Il tennis sarebbe uno sport semplice, in teoria: la palla va di là, punto mio, la palla rimane di qua, punto tuo, chi vince l’ultimo è il più bravo e poco altro. I fatti dicono che ad alto livello tutto è dannatamente più complicato, però, soprattutto tra donne. Ad altissimo livello, specialmente negli Slam, è spesso un dettaglio imprevisto a trasformare l’esito di un incontro e di un torneo, eliminando sicure favorite e rimescolando l’enorme mazzo da 128 carte che compone il tabellone.
Quest’anno invece le due carte rimaste all’ultimo sabato degli Australian Open sono le due più alte: Simona Halep e Caroline Wozniacki, numero uno e due uscire incolumi dai loro primi sei incontri. Le difficoltà non sono comunque mancate: Halep ha annullato tre match point consecutivi nell’eterno terzo set contro Lauren Davis in quello che si è rivelato il match di svolta per il suo torneo, dal quale sembrava dover uscire azzoppata e che invece la ha paradossalmente rigenerata, più altri due la scorsa notte ad Angelique Kerber. Ancor di più aveva rischiato Wozniacki, che al secondo turno contro la numero 119 mondiale Jana Fett era risalita da 1-5 e doppio match point contro nel parziale decisivo.
L’incontro finale tra di loro a Melbourne Park sarà in un certo senso la congiunzione tra ciò che il circuito femminile è da anni, nel bene e nel male, ovvero una intracciabile fonte di sorprese, e quello che ci si aspetterebbe sempre dalle famose proiezioni dopo il sorteggio, di solito puntualmente disattese. Di più: tra le due favorite dell’Happy Slam (dando retta alle teste di serie, perché al giro di settimana i bookmaker avevano dato probabile campionessa Elina Svitolina) non ci sarà soltanto in palio la Daphne Akhurst Memorial Cup. Ci saranno anche, in un colpo solo, il primo Slam della carriera, che manca a entrambe, e la possibilità di difendere o di riconquistare la migliore posizione della classifica mondiale.
Una posizione che la vincitrice potrebbe finalmente “giustificare” con il grande trofeo, per quanto Wozniacki abbia già conquistato pochi mesi fa le WTA Finals e Halep non sia certo digiuna di titoli importanti. Si diceva prima di come il tennis sia uno sport soltanto all’apparenza semplice, e in un certo senso la loro storia di classifica lo dimostra. È un computer, con calcoli ai quali spesso si fatica a star dietro, a stabilire di volta in volta chi è la numero uno al mondo e capita che possa essere qualcuna che all’apparenza ha ottenuto meno delle altre: nella storia del tour femminile ben sette sono state le regine senza neppure una corona Major, tra le quali proprio la romena e la canadese (gennaio 2012 l’ultima volta).
Pur prive di spunti davvero interessanti, le conferenze stampa post-match delle due, dopo le semifinali, hanno mostrato uno spirito simile. Halep e Wozniacki hanno dato risposte equivalenti alle domande poste loro dalla stampa, mostrando a posteriori un percorso quasi identico verso la finale che le attende tra poche ore. Non è soltanto l’essere sopravvissute all’eliminazione, ma l’approccio alla seconda occasione ad essere il primo punto di contatto: “Ci sono stati due momenti in cui ho pensato che l’incontro fosse finito” ha confessato Halep, “non avevo più alcun potere e tutto era andato a rotoli”. Superare lo spavento e uscire vincitrice la ha aiutata molto dal punto di vista mentale, e la romena è specialmente felice di non essersi arresa.
Il merito lo attribuisce al mood dell’Australia, e in particolare a quello di coach Darren Cahill. “Mi sta aiutando moltissimo questo modo di pensare e di stare in campo. Prima ero un po’ troppo negativa, sto cercando di cambiare questo aspetto di me. L’ho già fatto in parte, ma devo lavorarci ancora” ha detto. L’influenza positiva citata dalla sua avversaria per il titolo è invece il futuro sposo David Lee, cestista dei San Antonio Spurs: “Si può imparare moltissimo dagli altri sport, ci sono sempre piccole cose che David mi dice e che mi lasciano così: Oh, giusto, non ci avevo mai pensato”. In riferimento al pericolo scampato ormai oltre una settimana fa, Wozniacki usa come metafora il casinò (dove peraltro rivela di essere stata due volte in questi giorni, vincendo un paio di migliaia di dollari):“È come se stessi giocando con i soldi del banco. Non hai nulla da perdere, eri già fuori e hai avuto una seconda occasione”.
Per entrambe, l’occasione di questo sabato sarà in realtà la terza: entrambe hanno già perso due finali Slam in carriera, ma sembrano aver imparato a fare i conti con quei fantasmi. Wozniacki sa di essere stata sconfitta dalla giocatrice migliore in campo in entrambe le sue finali agli US Open (Clijsters nel 2009, Serena Williams nel 2014) e a farle male per anni, piuttosto, era stato il match point mancano in semifinale proprio a Melbourne contro Li Na nel 2011. “Penso sia stata la sconfitta più deludente della mia carriera” ha confessato, “sentivo che era il mio momento per arrivare fino in finale”. Ci sono voluti sette anni in più, ma alla fine ci è riuscita e forse stavolta avrà delle armi che la scorsa volta le sarebbero mancate.
Anche Halep, la cui sconfitta all’ultimo atto del Roland Garros è molto più recente, sembra aver maturato dalle sue esperienze una consapevolezza nuova con cui affrontare questa sfida. La situazione, come lei stessa ricorda, è la stessa di Parigi a livello di posta in palio. Ma non essere più la chiara favorita in campo, paradossalmente, potrebbe aiutarla: difficile credere alla frase di circostanza per cui “sarà soltanto un altro match”, ma di sicuro verrà alleggerita del peso del pronostico che la schiacciò nel giorno del trionfo di Jelena Ostapenko. L’ostacolo principale tra lei e la sua prima vittoria Slam – “varrebbe molto più del numero uno”, si è sbilanciata – sembra piuttosto il problema alla caviglia che ha velato di dubbio i suoi ultimi incontri.
“Al momento il piede destro sta un po’ peggio, perché ho spinto tutto su quello. Perciò è dura, ma ad essere sincera adesso non voglio pensarci” sono state le parole con cui Halep ha chiuso la questione. Dopo i cinquanta vincenti (!) contro Angelique Kerber in semifinale, sarebbe un peccato non poterla vedere al meglio quando più conta. “Magari sabato andrà meglio, non si sa. Ma se ce l’ho fatta a tornare di nuovo in finale, vuol dire che ho la forza di ripetere questo risultato e se non sarà sabato il giorno giusto, rimarrò fiduciosa e continuerò a sognare la prossima volta“. Neanche a dirlo, parole simili anche da Wozniacki:“Ho sempre creduto in me stessa. Ho avuto periodi difficili, è stata dura, ma dopo averli superati sapevo che se rimanevo in salute e lavoravo bene il mio tennis era abbastanza buono per vincere”.
La situazione è simile a quella del finale di stagione maschile del 2016, quando Murray e Djokovic si affrontarono alle ATP Finals per il titolo e per la piazza in cima al ranking. Qui però siamo ancora soltanto a gennaio, e più che di corsa a due si tratta di guerra aperta per rimanere the last woman standing. Si può davvero parlare di svolta di una carriera, per due che fanno già parte delle tenniste più forti e acclamate del mondo? A 26 e 27 anni – pochissimi a pensarci, specie se confrontati con il tempo passato da quando comparirono nel circuito WTA per la prima volta – è evidente di sì. Ma sono convinte che non sarà l’ultima, e almeno questo è importante crederlo per il futuro. Perché quella che tra poco non ce la farà, potrà sempre farcela più avanti.