Volendo evitare di cadere nel… provincialismo, e nella maledizione che perseguita Andreas Seppi impedendogli di conquistare un quarto di finale dopo 52 Slam e 6 ottavi di finale, comincerò col dire che il match più atteso del giorno, Dimitrov-Kyrgios non ha tradito le attese ma semmai… le speranze degli australiani che anche l’anno prossimo ricorderanno al mondo l’esistenza di Mark Edmondson, un ex inserviente dell’ospedale di Melbourne che puliva i pavimenti per guadagnare qualche soldino per poter viaggiare e partecipare ai tornei, soprattutto quelli australiani.
Edmondson, per chi non lo sapesse o ricordasse, è stato l’ultimo australiano a vincere l’open d’Australia. È successo nel 1976, l’anno di… Panatta e dell’ItalDavis, ed era soltanto n.212 del mondo. Da allora nessuno giocatore classificato peggio ha mai vinto uno Slam. “Ero entrato in tabellone per il rotto della cuffia, ultimo o penultimo. Il tabellone quell’anno era per 64 giocatori, non 128. L’anno prima mi ero qualificato per l’Australian Open e anche per Wimbledon, poi per gli Australian indoor… insomma avevo qualche punto…una decina o poco più, però in quegli anni non venivano in tanti fino in Australia, così dopo l’ultimo forfait alle undici di sera, mi ritrovai in tabellone e… vinsi il torneo!”. Le sue vittime fino al traguardo della finale furono l’austriaco Feigl, l’australiano Dent, il neozelandese Fairlie, un altro australiano Crealy (grazie anche a generosi consigli arrivatigli da John Newcombe su come avrebbe dovuto impostare il match sul centrale sul quale non aveva mai giocato), il grande Ken “Muscle” Rosewall, 33 anni e battuto in quattro set… giocandogli ovviamente sul dritto. Ad attenderlo in finale c’era proprio John Newcombe che forse si era pentito di avergli dato tutti quei consigli qualche giorno prima, al punto da uscirsene alla vigilia della finale con una frase a metà fra l’arrogante e l’intimidatorio: “Mark ha battuto Ken oggi, ma non ha ancora realizzato che domani dovrà giocare con John Newcombe!”.
Che l’avesse realizzato o no, l’uomo delle pulizie dell’ospedale di Melbourne, battè anche Newcombe. Da allora John Marks, Kim Warwick, due volte Pat Cash, Lleyton Hewitt sono stati finalisti all’Australian Open, ma nessuno di loro è riuscito a vincerlo. L’anno prossimo, dunque, sarà ancora Nick Kyrgios, più di chiunque altro, a sperare di succedere a Mark Edmondson. Kyrgios ha giocato molto bene, ma Dimitrov è stato più solido nei tie-break che Kyrgios avrebbe potuto evitare se non si fosse mangiato uno smash pazzesco. Il loro duello è stato spettacolare, forse il migliore del torneo fin qui, aiutato ovviamente dalle qualità tecniche dei due protagonisti. Certo è che Dimitrov è diventato un altro rispetto a quello che è stato per anni quando si parlava di Baby-Fed. È incredibilmente più maturo, più solido, più continuo. E ha una condizione atletica invidiabile. A Brisbane aveva battuto Edmund, ma l’inglese sarà certo su di morale per aver centrato il primo quarto di finale della carriera in uno Slam. Chiudo questo piccolo capitolo su Dimitrov-Kyrgios osservando che il loro abbraccio finale mi è piaciuto molto. Era sincero. E mi è piaciuto il sempre discusso Kyrgios per come ha accettato la sconfitta davanti al suo pubblico e la propria inevitabile delusione nell’arco di pochi minuti rispetto a quando aveva ragione di poter sperare nel quinto set. Kyrgios nell’abbraccio finale – credo di aver capito dal suo labiale – ha voluto dire a chi lo aveva appena battuto “Believe… credi in te stesso, credi di poter vincere questo torneo, you can do it”. Bello. E questo Dimitrov è da Slam. Prima o poi ne vince uno. Già qui? Non lo escluderei.
Nadal è stato meno convincente che nei match precedenti, ma è anche vero che Schwartzman è un avversario più tosto rispetto ai precedenti. Rafa ha perso il primo set del torneo, ma in quello è stato avanti 3 volte di un break e lo ha perso al tiebreak. Poi però ha chiuso con un doppio 6-3, stesso punteggio del primo set. Insomma facendo il doppio dei game del piccolo argentino in tre set su quattro. Con questa vittoria si è assicurato la leadership a fine torneo, qualunque cosa succeda. Non è un dettaglio da poco. Poi, però, attenzione: Cilic, che ha battuto Carreno Busta con due tie-break vinti negli ultimi due set (terzo e quarto), è il primo giocatore con un gran servizio che Rafa dovrà affrontare. Leo Mayer non batte male, ma Cilic è un’altra cosa, ed è anche un vincitore di uno Slam: ha quindi la personalità per eventualmente approfittare di un Nadal che non si dimostrasse al cento per cento.
Dopo aver accennato al fatto che Nadal non ha dato per scontato il risultato di Berdcyh con Fognini… “Fabio può battere chiunque (e lui ne sa qualcosa…n.d.Ubs), ma Tomas in questi giorni ha giocato molto bene, ha battuto del Potro davvero nettamente…per sperare di vincere Fabio deve giocare benissimo”... arrivo a Andreas Seppi. Si meritava di chiudere la carriera con almeno un quarto di finale. E temo proprio, visto il suo certificato anagrafico, che non ce la farà anche se ha detto – sorridendo però – che vorrebbe continuare a giocare fino al 2020. Cioè fino a quando avrà 36 anni…come Federer. Peccato perché aveva cominciato bene, un gran primo set, appena tre errori gratuiti, e un Edmund che non riuscendo a sfondare con i suoi drittoni sembrava innervosirsi. Quando Andreas ha fatto il break all’inizio del secondo set ho pensato che ce la potesse fare, ma proprio lì ha perso il suo primo game di servizio. E ha rimesso in corsa il britannico.
La cronaca ve la risparmio perché Luca Baldissera l’ha già fatta benissimo. Penso che Andreas, che ha perso il match quando non è riuscito a raggiungere il tie-break nel secondo, non avesse tante energie nel finale. Nel quarto set ha rischiato di perdere il servizio quasi ogni volta, mentre Edmund vinceva i suoi games senza far la minima fatica. Insomma, avrebbe potuto vincere anche più facilmente. Del resto Andreas è stato onesto a dire che “Edmund ha meritato di vincere, è stato migliore di me”. Quanto sia serio e maturo il nostro Andreas – per chi ancora non lo sapesse – lo potrà dedurre sia chi leggerà le frasi riportate da Luca, sia soprattutto chi ascolterà l’audio, perché come ha descritto il suo desiderio di trasferirsi a vivere a Boulder (Colorado) con la moglie Michela e soprattutto la voglia di rimettersi in discussione, lanciandosi in una nuova sfida che da quel che si è capito non avrà nulla, o granchè, a vedere con il tennis, dimostra ampiamente che razza di tipo sia Andreas. Invece di sedersi sugli allori, e di sfruttare più pigramente le sue competenze tennistiche lui progetta di impegnarsi a fondo in tutt’altro settore. Chapeau davvero! È stato bravo a fare tutto quello che ha fatto, a guadagnare i suoi 9 milioni di dollari, i tornei su tutte le superfici come nessun altro italiano.
Nell’articolo scritto ieri, quello sui 42 anni intercorsi fra la contemporanea presenza di Panatta e Barazzutti negli ottavi nel ’76 a Parigi e quella di Seppi e Fognini oggi, avevo anticipato che mi aspettavo che i nostri giornali si sarebbero sicuramente entusiasmati – e probabilmente eccessivamente – per una circostanza sì “storica” ma avvenuta abbastanza casualmente: sia Fognini sia Seppi hanno battuto giocatori peggio classificati di loro per arrivare entrambi agli ottavi. Quindi era giusto esprimere gioia e soddisfazione, ma la situazione non meritava titolazioni trionfali. Che invece diversi giornali hanno fatto, come spesso accade fermandosi in superficie. Poi, magari, ci sarà anche chi cavalcherà l’onda, saltando sul carro dei… vincitori di tappa. Ci siamo abituati. Ciò detto va sottolineata invece . con maggior obiettività – la sfortuna di chi, come Seppi e Fognini, e pure Lorenzi, sono capitati in un periodo storico particolare in cui i Fab Four (50 Slam vinti sui 200 che sono stati disputati dal 1968 a questo Australian Open) hanno lasciato a tutti gli altri soltanto poche briciole.
Andreas ha cominciato a giocare Slam nel 2004, Fognini nel 2007, Lorenzi nel 2010. Mentre prima dell’avvento di Federer ogni tanto i top-player lasciavano corridoi utili perché ci si infilasse qualcuno, tipo Connors, Sampras e Roddick al Roland Garros – ma anche Muster, Kuerten, Moya, Corretja, spagnoli e sudamericani a Wimbledon, Safin che non era davvero un mostro di continuità – in questi ultimi anni Federer, Nadal, Djokovic, ma anche Murray, hanno occupato con una continuità spaventosa i posti in semifinale. E alle loro spalle sono stati molto continui anche diversi giocatori che senza essere campionissimi come quei quattro e pur senza riuscire ad inserirsi costantemente fra i primi 4 però hanno occupato con bella continuità le posizioni di immediato rincalzo: penso a gente come Ferrer, Berdych, Tsonga, Monfils e altri.
Quel che voglio dire è che negli anni Ottanta e Novanta avrebbe potuto succedere più facilmente che un buon giocatore italiano come sono certamente stati Fognini e Seppi in particolare riuscisse a raggiungere una semifinale, dei quarti, o anche gli ottavi in contemporanea come è accaduto soltanto – per circostanze anche un po’ fortuite… e tabelloni agevoli – 42 anni dopo il 1976. Ma in quest’ultimo decennio lo spazio per emergere è stato oggettivamente molto scarso per chi non era almeno un mezzo fenomeno. Seppi, Fognini e Lorenzi, sono buoni giocatori, all’altezza e magari anche più forti di tanti tennisti italiani che hanno raggiunto gli ottavi negli Slam nel secondo millennio (li ho citati ieri e avevo dimenticato Cristiano Caratti) ma purtroppo non sono fenomeni. E i corridoi nei quali potevano infilarsi sono stati obiettivamente molto pochi.