2 – le vittorie in carriera di Naomi Osaka contro tenniste nella top ten WTA, prima che la 21enne giapponese di padre haitiano si mettesse brillantemente in mostra a Indian Wells. L’allieva di Sasha Bajin, arrivata nella top 100 circa due anni fa, dopo aver raggiunto il terzo turno a Miami con la vittoria su Sara Errani, continua nel suo costante processo di crescita. Ancora a secco di titoli, Naomi, il cui primo exploit fu la finale (sino a questa settimana l’unica raggiunta nel circuito WTA) del 2016 nella “sua” Tokyo, pur veleggiando già intorno alla 50esima posizione, sino agli US Open 2017 aveva un bilancio di nove sconfitte in nove incontri contro le top 10. A New York , lo scorso settembre, si sbloccò e sconfisse una Kerber in crisi nera, per poi confermare di aver alzato le sue punte di rendimento sconfiggendo il mese successivo a Hong Kong Venus Williams. Progressi confermati con un buon inizio di stagione (terzo turno a Melbourne, quarti a Dubai), prima dell’esplosione definitiva di queste due settimane in California. La giapponesina si è laureata campionessa per la prima volta in carriera nel circuito maggiore, perdendo solo un set in un cammino ricco di nomi prestigiosi, come quelli di Sharapova (6-4 6-4), Radwanska (6-3 6-2), Vickery (6-3 6-3), Sakkari (6-1 5-7 6-1) e Karolina Pliskova, 5 WTA (6-2 6-3). Ma in semifinale, Osaka ha fatto ancora meglio, annichilendo la numero 1 del mondo, Simona Halep, col punteggio di 6-3 6-0. Dopo queste due vittorie così importanti tecnicamente, anche per le proporzioni del punteggio, Naomi si è ripetuta in finale, dove ha rispettato i favori del pronostico sconfiggendo con lo score di 6-3 6-2 Daria Kasatkina, 19 WTA. Quasi sicuramente abbiamo assistito al battesimo di una nuova campionessa.
5 – le vittorie contro top 100 ottenute nel solo 2018 da Matteo Berrettini: il quasi 22enne romano (compie gli anni il 12 aprile) sta mostrando sempre più spesso di essere pronto contro avversari di livello alto. Il più bel successo di tutti è arrivato questa settimana al Challenger di Irving, tradizionale appuntamento da 150.000 dollari di montepremi al quale si iscrivono tanti esclusi dalla seconda settimana di Indian Wells per tenersi in forma giocando partite ufficiali in vista di Miami. In Texas, l’azzurro al primo turno ha sconfitto Yuichi Sugita tds n°1 e 40 ATP, al quale ha rimontato prima un set e poi un break di svantaggio nel terzo, prima di vincere col punteggio di 3-6 6-1 7-6(3). Nei quarti, la prova del nove di questa vittoria, sinora la più prestigiosa relativamente alla classifica dell’avversario sconfitto, è arrivata con Mirza Basic, 82 ATP, recente vincitore dell’ATP 250 di Sofia, sconfitto a Irving col punteggio di 6-4 6-7(5) 6-1. In semifinale, un altro successo di qualità ha permesso al romano di accedere alla seconda finale Challenger del 2018, dopo quella vinta a Bergamo: Marton Fucsovics, 65 ATP, è stato sconfitto in due rapidi set (6-3 6-4). In finale il romano si è poi arreso in tre set alla maggiore esperienza di Kukhushkin, ma può ritenersi più che soddisfatto del suo torneo. Guardando indietro, Matteo aveva sconfitto, come giocatori classificati nella top 100, nella seconda metà del 2017 Giraldo e Donskoy. A loro, a gennaio a Doha, ne aveva fatti seguire altri due: prima aveva sconfitto nelle quali Marterer, poi aveva eliminato nel tabellone principale Troicki. Complimenti Matteo e… lunga permanenza nella top 100!
6 – le sconfitte di John Isner nella partita iniziale dei sette tornei ai quali ha partecipato in questo per lui nerissimo inizio di 2018. Il numero 2 statunitense (ma dopo Indian Wells verrà superato da Querrey) ha vinto solo due partite in questi primi tre mesi di stagione: in coppa Davis – sulla terra rossa serba contro Lajovic – e a Delray Beach, contro Radu Albot. Come si nota facilmente, entrambi giocatori non classificati tra i primi 80, quando sono stati affrontati dal 32 enne tennista a stelle e strisce. A Indian Wells, uno dei suoi Masters 1000 preferiti – solo a Bercy ha fatto meglio con una finale e due semi -, torneo nel quale nel 2012 in finale perse da Federer dopo aver sconfitto in semi il numero 1 Djokovic, è arrivata l’ennesima sconfitta nella partita d’esordio, questa volta contro Monfils, 42 ATP, impostosi col punteggio di 6-7(5) 7-6 (3) 7-5. Crisi nera per il gigante del North Carolina.
7 – le vittorie del da poco 21enne Borna Coric contro top 10, prima di iniziare il torneo di Indian Wells. Numeri già importanti per un tennista entrato nella top 100 a nemmeno 18 anni (vi riuscì raggiungendo la semifinale a Basilea nel 2014), ma che non aveva sin qui mai trovato la continuità di rendimento necessaria per entrare nei top 30. Il croato, capace di vincere un solo titolo (Marrakech 2017) e di ottenere altre due finali, sempre in tornei ATP 250 minori (nel 2016 per due volte, prima a Chennai e poi a Casablanca) non aveva mai trovato nei tornei che contano l’acuto: negli Slam non è mai arrivato ancora nemmeno agli ottavi, nei Masters 1000 solo due volte era giunto ai quarti (Cincinnati 2016 e Madrid 2017). A Indian Wells, dopo i due quarti a Doha e Dubai, inframmezzati dal brutto primo turno perso a Melbourne contro Millman, vi è stata la possibile svolta della carriera, arrivando in semifinale, dove si è anche portato avanti di un set e un break contro Federer, prima di perdere col punteggio di 5-7 6-4 6-4. Il croato, nel torneo sin qui migliore della carriera, ha sconfitto un top 10 – Anderson (2-6 6-4 7-6 (3) -, un top 20 – Bautista Agut (6-1 6-3) -, il 22 ATP Ramos-Vinolas (6-0 6-3) e due statunitensi come Fritz (6-2 6-7 6-4) e Young (6-0 6-2). A Miami capiremo se davvero ha trovato continuità.
8 – i mesi trascorsi dall’ultima volta (nel corso dell’ultimo Wimbledon), in cui Milos Raonic aveva vinto tre partite di seguito. L’ex numero 3 del mondo (a fine 2016), uscito a febbraio dai primi 30 ATP, era reduce da una seconda parte di 2017 nella quale l’infortunio alla gamba destra lo aveva costretto con scarsi risultati a giocare solo tre tornei (Washington, Montreal e Tokyo) dopo i Championships. Non era iniziato bene nemmeno il 2018, nel quale aveva vinto una sola partita (contro Daniel, atleta non tra i primi 100 ATP) tra Brisbane, Melbourne e Delray Beach. Come capita molte volte nel tennis, la luce si è accesa all’improvviso per il finalista di Wimbledon 2016 e di tre Masters 1ooo (Montreal 2013, Bercy 2014 e Indian Wells 2016) e in California il canadese di origine montenegrina ha trovato il modo per sconfiggere Auger Auliassime (6-4 6-4), Joao Sousa (7-5 4-6 6-2), Baghdatis (walk over) e Querrey (7-5 26 6-3). In semifinale, il confronto con del Potro, contro il quale aveva vinto due precedenti su tre, è andato male e l’allievo di Goran Ivanisevic si è fermato, col rivale vincitore per 6-2 6-3. In California Raonic ha confermato di essere, se sta bene fisicamente, ostico per tutti.
11 – le vittorie di Kevin Anderson nelle ultime tredici partite giocate. Il finalista dell’ultima edizione degli US Open aveva concluso male il 2017, vincendo solo tre match nei cinque tornei giocati dopo il suo exploit newyorkese. Il 2018 era iniziato meglio per lui, con la finale all’Atp 250 di Pune, ma è solo dopo la deludente sconfitta in cinque set patita contro Edmund al primo turno degli Australian Open (primo tennista, da Hewitt nel 2002, a passare dalla finale a New York alla sconfitta all’esordio a Melbourne) che il sudafricano ha ingranato la marcia in più. Tornato alle gare un mese dopo, alla prima edizione dell’ATP 250 di New York Anderson ha vinto il torneo, per poi arrendersi ad Acapulco solo in finale a del Potro. A Indian Wells, dove era arrivato al massimo nei quarti (nel 2013 e nel 2014), ha sconfitto nell’ordine, Donskoy (7-5 6-4), Kicker (7-6 7-6) e, nella rivincita della semifinale di New York, Carreno Busta per 4-6 6-3 7-6(3). Contro Borna Coric, sempre sconfitto nel corso dei tre precedenti, si è arreso solo in volata al tie break del terzo, con il croato vincitore 2-6 6-4 7-6 (3). Outsider di lusso.
14 – i tornei giocati nel 2017 da Venus Williams (e in tre di essi disputando una sola partita), la quale, alla soglia dei 38 anni (li compie il 17 giugno) centellina le sue presenze nel circuito, puntando alla qualità delle sue prestazioni. Su questa stessa falsariga ha giustamente iniziato anche il 2018, nel quale non aveva vinto nemmeno una partita tra Sydney (sconfitta da Kerber) e Melbourne (dove ha perso da Bencic). Tornata alle gare a quasi due mesi dalla precocissima sconfitta agli Australian Open, la maggiore delle sorelle Williams, che non vince un torneo da più di due anni, (l’International di Kaohsiung) e un Premier addirittura dal 2015 (Zhuhai, in finale su Pliskova), ha iniziato il torneo come ottava giocatrice al mondo. Venus non ha perso nemmeno un set per arrivare in semifinale a distanza di sedici anni a Indian Wells, sconfiggendo Cirstea (6-3 6-4), la sorella Serena – battuta dopo quasi quattro anni – (6-3 6-4) e Sevastova (7-6(6) 6-4). In semifinale, contro una tennista che aveva già sofferto come Kasatkina (Venus aveva vinto un solo dei due precedenti, e col punteggio di 10-8 al terzo a Wimbledon), si è arresa dopo essere stata un break avanti nel terzo, concedendo alla russa la vittoria col punteggio di 4-6 6-4 7-5. La classe allunga la carriera.
51 – la posizione nel ranking WTA di Petra Martic, la tennista con la peggiore classifica giunta ai quarti del Premier Mandatory di Indian Wells. La 27enne tennista croata, tornata nel circuito solo ad aprile 2017 dopo un infortunio che l’aveva costretta a stare ai box da Wimbledon 2016, grazie agli ottavi ai Championships 2017 era rientrata tra le prime 100 dopo un’assenza che perdurava da aprile 2014. A Melbourne, sfruttando un buon tabellone, era arrivata al quarto turno, un piazzamento che, assieme ai quarti a Budapest, le aveva permesso di avvicinare il suo best career ranking, 42 WTA, raggiunto nel giugno 2012. Proprio quella è stata la migliore stagione sin qui della carriera della tennista nata a Spalato, che in quell’anno aveva ottenuto le uniche due vittorie contro top ten (Kvitova a Katowice e Bartoli al Roland Garros), nonché l’unica finale, quella di Kuala Lumpur, persa contro Hsieh. A Indian Wells, dove non era mai arrivata al terzo turno, prima di perdere in tre parziali (6-4 6-7 6-3) nei quarti dalla numero 1 del mondo Simona Halep, si è prodotta in un tennis che le ha permesso di ottenere il piazzamento più importante della carriera, senza perdere nemmeno un set. Ha infatti sconfitto Tatjana Maria (6-3 6-1), Barbora Strycova (7-5 6-4), è tornata alla vittoria con una top ten, Jelena Ostapenko (6-3 6-3) e infine ha avuto la meglio su Vondrousova (6-3 7-6).
57 – le vittorie consecutive, contro tennisti non inclusi nella top 100, da parte di Nole Djokovic nel periodo intercorrente da marzo 2008 (quando perse a sorpresa da Kevin Anderson al primo turno di Miami) sino ad agosto 2016, quando alle Olimpiadi di Rio, perse da un “finto” 141 del mondo, Juan Martin del Potro. Quella sconfitta, che tanto costò psicologicamente a colui che era l’incontrastato numero 1 del mondo, molto di più di quella del mese prima a Wimbledon contro Querrey, a bocce ferme sembra essere stata un po’ la svolta in negativo nella carriera di Nole, che, fatta eccezione per la finale di New York il mese successivo, non si riprese più a livelli di risultati. Emblema della crisi psicofisica in cui cadde nel 2017, anno in cui ha vinto solo i minori tornei di Doha e Eastbourne, fu un’altra inopinata sconfitta contro un tennista non nella top 100, Denis Istomin, al secondo turno di Melbourne. Un vicolo cieco dal quale il serbo stenta a riprendersi, come testimonia, un’altra bruttissima prova, offerta, guardacaso, contro un tennista non classificato tra i primi 100, il 25enne giapponese Taro Daniel, 109 ATP, (best career ranking 8) che non aveva mai sconfitto in carriera un top 20. Il tennista giapponese, nel secondo turno di Indian Wells ha prevalso anche grazie alla marea di errori non forzati di Nole, apparso scarico in alcuni momenti, col punteggio di 7-6 (3) 4-6 6-1. Non può fare che meglio a Miami.
65 – i mesi passati dall’ultima volta in cui Juan Martin del Potro aveva trovato la salute e la forma tennistica necessarie per poter inanellare undici successi di seguito, come accaduto in queste settimane, con la vittoria in finale ad Acapulco su Anderson, seguita dalla splendida cavalcata di Indian Wells e il successo in finale su Federer. Una vittoria molto importante per il gigante sudamericano: era il primo Masters 1000 conquistato dopo tre finali andate male in tornei di questa categoria (nel 2009 a Montreal fu sconfitto da Murray, nel 2013 a Indian Wells da Nadal e a Shanghai da Djokovic). Era infatti dall’ottobre 2012 (semifinale Coppa Davis, titoli a Vienna e Basilea, sino al secondo turno di Bercy, sconfitto da Llodra) che al 29enne argentino non riusciva un filotto di successi del genere. Prima ancora, per quantomeno eguagliare un tale numero di vittorie consecutive, si doveva tornare indietro all’estate 2009 (due singolari dei quarti di Coppa Davis contro la Repubblica Ceca, campione a Washington, sino alla finale del Masters 1000 di Montreal, vinta da Murray). In quell’estate avrebbe poi vinto il suo primo e sin qui unico Slam, quell’US Open in cui sconfisse in semifinale il numero 3 del mondo Nadal con un periodico 6-2, prima di recuperare Roger Federer e sconfiggerlo 6-2 al quinto. Ma l’ex numero 4 del mondo (nel gennaio 2010) è stato anche capace di fare meglio di così, come nell’estate 2008, quando, un paio di mesi dopo essere stato battuto con margine da Bolelli al Roland Garros, esplose come futuro campione, inanellando una serie di 23 successi consecutivi (titoli di Stoccarda, Kitzbuhel, Los Angeles, Washington, sino ai quarti raggiunti a New York, sconfitto da Murray) compiendo in poche settimane un balzo dal 65° al 13° posto nel ranking ATP, che poi lo avrebbe portato a fine anno a chiudere come ottavo giocatore al mondo. La splendida finale di Indian Wells di ieri, con annessi i match point annullati a Federer, conferma che in questo tennis pieno di campioni maturi acciaccati, ironia della sorte, Juan Martin è attualmente l’unico in campo capace di tenere testa al numero 1 svizzero. God save Delpo.