Sedici incontri in un mese, più di uno ogni due giorni. Si tratta di un dispendio di energie fisiche e mentali notevole per qualunque giocatore di tennis. Figuriamoci per chi ha saltato due anni di carriera per problemi al polso e una volta rientrato ha cercato di gestire al massimo il proprio corpo. Al termine della sconfitta in semifinale di Miami contro John Isner, che conclude la striscia di vittorie cominciata ad Acapulco e proseguita ad Indian Wells, Juan Martin del Potro non nega di essersi sentito “un po’ stanco” durante il match. Ed è più che comprensibile. Ma Palito ci tiene comunque a tributare il giusto onore al vincitore. “John ha meritato di vincere oggi. Ha servito in maniera incredibile. Ha giocato un gran tennis nel tiebreak” dice del Potro, che se torna in patria “con molte cose da festeggiare”.
Niente tennis insomma per lui nelle prossime settimane: relax e divertimento con gli amici, in tipico stile argentino. “Mi prenderò una bella vacanza”, conferma Delpo. “Forse una settimana. Dipende da come mi sento. Ma vorrei andare a casa, stare a Tandil e mangiare barbecue, spendere del tempo con la famiglia e gli amici e non parlare di tennis per un paio di settimane”. La stagione sulla terra rossa europea tuttavia incombe e, dopo i suoi successi sul cemento, gli appassionati di tennis vorrebbero vederlo competere ai massimi livelli anche su un’altra superficie. Lui però non sembra essere molto d’accordo. Ha già fato forfait a Montecarlo e pare intenzionato a fare lo stesso anche in altri tornei sul rosso, Internazionali d’Italia inclusi. “Mi piacerebbe continuare a giocare a questo livello nei tornei sulla terra ma non so quando cominciare perché ho bisogno di prepararmi persino meglio che sui campi veloci. E voglio stare in salute tutto l’anno. Quindi abbandonerò alcuni tornei all’inizio per essere pronto per Parigi o forse per un torneo prima”, rivela il campione degli US Open 2009, dando qualche dispiacere ai suo tifosi europei.
Isner invece non deve fare programmi a lungo termine ma riflettere sulla finale di domani, la 25esima a livello ATP e la quarta a livello Masters 1000. Le prime le tre le ha tutte perse, rispettivamente contro Roger Federer (Indian Wells 2012), Rafa Nadal (Cincinnati 2013), Andy Murray (Parigi Bercy 2016). Questa volta per fortuna non affronterà nessuno dei Fab four ma il 20enne tedesco Alexander Zverev, n.5 del ranking ATP e con già due 1000 nel Palmares, trionfatore in semifinale contro Carreno Busta. Nei tre precedenti il giocatore a stelle e strisce è sempre uscito sconfitto. L’anno scorso lo ha proprio eliminato dal torneo di Miami al terzo turno al tiebreak del set decisivo. “È il miglior giovane del circuito” sentenzia Isner a ragion veduta.
Una finale che arriva dopo un inizio di stagione abbastanza buio per il 32enne gigante statunitense. Prima di questo exploit in Florida, Long John aveva infatti la raccolto la miseria di due vittorie in 8 apparizioni, Coppa Davis compresa. Ma quindi cosa è successo in questa settimana a Miami? Quali fattori hanno contribuito a questa bella cavalcata? Il solito duro lavoro? Non solo, secondo la sua opinione. “Dopo Acapulco sono stato a Dallas per alcuni giorni. Poi a Los Angeles prima di Indian Wells. Ho lavorato un sacco. Ma si sa che il duro lavoro non paga subito”, sottolinea Isner. “Infatti ad Indian Wells ho perso un match molto tirato in cui ho avuto match point (contro Gael Monfils, ndr). Ma le ragioni per cui ho giocato così bene sono due. Penso che il successo in doppio ad Indian Wells abbia aiutato molto. Mi ha tenuto in modalità partita. Giocare in situazioni di pressione, anche se in doppio, mi ha aiutato molto. Quando ho fatto bene in doppio in passato poi il successo si è ripetuto anche in singolare”. Il tennista della Carolina del Nord deve quindi un po’ ringraziare il suo compagno di doppio, il connazionale e amico Jack Sock. Magari gli pagherà una cena. E magari ne pagherà una anche al suo allenatore che lo ha aiutato molto a rilassarsi in questi giorni. “Con il mio coach, David Macpherson, siamo andati a mangiare fuori ogni giorno qui a Miami e abbiamo parlato di alcune cose. Mi sono rilassato di più in campo e penso che si stia vedendo nel mio gioco”, dice l’americano.
La sua sliding door in questo torneo è arrivata immediatamente all’esordio contro il mancino ceco Jiri Vesely. Poteva essere l’ennesima delusione di questo primo scorcio di 2018 e invece è andata bene. È lo stesso Isner a raccontarlo. “Ho vinto il primo set e non stavo giocando benissimo. Ero molto teso. Avevo male all’inguine e ho dovuto lasciare il campo per un timeout medico. Sono tornato in campo nel terzo set e non mi sentivo al 100% fisicamente. Ma sapevo che l’unica maniera per portare a casa l’incontro era rilassarmi e lasciare andare i colpi”, spiega il ragazzone di Greensboro, che ha fatto il college dietro casa, alla University of North Carolina, alma mater di Michael Jordan tanto per fare un nome. E questa esperienza l’ha aiutato tantissimo nella transizione al professionismo. Così come ha aiutato la 24enne Danielle Collins che da n.93 ha raggiunto la semifinale del torneo femminile. “Il college è la scelta giusta per diversi giocatori e quelli che l’hanno fatta il successo nel tennis professionistico è da attribuire tanto a questa esperienza che ti fa maturare come persona e come tennista”, sottolinea Isner. “Parlo di me, di Johnson, di Anderson e di Collins. La sua marcia in questo torneo è stata fantastica. Al College impari a vincere. E vincere è molto importante ad ogni livello”. Chissà che questa volta John non riesca finalmente a vincere un torneo di un certo spessore. Forse se lo meriterebbe.