanto; invece, arrivata a 31 anni, forse incoraggiata dal fatto di giocare in casa, ha osato andare a discutere con la giudice di sedia.
Il momento in cui lo ha fatto conferma che di queste cose Shuai è del tutto inesperta: ha protestato dopo il primo punto del secondo set. Aveva appena vinto il primo set, quindi non le conveniva fermare il flusso di gioco. Difficile trovare un momento meno strategico.
Penso proprio si tratti della prima contestazione di Peng. Come Borg nel Masters del gennaio 1981, quando per la prima volta perse la sua leggendaria imperturbabilità; fermo per protesta sotto la sedia dal giudice arbitro, fino a ricevere prima un warning, poi un penalty point, poi due.
Deutschland über Alles
Febbraio 2017, alle Hawaii si disputa il primo turno di Fed Cup tra Stati Uniti e Germania. Organizzare il cerimoniale non è particolarmente complicato, dato che le nazioni coinvolte sono solo due. Niente a che vedere con manifestazioni come le Olimpiadi dove i paesi sono centinaia. Eppure gli Americani riescono a sbagliare, e l’inno tedesco viene cantato nella versione dell’epoca nazista.
Commento di Andrea Petkovic: “È stata l’epitome dell’ignoranza. Non mi sono mai sentita più offesa di così in vita mia, figuriamoci in un incontro di Fed Cup. Ho visto Julia Goerges accanto a me in lacrime già dopo aver sentito la prima parola. Era furiosa, io ero furiosa”.
Quanto la vicenda abbia indispettito i tedeschi lo si capisce anche dallo scambio su Twitter. Scrive la federazione americana: “L’USTA rivolge sincere scuse alla squadra di Fed Cup tedesca e ai suoi fan per l’inno nazionale sbagliato. Questo errore non si ripeterà più”.
Il tweet di risposta della federazione tedesca è tanto breve quanto freddo: “Speriamo sia così”.
Conclusione dell’USTA: “Possiamo assicurare che non accadrà più. Di nuovo, le nostre sincere scuse”.
La “pace” di Costanza
Ancora Fed Cup. Quando Ilie Nastase era stato nominato capitano della squadra rumena, l’interrogativo era se nel nuovo ruolo sarebbero emerse di più le sue grandi doti di ex tennista estremamente tecnico e talentuoso, oppure quelle di giocatore famoso per i comportamenti impropri; non a caso era soprannominato “Nasty”.
Nastase ha tolto ogni dubbio nel secondo weekend di Fed Cup 2017, disputato in aprile dalla Romania a Costanza (quella rumena, non quella tedesca) contro la Gran Bretagna. Durante il sorteggio ha chiesto alla capitana inglese Anne Keothavong il suo numero di camera d’albergo; poi, su un punto controverso del match fra Cirstea e Konta, ha insultato giocatrice e capitana avversarie, fino a farsi espellere. E una volta scortato fuori dall’impianto, ha avuto ancora “da ridire” con una giornalista inglese.
Risultato: squalifica da parte dell’ITF fino al 31 dicembre 2020 e divieto di accesso a Wimbledon, dove era uno degli ospiti più fotografati del Royal Box, anche grazie alle appariscenti divise che amava indossare:
Dieci sconfitte consecutive e l’ingresso in Top 10
Il ranking del tennis (WTA e ATP) si calcola sulla durata di 12 mesi, in modo da tenere conto di una stagione completa, con tutte le possibili condizioni di gioco. Basandosi su un anno intero, può capitare che i movimenti in classifica siano in controtendenza rispetto ai risultati degli ultimi tornei. Anche perché il ranking dipende pure dal rendimento altrui.
È quanto accaduto a Kiki Mladenovic in ottobre, quando è entrata in Top 10 per la prima volta in carriera dopo una serie di dieci sconfitte consecutive (poi salite a dodici), con un solo set all’attivo. Questi i risultati di Mladenovic dopo Wimbledon:
Ho riletto l’articolo di Claudio Gilardelli sul ranking: è perfetto; nessuna sorpresa, visto quanto è competente Claudio, che ha spiegato chiaramente la vicenda di Kiki. In sostanza Mladenovic è stata protagonista di una stagione-limite, con alti (nei primi sei mesi) e bassi estremi (da luglio in poi). E a questo si è aggiunta la circostanza che altre tenniste davanti a lei avevano molti punti in scadenza. Solo un inesperto può scandalizzarsi per quanto le è accaduto, ma è comunque probabile che i suoi movimenti nella classifica 2017 verranno ricordati come un (apparente) paradosso del ranking.
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