Certe sconfitte bruciano più di altre. Ovvio, persino banale, ma indiscutibilmente vero. Specie se la vittoria, magari di prestigio, era lì, a meno di un passo, pronta per essere colta. Nel secondo turno del torneo di Miami Océane Dodin è arrivata a qualche centimetro da un successo che forse l’avrebbe fatta svoltare: non tanto in termini di classifica, soldi, o chissà cos’altro; quanto in termini di fiducia nelle proprie capacità, visto che il periodo, poveretta, è quello che è: centrato il best ranking al numero 46 WTA la scorsa estate, la ventunenne di Lille ha imboccato un oscuro tunnel di scarsi risultati dopo la semifinale all’International di Washington. Dai primi di agosto, vita grama: due secondi turni raccattati (US Open e Quebec City), sei eliminazioni all’esordio e qualche guaio fisico di troppo ne avevano bruscamente fermato la prevista ascesa.
Proprio in Florida si è riaccesa la fiammella, pure sospinta – come spesso capita – da un pizzico di fortuna: superato il primo turno di qualificazione ai danni di Naomy Broady, Océane è stata respinta da Allison Riske nel match che le avrebbe garantito l’accesso al tabellone principale, ma il ripescaggio in qualità di lucky loser le ha offerto una nuova possibilità. Una chance giocata bene, in effetti: Dodin ha eliminato nel primo turno Veronica Cepede Royg e stava per saltare anche il secondo ostacolo, ben più impervio, rappresentato da Simona Halep, capoclassifica del circuito femminile. Avanti di un set e rimontata, la giocatrice francese ha trovato le forze per avvantaggiarsi due volte di un break nel parziale decisivo, ma non è riuscita a mandare al tappeto la rivale, la quale ha poi sorpassato al fotofinish.
Una discreta occasione mancata per foraggiare il morale, e infatti Océane l’ha presa malissimo. La reazione post-sconfitta è un concentrato di ira funesta, e anche l’incontro con la stampa, affrontato dopo aver recuperato un pizzico di calma, ha le forme della chicca. “Cosa mi rimane di questa partita? Solo ricordi negativi. Vengo da un periodo tremendo e avevo bisogno di fiducia, invece questa è un’ulteriore mazzata. Avrei davvero preferito perdere 6-0 6-0. Sono stata un sacco di volte in vantaggio ma non sono mai riuscita a dare lo strappo decisivo per colpa del mio servizio orrendo – l’espressione usata per definire la propria battuta è invero decisamente più colorita, NdR -; chiedevo solo di mettere la seconda in campo, non di fare una marea di ace. Invece ho commesso circa venti doppi falli, è stato più forte di me“.
Negli spogliatoi la scena con protagonista l’Océane furiosa dev’essere stata memorabile per i pochi testimoni. “Ho scagliato il cellulare contro il muro, poi ho parlato con mio padre – Fred, che riveste anche il ruolo di allenatore, NdR -. Gli ho ordinato di cancellarmi da tutti i tornei a cui sono iscritta specificando che il tennis rappresentava un capitolo chiuso nella mia vita“. Naturalmente il padre/coach ha arginato il diluvio, e Dodin continuerà a maneggiare la racchetta ancora per diversi anni. “Mi ha detto che sono completamente pazza, e di prendere appuntamento con uno psichiatra. Perché una sconfitta per 7-5 al terzo contro la numero uno del mondo è un risultato che arriva solo dopo un’ottima prestazione. Era molto contento del mio gioco“. Una vicenda in definitiva anche buffa, buona per strappare un sorriso a tutti. Certo è l’ennesimo esempio di quali delicati equilibri psicologici si trovi a dover affrontare un allenatore. Figuriamoci se lo stesso è anche padre dell’allenato.