È arrivato il momento di chiudere il flashback e tornare all’inizio del discorso, al centro del tema che la riguarda: il ruolo decisivo della componente mentale. Dopo anni di incertezze e difficoltà, in cui sembrava avere imboccato una crisi senza fine, Julia ha cambiato alcuni aspetti del suo gioco. E forse proprio grazie a questi cambiamenti ha superato la crisi di fiducia in cui era sprofondata.
Seguendo i match della “nuova Goerges” si nota che ora pratica un tennis ancora più aggressivo, tutto orientato a chiudere il punto il prima possibile. L’aspetto tatticamente più rilevante è che rispetto al passato ha sostanzialmente abolito i colpi interlocutori. Capita davvero in poche fasi del match che si conceda uno scambio più lungo e articolato: normalmente Julia punta sull’uno-due quando è al servizio, e sulla aggressione sistematica in risposta appena l’avversaria scende con la velocità in battuta. E questo anche se la palla le arriva sul rovescio, il colpo meno solido, che in passato tendeva a spingere meno per evitare di aumentare gli errori non forzati.
Nel 2018 Goerges ha continuato la serie vincente conquistando il torneo di Auckland, (6-4 7-6) di nuovo in finale contro Caroline Wozniacki, in una replica di Stoccarda 2011 a distanza di sette anni. (E qualche giorno dopo anche Wozniacki sarebbe tornata a quei fasti, riprendendosi il primato del ranking). A mio avviso ad Auckland Julia ha giocato a livelli altissimi, ma con un tipo di tennis piuttosto scarno e senza mezze misure: sempre decisissima, ha puntato su pochi schemi, meno vari rispetto al 2011. Dovessi sintetizzare la differenza, direi che la nuova Goerges ha eliminato la componente riflessiva del gioco. Personalmente sono convinto che sia stata un atteggiamento che ha limitato la ricchezza tecnico-tattica del 2011-12, ma sono anche persuaso che questa inclinazione “antiriflessiva” l’abbia aiutata a non pensare troppo durante gli scambi, evitando di andare incontro a errori gratuiti commessi semplicemente per eccesso di ansia e di tempo a disposizione prima di colpire.
Si potrebbe anche spiegare la scelta in un quest’altro modo: se nei passaggi chiave delle partite l’errore non dipende dalla difficoltà tecnica del colpo ma dalla tensione, tanto vale rischiare di sbagliare cercando sempre un vincente piuttosto che cercando un colpo interlocutorio. Perché se poi il vincente entra ci si ritrova con un quindici in più; mentre se va bene il colpo interlocutorio non si ha in mano nulla, e si rischia di sbagliare il colpo successivo.
Per certi aspetti questa impostazione autolimitante mi ha fatto pensare al modo di affrontare le partite di Caroline Garcia: giocatrice dai mezzi tecnici molto vasti, ma che ugualmente ha scelto di praticare un tennis basato sul grande rischio nei colpi di inizio gioco, un tennis che quasi sempre si conclude subito con il punto o con l’errore. Questo atteggiamento spesso le impedisce di entrare nello scambio, e dunque anche di mettere in campo tutto il proprio arsenale di colpi. Ma anche per Caroline la questione è tenere a bada l’ansia, a costo di rinunciare ad alcune potenzialità fisico-tecniche.
Qualche giorno fa seguivo Goerges contro Petra Kvitova a S. Pietroburgo, torneo nel quale Julia è stata l’unica in grado di mettere davvero in difficoltà un’avversaria che quando è in un periodo di ispirazione è quasi incontenibile (7-5, 4-6, 6-2). E mentre giocavano mi chiedevo se una dei punti di forza di Kvitova non fosse proprio l’essere assolutamente coerente con se stessa, a 360°. Mi spiego: Petra ama scendere in campo per cercare sempre il vincente, la sua tecnica è tale da ottenere punti da qualsiasi parte del campo, ma solo nell’arco di pochi colpi, perché se lo scambio si allunga il fisico potente ma poco resistente la porta a sbagliare. Insomma la miglior Kvitova dà l’idea di essere una giocatrice perfettamente risolta, che attraverso il tennis che propone non solo esprime il proprio carattere, ma anche le migliori doti fisiche, tecniche e tattiche che possiede.
Non ho la stessa sensazione di totale espressione di sé quando assisto ai match di Garcia e della “nuova” Goerges. Nei loro casi, a decidere quale strada prendere sembra sia stata innanzitutto la necessità di non mandare in crisi l’aspetto mentale, a discapito di altre doti.
Questa è la mia impressione, ma naturalmente posso avere torto: è difficile approfondire in modo oggettivo una questione del genere. Su una cosa sono però sicuro: da neo top 10, Goerges cercherà un ulteriore passo in avanti, cioè raggiungere finalmente gli ultimi turni anche negli Slam. A Melbourne 2018 non c’è riuscita: scesa in campo forte di tre tornei vinti di fila, è stata eliminata al secondo turno dalla numero 42 del mondo Cornet (6-4 6-3); e Cornet era in un periodo di forma non eccezionale, e per di più con la spada di Damocle dall’inchiesta WADA per i tre controlli antidoping saltati. L’occasione si ripresenterà al Roland Garros. Da spettatori italiani sappiamo che a 29 anni per una giocatrice non è troppo tardi; all’età di Julia, e anche oltre, Schiavone Pennetta e Vinci hanno dimostrato che è ancora possibile togliersi grandi soddisfazioni.