La storia più bella di questa settimana, probabilmente, è quella di Danielle Collins, “vecchiettina” classe ’93, occhi blu da red carpet e completini senza marchio né logo. Fino al 2014 non aveva ranking, poco più di un anno fa era numero 300 del mondo, fino alla settimana scorsa non aveva mai vinto una partita sul circuito WTA. Da bambina non ha “fatto tennis”, perché i suoi non se lo potevano permettere. Però andava ai campi pubblici di Tampa e giocava con chi c’era. A 8 anni faceva i doppi con gli ottantenni, a 12 giocava i tornei comunali e prendeva mazzate dai quarantenni. A 16 era tra le Under 18 più forti d’America, ma non poteva girare il mondo col circuito junior ITF perché i soldi non c’erano, e allora fece la scelta, quasi obbligata, di andare al college.
A UVA (University of Virginia), diventa campionessa NCAA già al secondo anno. Arriva la wild card per lo US Open 2014, e un set strappato alla Halep tra lo stupore generale. Poi ci sarebbero i 45 mila dollari di prize money, e farebbero anche comodo, ma la Collins non li prende. Significherebbe dover rinunciare all’amateur status richiesto per competere a livello NCAA, e quindi alla borsa di studio, e quindi alla scuola, alla squadra, alle amiche… E quindi si torna a Charlottesville, dove nel 2016 ottiene una laurea in comunicazione e, per non sbagliare, un secondo titolo NCAA.
Comincia il tran tran senza gloria del circuito minore, fra spostamenti in corriera e notti negli ostelli. Poi, nel marzo del 2017, la svolta: Danielle Collins e Mackie McDonald sono i primi beneficiari dell’Oracle US Tennis Award, un premio annuale da 100 mila dollari (a testa) per aiutare i migliori tennisti universitari a fare il salto nel mondo pro. Collins li investe in coach, preparatori, psicologi, un programma di allenamento di livello. Intanto il granduca di Oracle, Larry Ellison, le concede anche una wild card per il suo torneo, ma a Indian Wells 2017 una scollatissima Danielle becca una scoppola paurosa: 6-0 6-1 da Puig e si riparte dai 15.000. Però, piano piano, ecco che la ragazza comincia a prenderci la mano, e a un anno di distanza è addirittura lì, a un tiro di schioppo dalle top 100.
Arriva un’altra wild card per Indian Wells. Coerente e meritata, certo, ma anche rischiosa, visto il flop clamoroso di un anno fa. E invece Collins fa fuori nell’ordine Townsend, Keys e la stellina Zhuk, sua ben più blasonata compagna di allenamenti alla IMG Academy. La ferma agli ottavi solo una delle migliori Suarez-Navarro della stagione. Il tennis di Danielle è completo ma non certo devastante. Ciò che davvero colpisce, però, sono i famosi intangibles: le doti mentali e caratteriali, il saper stare in campo, l’attitudine a vincere. Nei momenti caldi del match, sono sempre le avversarie – le milionarie affermate ed esperte – a cadere vittima di braccini, “infortuni” e psicodrammi vari. Invece Collins, che le partite più importanti della sua carriera le aveva giocate senza raccattapalle o giudici di linea, dimostra una determinazione e un killer instinct davvero sorprendenti. Attualmente la stanno seguendo Pat Harrison (padre di Ryan) e Tom Hill.
Dopo un simile exploit, è probabile che Danielle, sotto sotto, una wild card se la aspettasse anche a Miami. E invece si ritrova in un angolo insidiosissimo delle quali, con un’occasione perfetta per tornare nel dimenticatoio. O per dimostrare di che pasta è fatta. Battute una dopo l’altra Smitkova, Cepelova, Begu, Vandeweghe e Vekic, eccola al quarto turno pure a Miami. Un sunshine double mica da nulla, per una che fino a questo mese – doveroso ripeterlo – non aveva mai vinto una partita sul circuito maggiore. Ha iniziato questo torneo da numero 93, comunque vada è già certa della posizione 66.
Ad aspettarla negli ottavi c’è di nuovo Puig, colei che un anno fa l’aveva “battezzata” a suon di bagel nel deserto californiano. La Portoricana sembra essere finalmente tornata a buoni livelli, e oltretutto a Miami può contare su un tifo davvero caldissimo (chiedere a Wozniacki per credere…). Nel tramonto afoso di Key Biscayne, il campo 1 di Crandon Park è una bolgia: boati a ogni errore, insulti durante il lancio palla, cori da stadio e balli latini. Quando un’ottima Puig porta a casa il primo set, sulla favola bella di Collins iniziano a scorrere i titoli di coda. E invece, con un capolavoro di tattica e sangue freddo, la sconosciuta qualificata s’infila in un last 8 che più nobile non si può: Azarenka, Pliskova, Stephens, Kerber, Ostapenko, Svitolina e Venus Williams, sua prossima avversaria (questa notte, non prima dell’una), che ha dichiarato – perifrasticamente – di non averla mai sentita nominare. Farà la sua conoscenza sul campo centrale di Crandon Park, e per quello che si è visto finora, farà bene a stare molto attenta.
David Cane