Agli Australian Open sono arrivate a giocarsi il titolo due tenniste nella stessa identica situazione. Con alle spalle due sconfitte in precedenti finali Slam, si sapeva che la partita avrebbe tolto un enorme peso alla vincitrice, e avrebbe invece aumentato il fardello dei rimpianti sulla giocatrice sconfitta, alla terza finale persa in carriera. Ha vinto Caroline Wozniacki e ora, a ventisette anni, nessuno potrà più definirla una regina senza corona, la numero uno del ranking incapace di vincere Major. Mentre a Simona Halep resta il grande rammarico per l’occasione sfuggita: tutte e tre le volte battuta al terzo set, e con in più il rincrescimento di essersi trovata in posizione di vantaggio nel set decisivo, come contro Ostapenko al Roland Garros 2017. Come se non bastasse, la sconfitta le ha anche sottratto il primato del ranking, proprio a favore della trionfatrice di Melbourne. E così Wozniacki sabato scorso si è presa tutto: titolo Slam e numero 1 del mondo.
La finale
La finale è durata quasi tre ore (7-6, 3-6, 6-4 in 169 minuti), ed è stata disputata nella Rod Laver Arena con il tetto aperto. A causa della condizione climatica estrema, è stata applicata la cosiddetta “heat rule”, la norma che in presenza di particolare caldo e umidità prevede dieci minuti di pausa al termine del secondo set. Lo sforzo richiesto a Simona Halep è stato tale da farle passare la notte precauzionalmente in ospedale, ricoverata per problemi di disidratazione.
Direi che è stata una partita divertente, sicuramente incerta e combattuta, anche se non sempre giocata al meglio dalle protagoniste. Del resto pretendere che non soffrissero nemmeno un po’ per la temperatura e per la tensione sarebbe stato troppo. Non che sia una indicazione assoluta e indiscutibile, ma il saldo conclusivo vincenti/errori non forzati è risultato negativo per entrambe: -3 Wozniacki (25/28), -7 Halep (40/47). Il gran caldo e la durezza degli scambi a lungo andare hanno fatalmente inciso sul rendimento, e peggiorato le statistiche. Infatti il terzo set è risultato un parziale con saldo negativo per tutte e due (2- Caroline, -5 Simona).
Tatticamente il match non poteva presentare particolari sorprese, dato che si affrontavano giocatrici che si conoscono a memoria. Entrambe sul circuito da anni, da anni sono protagoniste di tutti i principali tornei, e da anni hanno mostrato punti di forza e punti deboli. La situazione era questa: scendevano in campo una giocatrice simmetrica come Halep (cioè con dritto e rovescio equilibrati), contro una giocatrice asimmetrica come Wozniacki. Simona infatti possiede due fondamentali ugualmente solidi, anche se non particolarmente penetranti; Caroline invece ha un rovescio più incisivo, ma anche un dritto più incerto. Dunque sulla carta la diagonale sinistra si annunciava con un leggero vantaggio danese, quella destra a vantaggio rumeno.
Personalmente mi aspettavo un migliore rendimento di Wozniacki nel servizio, che invece è risultato a favore di Halep (ace/doppi falli: 2/6 Caroline, 6/1 Simona). A maggior ragione con questi dati di battuta, molto avrebbe contato la capacità di Wozniacki di indirizzare il confronto sulla propria diagonale migliore.
Da sempre il primo accorgimento a cui Caroline ricorre per non soffrire troppo con il suo colpo più debole è adoperare spesso il dritto lungolinea, in modo da invogliare l’avversaria a costruire il gioco sulla diagonale sinistra. In sostanza (a conferma della sua profonda asimmetria) Wozniacki usa i lungolinea con due obiettivi opposti: a scopo difensivo con il dritto, a scopo offensivo con il rovescio.
Di fronte a questa strategia, quando Wozniacki giocava il dritto lungolinea Halep aveva fondamentalmente a disposizione due soluzioni: la prima, più tattica, prevedeva la replica con il rovescio lungolinea, per rifiutare la “proposta” avversaria di spostare lo scambio sulla diagonale sinistra, e di conseguenza continuare a insistere sull’angolo destro del campo; questo alla ricerca di errori gratuiti o di possibili vantaggi nello sviluppo del palleggio. La seconda soluzione prevedeva invece di aggredire le palle “tenere” (e a volte un po’ troppo corte) del dritto di Wozniacki con decise accelerazioni di rovescio incrociato, in modo da mettere in soggezione l’avversaria e provare a ottenere vincenti diretti.
Direi che Halep non è riuscita a capitalizzare abbastanza con questa seconda opzione: in parte per le grandi capacità di Caroline nelle fasi di contenimento; in parte per una certa difficoltà a produrre vincenti immediati. E quando Simona non riusciva a fare male con il suo primo rovescio incrociato, il rischio era quello di ritrovarsi incastrata sulla diagonale destra: esattamente l’obiettivo di Wozniacki. E così una tennista che sulla carta aveva un deficit tecnico di una certa rilevanza, è riuscita a fare partita pari, “mascherando” i propri limiti.
Quanto più i fattori tecnici e nervosi si sono equivalsi, tanto più determinanti sono diventati quelli fisici. Halep aveva speso di più nei turni precedenti, ed era reduce da una semifinale molto impegnativa e logorante (6-3, 4-6, 9-7 contro Kerber). Il fatto che negli ultimi game la partita si sia decisa attraverso scambi lunghi e lottati ha finito per spostare il confronto sul terreno più favorevole a Wozniacki, quelllo della resistenza.
Sintesi definitiva dell’ultima parte di match è stato il punto sul 5-4, 30-30 in cui Simona non è riuscita a sfondare le difese di Caroline, è stata destabilizzata da un rovescio in cross strettissimo (davvero un gran colpo) e ha finito per perdere il quindici, pagandone le conseguenze anche nello scambio successivo. Infatti sul match point ha sbagliato un colpo non impossibile, chiudendo la partita con un rovescio in rete. L’evoluzione tecnico-tattica del confronto aveva ormai reso decisive le doti fisiche. E, nel caldissimo sabato di Melbourne, fisicamente Wozniacki era la più forte.
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