Il nome di Petar Popovic è diventato improvvisamente famoso due mesi fa, quando le immagini della sua esultanza per la vittoria nella semifinale del Masters 1000 di Parigi-Bercy del giocatore da lui allenato, Filip Krajinovic, hanno fatto il giro del mondo su Internet. In effetti la manifestazione della sua gioia era stata, a dir poco, colorita: un coach che festeggia la vittoria del suo giocatore togliendosi la maglietta e rimanendo a torso nudo in tribuna non è di certo una cosa che si vede tutti i giorni nel tennis professionistico (e non solo nel tennis). Ma tra gli addetti ai lavori e gli appassionati più esperti, il 35enne allenatore serbo era molto ben conosciuto da diversi anni. E non per dei comportamenti fuori le righe, ma per i risultati ottenuti dai suoi giocatori. Popovic ha infatti iniziato la carriera di allenatore nel 2009, dopo aver smesso di giocare l’anno prima, a soli 26 anni (best ranking in singolare n. 411, nel 2005). Una carriera che lo ha visto seguire sempre giocatori di alto livello, sia a livello ATP che WTA. Ha infatti iniziato con il croato Ivo Karlovic, ai tempi top 30, con cui ha lavorato tra il 2009 ed il 2010. Ha poi proseguito con l’allora ventiduenne tedesca di origine serba Andrea Petkovic, che si trovava attorno alla 40esima posizione mondiale, che ha affiancato dal 2010 al 2013. È tornato poi ad essere il coach di “dr. Ivo” dal 2014 fino allo scorso agosto, quando è iniziata l’attuale collaborazione con il connazionale Filip Krajinovic.
Della sua carriera, dell’incredibile settimana vissuta con Krajinovic a Parigi e dei prossimi obiettivi che insieme al suo giocatore si sono posti per il 2018, l’allenatore nativo di Novi Sad ha parlato in esclusiva con il sito serbo b92.net.
Partendo da una riflessione sulla sua carriera e sui giocatori che ha allenato.
“In questi anni ho allenato tre giocatori completamente diversi, come profilo e visione del gioco, e con metodi di allenamento totalmente differenti. Con Andrea Petkovic abbiamo lavorato molto sul cambio di ritmo – usare bene lo slice, alzare le traiettorie, accelerare al momento giusto e variare il gioco. A Karlovic ho cercato di far capire come per lui fosse necessario rischiare molto di più con la seconda di servizio, attaccare col serve&volley e colpire meno palle possibili. Filip è diverso dagli altri due – abbiamo cercato di farlo giocare più vicino alla riga di fondo in modo che non lasci troppo campo agli avversari. Ha sempre avuto colpi fantastici e da questo punto di vista non ho toccato niente, ma aveva il grosso problema di stare troppo indietro rispetto la riga di fondo. Considerando che ha dei colpi molto puliti, tutto questo significava concedere troppo tempo agli avversari per colpire e questo non puoi permettertelo, neanche contro il n. 70 al mondo. Adesso sta con i piedi sulla linea di fondo, gioca un tennis simile a quello di Davydenko e questo riescono a farlo in pochi. Krajinovic è estremamente veloce, ha talento ed è tecnicamente completo, ha le capacità per giocare in questo modo. Per ogni giocatore imposto un metodo di allenamento specifico, sulla base delle sue esigenze: non si possono allenare allo stesso modo Nadal e Karlovic. Ogni giocatore lavora su ciò che è necessario per imporre il proprio gioco all’avversario. È il metodo di lavoro che differenzia i top 20 dagli altri.”
Curioso notare come da allenatore Popovic abbia frequentato esclusivamente quel massimo circuito professionistico che da giocatore non era riuscito nemmeno a sfiorare, dato che non si era spinto oltre a qualche secondo turno a livello Challenger. E come da coach sia riuscito a far realizzare ai suoi giocatori quelli che probabilmente erano stati i suoi sogni di tennista e che aveva dovuto lasciare nel cassetto. Nel primo periodo in cui collaborò con Karlovic arrivarono gli unici quarti di finale a livello Slam mai raggiunti dal gigante croato, a Wimbledon nel 2009. Insieme a lui Andrea Petkovic si spinse fino alla top ten, diventando n. 9 WTA del 2011. E ancora, parlando dei risultati raggiunti con Karlovic tornati a lavorare assieme, tre titoli ATP 250, la prima finale in un 500 e il ritorno a 36 anni – dopo sette anni di assenza – tra i primi venti giocatori al mondo.
“Ho cominciato con Karlovic. Abbiamo lavorato insieme per circa un anno, fino a quando sono iniziati i problemi al tendine di Achille ed ha dovuto operarsi. Abbiamo interrotto la nostra collaborazione e ho iniziato a lavorare con Andrea, che fino a quel momento non era mai entrata tra le prime trenta al mondo e non aveva mai battuto una top 20. Siamo riusciti ad entrare nella top 10, è stato un risultato eccezionale. Dopo ho ripreso con Karlovic, quando tutti pensavano fosse pronto per la pensione dato che era da un po’ che viaggiava attorno alla centesima posizione. Ogni anno doveva lottare sino all’ultimo torneo della stagione per riuscire ad entrare nel main draw degli Australian Open. Ivo ed io abbiamo realizzato un piccolo miracolo – è entrato nei top 20 a 36 anni e mezzo, una cosa incredibile.”
Come detto, con Filip Krajinovic la collaborazione è iniziata da qualche mese. Merito soprattutto delle insistenze del 25enne di Sombor, a sentire Popovic.
“Al termine dello scorso torneo di Wimbledon ho concluso la collaborazione con Karlovic e l’ho comunicato sui social. Dopo 10 minuti mi arriva un messaggio di Filip. È stato il primo contatto ufficiale: mi ha detto che desiderava che lavorassimo assieme, ma io volevo prendere un po’ di fiato. Ho riflettuto sulle varie opzioni, sulla direzione che volevo dare alla mia carriera: per la precisione se continuare con un “pro” oppure lavorare per qualche federazione, dato che in molti mi avevano contattato. Dovevo riflettere, ma lui ha continuato ad insistere. Ho capito che era estremamente motivato e che voleva veramente che lavorassimo insieme. Dopo 4-5 giorni gli ho mandato un messaggio per dirgli che ero pronto: in quello stesso giorno lui è venuto a Novi Sad, siamo andati a cena e ci siamo messi d’accordo su tutto. Tutto il resto è storia nota.”
La storia nota è che Krajinovic ha “svoltato”. Lui che sino al settembre scorso era stato capace di entrare a fatica e solo per poco tempo nei top 100, con i picchi rappresentati dal n. 86 nel 2015 e n. 87 nel 2016, oggi è n. 34. Da fine agosto, dopo essere stato eliminato al secondo turno delle qualificazioni degli US Open, sino al termine della stagione il suo score è stato impressionante: 26 vittorie e 4 sconfitte. Vediamolo nel dettaglio. Tornato da New York, a livello Challenger, dopo due semifinali a Como e a Siviglia, vince due tornei di fila, a Roma e ad Almaty, senza perdere un set. Poi passa al circuito ATP. A Mosca supera le qualificazioni e torna nel tabellone principale di un torneo del circuito maggiore dopo più di un anno (Umago 2016) e perde al secondo turno, che non raggiungeva da più di un anno e mezzo (Sofia 2016). Ma il bello deve ancora venire. Si qualifica per il main draw del Masters 1000 di Parigi-Bercy battendo due top 100 nelle qualificazioni (il n. 64 Pella ed il connazionale Djere, n. 90), supera Sugita (n. 38), Querrey (n. 13) e Mahut (n. 111 ma già n. 37, che aveva appena eliminato il n. 11 Carreno Busta), sfrutta il forfait di Nadal per entrare in semifinale e poi elimina il n. 14 del ranking John Isner, regalandosi la prima finale ATP, lui che al massimo era arrivato in semifinale in un 250 (a Belgrado nel 2010), dove si arrende solo al terzo al futuro top 10 Jack Sock. A fine agosto era n. 126, il giorno dopo la finale parigina si trova in 33esima posizione: veramente una cosa da sogno.
“Quello che ha fatto a Parigi-Bercy è stato eccezionale. Io ero l’unico che dall’inizio credeva in lui, ha sorpreso tutti. Ha giocato in modo fantastico ed ha dimostrato che può giocarsela con tutti. È stato un torneo da sogno, ha battuto diversi ottimi giocatori, Sugita, Querrey, Mahut, Isner. In particolare è stato impressionante contro Isner. Io ci credevo e glielo avevo detto che poteva farcela, se giocava in modo aggressivo e colpendo da vicino la riga da fondo, ma ha comunque stupito anche me, con Isner che ha servito sopra l’80% e con velocità superiori ai 220 km/h. E considerato anche che non avevano mai giocato contro e che a Filip non piace affrontare giocatori così, che non gli danno ritmo.”
Doveroso un commento su quell’esultanza al termine del vittorioso match con Isner che lo ha reso popolare su Internet.
“Ora capisco bene cosa provano i calciatori che si tolgono la maglietta dopo aver segnato, anche se sanno che si prenderanno l’ammonizione. Sei in trance, non riesci a controllarti. È stata la seconda volta che ho vissuto un’emozione simile, la prima fu nel 2009 quando Karlovic arrivo nei quarti a Wimbledon. Ero agli inizi della mia carriera da allenatore e vivere un’emozione del genere… Io sono uno che si fa coinvolgere molto in queste situazioni, sono un vero fanatico del tennis, questo sport rappresenta tutta la mia vita. Ogni vittoria per me ha un valore, specie poi una dopo un match folle come è stato quello con Isner.”
L’esultanza è stata anche un modo per il coach serbo di scaricare l’enorme tensione accumulata. Perché in tribuna un coach soffre, eccome se soffre.
“Premesso che per un giocatore è più difficile, non è facile neanche per l’allenatore perché non può in alcun modo influire su quanto sta accadendo in campo. Nel tie-break del terzo set io avrò avuto sicuramente i battiti a 200. Nonostante i miei successi e la mia esperienza. Ma sapevo quanto fosse importante ed ero impotente. Si scatenano emozioni enormi: sarei entrato in campo perché neanche quando giocavo mi è mai capitato che il cuore mi battesse così forte come in quella semifinale. Però, ripeto, è stato difficile ma non posso dire che lo sia stato più che per Filip che ha dovuto superare un giocatore come Isner.”
Krajinovic nei giorni immediatamente successivi al suo exploit parigino ha rivelato che non lo credeva possibile, tanto che aveva già preso i biglietti per andare a vedere a Londra la partita di Europa League della Stella Rossa di Belgrado. Dichiarazioni che sono sembrate avvalorare la tesi sostenuta da molti in questi anni, ovvero che il talentuoso tennista di Sombor non avesse la serietà e la convinzione necessarie per ottenere a livello professionistico quei successi che tanti in Serbia si aspettavano da lui dopo i grandi risultati ottenuti a livello juniores.
“Non si trattava di mancanza di serietà, lui è un vincente nato. A 16 anni era tra i primi 5 al mondo ed era dotato di quella sana arroganza sportiva necessaria per puntare in alto, ma a causa delle circostanze l’ha persa. Lo hanno limitato gli infortuni, ha giocato tornei minori e quindi con il tempo gli è venuta a mancare. Sinora aveva giocato, forse, dieci partite contro i migliori e non aveva mai vinto. Li vedeva solo alla televisione e pensava fosse un altro sport, irraggiungibile per lui. Forse l’ha aiutato anche la mia esperienza, che in questi anni ho allenato ad alto livello. Io sono certo che quando riesce ad esprimere il suo tennis, non ci sono differenze rispetto ai giocatori che gli stanno davanti in classifica. Quando gioca come sa, per lui non ci sono limiti.”
Da questo punto di vista, per il tennista di Sombor ha significato molto anche il supporto di Novak Djokovic.
“Anche per me significa molto il supporto di Novak, non solo per Filip. Mi piace stare in sua compagnia, a Parigi siamo andati insieme a cena e abbiamo trascorso tre ore assieme. Dico sempre che dobbiamo passare quanto più tempo possibile con persone come lui, perché ci spingono in alto. Sono grandi campioni, hanno sempre il consiglio giusto da darti ed ogni momento passato con loro vale oro.”
La domanda che si pongono ora gli addetti ai lavori ed appassionati serbi è ovvia: Krajinovic nel 2018 riuscirà a confermare quanto di buon ha fatto vedere nell’ultima parte della stagione? Ma Popovic è uno che con Karlovic e Petkovic si è abituato a puntare in alto e non intende certo smettere adesso: lui nel 2018 del suo nuovo allievo non vede una conferma, ma una ulteriore crescita.
“Ai giornali serbi ho parlato dei piani 2018 e forse sarò sembrato completamente pazzo, ma io sono un visionario e sapevo che sarebbe diventato un top 20 quando è entrato nei primi cento ed ha conquistato il Challenger a Roma. Sono convinto che riuscirà a farcela. Ecco, mi piacerebbe riuscisse ad entrare tra i primi 16 prima del Roland Garros. Sarà estremamente difficile perché significa che nei tornei da qui fino a maggio deve essere in grado di ottenere almeno quattro grandi risultati, ma perché no? Insieme sogniamo di entrare nei top 10 – questo è l’obiettivo, ma significa anche entrare in una dimensione del tutto nuova. La nuova stagione sarà molto dura perché tornano Djokovic, Murray, Wawrinka, Nishikori, Raonic… L’obiettivo è difficile, ma noi sogniamo. Innanzitutto speriamo che Filip sia sempre sano, ma dobbiamo anche considerare che giocando ad un altro livello ci saranno anche più sconfitte. Dovrà abituarsi a questa situazione perché nel 2017 ha giocato per la maggior parte a livello Challenger e ha perso raramente. Qui è dove dimostrerà se è un campione – se riesce a mantenere l’intensità degli allenamenti, la positività e la voglia nonostante le sconfitte, mi dimostrerà che è pronto per la top ten.”
Sognare in grande costa esattamente come sognare in piccolo. Questo Popovic lo ha capito da tempo. Alzare l’asticella al massimo possibile, anche leggermente più in là di quello che ritieni possibile, è una delle caratteristiche necessarie a raggiungere i tuoi obiettivi. Soprattutto quando sei consapevole del tuo valore. Adesso, dopo Parigi-Bercy, Filip Krajinovic lo è, come ha sottolineato Popovic nell’intervista sempre riferendosi alla vittoriosa semifinale contro lo statunitense Isner.
“Forse sembrerà folle quello che dico, ma sapevo che aveva quel tennis dentro di sé e che doveva solo mostrarlo sul campo. Mostrarlo agli altri e – la cosa più importante – a se stesso.”
Già, perché ora anche Krajinovic (che questa settimana a Doha ha iniziato la stagione essendo per la prima volta testa di serie in un torneo ATP: tanto per restare in tema di sogni che si realizzano, anche se la sconfitta all’esordio contro Gojowczyk è stato un brusco risveglio e la conferma delle parole del suo coach sul fatto che quest’anno sarà dura) ha capito che può e deve sognare in grande.