David Taylor, Jelena Ostapenko e Petra Martic
David Taylor, ex storico allenatore di Samantha Stosur (e l’anno scorso di Naomi Osaka), da qualche mese collabora con Jelena Ostapenko. A Indian Wells Ostapenko ha sofferto contro Petra Martic, che non le ha dato ritmo offrendole palle sempre diverse: per peso, velocità, altezza e spin. Jelena è una fenomenale colpitrice sulle traiettorie all’altezza dell’anca e anche su quelle a rimbalzo alto, ma soffre quelle più basse, da “tirare su”, specie se deve combinarle con lo spostamento in avanti. Come nel caso di alcuni slice di Martic.
Perso il primo set per 3-6, nel secondo set Ostapenko si è ritrovata sotto 1-4. Petra continuava a mischiare le carte, impedendo in questo modo a Jelena di aggiustare il mirino dei suoi tiri. Al cambio campo, durante il coaching, ecco cosa ha detto Taylor a Ostapenko: “Non sta funzionando questo tuo modo di colpire a tutta. Rallenta un po’, tieni la palla in campo. Lei (cioè Martic ndr) non sta tirando vincenti, sta solo aspettando il tuo errore. Non rischiare così tanto in risposta. Lei è una giocatrice così insicura: fatica moltissimo a chiudere i match. La strada è ancora lunga, continua a combattere. Devi essere intelligente, riduci gli errori e non provare a sfondare con i colpi, perché non funziona. Tieni duro, lei fatica moltissimo a chiudere i match”.
È vero che Petra nel suo passato ha avuto episodi di “choke”, che è la parola che gli inglesi usano per descrivere sconfitte avvenute quando ormai la vittoria sembrava a portata di mano. Il caso più recente è stato contro Svitolina negli ottavi del Roland Garros 2017, quando perse il terzo set 5-7 dopo essere stata in vantaggio 5-2, 30-0 sul servizio di Elina. Però Martic ha anche vinto partite per 10-8 a Wimbledon 2017 contro Gavrilova, o ha salvato sei match point nelle qualificazioni di Wimbledon 2017 contro una giocatrice da non sottovalutare come Aleksandra Krunic.
È comprensibile che nei frangenti difficili di una partita un coach si aggrappi agli aspetti che spera possano rianimare la fiducia di chi sta allenando; ma forse non è il massimo dell’eleganza parlare in questi termini di un’avversaria, sapendo che poi tutto viene trasmesso in TV.
Cosa è accaduto nel proseguo del match? Martic è andata a servire sul 6-3 5-3, e ha chiuso a quindici il game decisivo. E sul primo match point a disposizione ha messo a segno un ace.
https://youtu.be/FubW-pTIdok?t=592
Osaka e Kasatkina
Naomi Osaka e Daria Kasatkina con la finale nel “quinto Slam” di Indian Wells hanno sicuramente allargato la loro popolarità, cominciando a farsi conoscere al grande pubblico. Chi segue Ubitennis da qualche anno sa però che la nostra comunità di appassionati tiene da tempo sotto osservazione la new wave tennistica delle giovani nate nel 1997 (Bencic, Kasatkina, Ostapenko, Osaka, Konjuh).
In questo momento forse l’aspetto più curioso è questo: andando a rileggere articoli e post del passato su di loro, si troveranno valutazioni differenti da parte dei lettori; vale a dire commenti in cui ognuno tende a prediligere una giocatrice rispetto alle altre. In realtà in questo momento non siamo nella condizione di sapere chi avrà ragione sulla possibile leader, visto che tutte e cinque danno l’impressione di poter emergere ad alti livelli. E in fondo l’hanno già fatto, anche se in tornei e periodi diversi: Bencic a Montreal 2016 (torneo strepitoso, vinto dopo aver battuto quattro Top 10, Serena inclusa), Ostapenko a Parigi 2017 (uno Slam, c’è da aggiungere altro?), ora Kasatkina e Osaka a Indian Wells 2018.
Solo Ana Konjuh non è ancora riuscita in un exploit degno di ampi spazi sui media. Ma la più giovane di questo quintetto (Ana è nata nel dicembre 1997) è anche quella che è stata più bersagliata dalla sfortuna, sotto forma di due operazioni al braccio destro. Ricordo che nei frangenti in cui Konjuh è riuscita a giocare con più continuità è già stata in grado di diventare numero 20 del ranking. Mi auguro riesca a esprimere il suo potenziale senza che la salute la penalizzi.
Sulla finale di Indian Wells propongo due brevi ragionamenti. Quello su Kasatkina: sappiamo che Daria è una giocatrice che ama sviluppare il match con molta attenzione sugli aspetti tattici, alla ricerca di contromisure specifiche per ciascuna avversaria. Forse però questa volta ha esagerato, preoccupandosi fin troppo di Osaka, al punto da limitare il proprio tennis.
Mi spiego: Kasatkina nei primi game ha proposto a Osaka palle con poco peso, per impedirle di alzare troppo il ritmo. Ma quando Naomi è riuscita ad adattarsi a quel tipo di gioco, ottenendo sempre più spesso vincenti, Daria ha faticato a trovare alternative, perché con quell’inizio in trattenuta non era riuscita a “scaldare” il dritto, il proprio colpo più forte. Che l’ha tradita con troppi errori non forzati.
Con il senno di poi mi viene questo dubbio: in un match così importante, forse il primo obiettivo da raggiungere è quello di togliersi la tensione di dosso, entrando nel ritmo partita il più rapidamente possibile. Per questo avere invece iniziato sin dal primo quindici pensando soprattutto all’avversaria potrebbe essere stato controproducente. Ma quando a vent’anni si affronta una finale come Indian Wells è comprensibile che non si riesca a trovare il giusto mix tra esigenze tattiche, tecniche e psicologiche.
Per quanto riguarda Osaka: è riuscita a vincere un torneo di grande prestigio, superando fior di avversarie (Sharapova, Radwanska, Vickery, Sakkari, Pliskova, Halep, Kasatkina) lasciandomi la sensazione che nelle diverse partite, finale inclusa, abbia gestito la sua potenza, a cominciare dal servizio. Non sempre ha spinto i colpi a tutta, ma anzi, il più delle volte si è tenuta un margine di sicurezza sufficiente per condurre il gioco (e anche ottenere vincenti) senza però alzare troppo il numero di errori non forzati. Una novità rispetto al passato.
Questo atteggiamento sottintende due cose. La prima: per potersi permettere di accettare scambi a volte più lunghi, meno basati sull’uno-due, significa che Osaka è molto cresciuta nella mobilità e in generale nel gioco di contenimento. La seconda: in casi particolari Naomi potrebbe anche decidere di rischiare di più, colpendo a tutto braccio. In giornata di vena, specialmente al servizio, significherebbe ottenere ace a ripetizione. Non è solo una ipotesi: lo ha sperimentato Ashleigh Barty agli ultimi Australian Open, quando dovette affrontare una Osaka quasi incontenibile, proprio a partire dal colpo di inizio gioco. Risultato: 12 ace in nove turni di servizio, nella partita vinta 6-4, 6-2.
Sulle giocatrici del 1997 chiudo con un mio pensiero del 2016: “Se per ipotesi riuscissero ad arrivare tutte, o quasi, ai vertici del ranking (evento non impossibile anche se abbastanza improbabile) secondo me sul piano della personalità costituirebbero un gruppo in grado di non far rimpiangere troppo le campionesse che le hanno precedute. Credo cioè che avrebbero le qualità umane, la varietà di carattere e di gioco, adatte a raccogliere le simpatie e l’affetto degli appassionati”. Piccola dimostrazione. Qui Osaka cerca di eseguire il tweener, e chiede un aiuto per impararlo:
https://www.instagram.com/p/BftXdGrFPtG/?taken-by=naomiosakatennis
E qui Kasatkina prova a insegnarglielo:
P.S. Durante la settimana del torneo di Miami la rubrica si ferma. Tornerà fra due settimane. La seconda parte dell’articolo “Quadrumani & Co” uscirà in una delle prossime scadenze.