1- la vittoria, nelle ultime cinque partite giocate, da Grigor Dimitrov. Una crisi profonda per il numero 4 del mondo, il quale, dopo aver perso nettamente la finale di Rotterdam contro Federer, ha rimediato due brutte sconfitte consecutive all’esordio a Dubai (contro Jaziri, 117 ATP) e a Indian Wells (da Verdasco), prima di sconfiggere al secondo turno di Miami un avversario non certo irresistibile come Marterer, 73 ATP. Una rondine non fa però primavera e difatti il 26enne bulgaro nel terzo turno (al primo aveva ricevuto un bye) ha confermato di stare attraversando un momento nero, venendo sconfitto con un duplice 6-4 da Chardy, 90 ATP. Un 2018 che, a parte la finale all’ATP 500 di Rotterdam, è stato a forti tinte grigie per Grigor, autore di un fine 2017 brillante che gli aveva regalato il più importante degli otto titoli sin qui conquistati in carriera, le ATP Finals di Londra. A inizio anno, in Australia aveva raggiunto la semifinale a Brisbane (perdendo da Kyrgios) e i quarti a Melbourne (deludente sconfitta contro Edmund) non brillando mai. In questo 2018, del resto, se si esclude la vittoria a seguito del ritiro di Goffin nella semi di Rotterdam, Grigor ha vinto solo una partita contro un top 30, Kyrgios, agli ottavi di Melbourne. Irriconoscibile.
2- le sconfitte consecutive di Roger Federer al tie-break del set decisivo: dopo aver perso in tale situazione di punteggio la finale di Indian Wells contro Del Potro, si è, per lui tristemente, ripetuto a Miami contro Kokkinakis, una sconfitta che gli è costata il primo posto nel ranking. Il bilancio del campione svizzero in tale situazione di punteggio, affrontata solo cinquantotto volte nel corso della sua lunga carriera (costituita da 1458 partite ufficiali) è positivo, ma non eccellente, per quanto questo poco voglia dire: Federer ha infatti vinto “solo” in 31 casi, il 53% delle volte. Una percentuale- ovviamente- molto inferiore a quella dei successi rispetto alle partite giocate. Infatti, lo svizzero, risultato vincitore in 1189 volte dei suoi match, ha vinto sin qui l’81% delle circostanze nelle quali è sceso in campo. Può essere curioso rapportare la sua capacità di successo in tale frangente con i tennisti al vertice della classifica dal 200o in poi, sebbene per alcuni di essi il bilancio sia chiuso e per altri sia itinere e non dimenticando che questi numeri sono troppo piccoli per essere davvero indicativi. Djokovic ha la migliore percentuale, 66% (14-7), ma quasi tutti gli altri numeri 1 sono sopra al 60 %: Sampras col 64 (30-17), Roddick col 63%(27-16); Ferrero (20-12) e Murray (20-12) col 62. Percentuali comunque migliori dello svizzero sono quelle di Hewitt col 56% (18-14) Kuerten, 55% (21-17). Tre i numeri uno considerati che hanno fatto “peggio” di Roger: Nadal col 51% (17-16), Agassi col 47% (9-10) e Safin, addirittura col 43% (24-32). Infine, tra i tennisti in attività che hanno vinto Major, è interessante riportare la buona percentuale di Wawrinka, 61 % (27-17) e soprattutto quella davvero buona di Del Potro (17-4), vincitore nel 81% dei casi nei quali la partita si è assegnata al fotofinish dell’ultimo parziale.
3- appena le partite vinte da Sloane Stephens successivamente alla fantastica cavalcata che nello scorso settembre le aveva consentito di vincere gli US Open. Tra ottobre e febbraio, mesi nei quali aveva preso parte ai Premier di Zhuhai, Pechino e Sydney, ai due singolari della finale di Fed Cup persa con la Bielorussia e agli Australian Open, ha dimenticato completamente il gusto della vittoria, perdendo sempre tutti i match disputati, in cinque dei quali le avversarie non erano comprese nemmeno nella top 50. Sloane era poi tornata al successo all’Intenational di Acapulco, arrivando ai quarti dopo aver battuto due avversarie dalla classifica modesta (Rus e Parmentier), prima di perdere da Voegele, 183 WTA. A Indian Wells i primi veri segnali di risveglio con il successo sulla Azarenka (prima di perdere al secondo turno dalla Kasatkina), ma era francamente impossibile immaginare di vederla protagonista della cavalcata della quale è stata protagonista a Miami. Sloane prima ha sconfitto Tomljianovic (6-1 6-3) e Niculescu (6-7(1) 6-3 4-0 RET), poi ha addirittura lasciato pochi games a due top 10, entrambe ex numero 1 del mondo, come Muguruza (6-3 6-4) negli ottavi e Kerber (6-1 6-2) nei quarti. In semifinale ha impiegato tre set ( 3-6 6-2 6-1 ) per sconfiggere l’ex numero 1 del mondo Azarenka, mentre ne sono occorsi solo due per conquistare in finale il primo Mandatory (aveva vinto anche il Premier di Charleston nel 2016, in finale su Vesnina), superando la Ostapenko con lo score di 7-6(5) 6-1. Risorta come una Fenice.
4- le sole volte, in ben diciassette tornei disputati, dopo i quarti raggiunti all’ultimo Roland Garros e prima di Miami, nei quali Pablo Carreno Busta aveva ottenuto due vittorie consecutive nel corso della stessa competizione. Una situazione paradossale per chi è comunque arrivato in Florida con una buonissima classifica -19 ATP- tantopiu se a questi numeri si aggiunge che nello stesso periodo erano state ben nove le eliminazioni al primo turno e che solo una volta erano stati raggiunti almeno i quarti di finale (nel caso della semifinale agli US Open). A Miami è arrivato una grande riscatto per lo spagnolo classe 91: prima è giunto ai quarti senza perdere un set e lasciando pochi games agli avversari – ha infatti battuto Istomin (6-1 6-0), Johnson (6-4 6-4), Verdasco (6-0 6-3)- poi, si è vendicato di Kevin Anderson, che lo aveva sconfitto agli ottavi di Indian Wells la settimana precedente e soprattutto nella semifinale dello Slam newyorkese. Lo spagnolo, annullando anche un match point nel corso del tie-break del terzo, si è alla fine imposto col punteggio di 6-4 5-7 7-6 (8). Mai dare per morto Carreno.
5- (quasi) gli anni trascorsi dall’ultima volta nella quale John Isner aveva sconfitto tre top ten nello stesso torneo, circostanza verificatasi in precedenza solo una volta nella sua carriera, prima del suo trionfo al Masters 1000 di Miami, il successo nettamente più importante ottenuto da professionista. L’ultima volta era accaduto nel Masters 1000 di Cincinnati nel 2013, quando sconfisse Raonic, il numero 1 di allora Djokovic e infine Del Potro, prima di arrendersi in finale di fronte a Nadal, una delle tre finali perse a questo livello di tornei (le altre erano a Indian Wells 2o12, sconfitto da Federer, e Bercy 2016, quando perse da Murray). Un exploit, quello di Isner, piuttosto inatteso: nel 2018 aveva vinto appena due partite (contro tennisti non inclusi nella top 80) e perso ben sei match. In Florida, dove in dieci partecipazioni aveva raggiunto solo nel 2015 la semifinale, il trofeo più prestigioso messo in bacheca dal 32enne del North Carolina è arrivato grazie ai successi su Vesely ( 7-6(3) 1-6 6-3), Youzhny (6-4 6-3), sul 3 ATP Cilic 7-6(0) 6-3, su Chung (6-1 6-4), sul 6 ATP Del Potro (6-1 7-6(2)) e, in finale, sul quinto giocatore al mondo, Sasha Zverev, sconfitto col punteggio di 6-7(4) 6-4 6-4. Sorprendente.
6- le sconfitte contro tenniste non incluse nella top 30 e quattro le eliminazioni nell’esordio nel torneo in questo 2018 per la campionessa in carica del Roland Garros, Jelena Ostapenko, sesta giocatrice al mondo. Un ruolino di marcia davvero negativo per la 20enne lettone, che pure aveva chiuso bene il 2017, con buoni risultati nella tournée asiatica (vittoria nell’International di Seoul, semifinali ai Premier di Wuhan e Pechino, una vittoria nel Round Robin delle WTA Finals). Quest’anno per lei erano arrivate però appena quattro vittorie, nessuna delle quali contro una tennista nella top 60 WTA. L’ultima deludente sconfitta era giunta al secondo turno di Indian Wells contro Petra Martic. A Miami è arrivata inaspettatamente la rinascita per Jelena: il secondo Premier Mandatory statunitense del 2108 è stato tato la prima volta della sua carriera, nella quale ha sconfitto, nel suo percorso, due top ten nel corso dello stesso torneo. Ostapenko in Florida è difatti arrivata in finale sconfiggendo nell’ordine -senza perdere nemmeno un set- Babos (6-4 6-4), Haddad Maia (6-2 7-6), due protagoniste del circuito come Kvitova (7-6 6-3) e Svitolina (con due tie-break) e, infine, la matricola Collins (7-6 6-3). In finale ha fatto partita pari con la Stephens solo nel primo set, prima di cedere 7-6 (5) 6-1. Una giovane stella ritrovata nei radar del grande tennis.
10- le partite giocate e appena sei quelle vinte da Caroline Wozniacki, dopo il trionfo di Melbourne, che le portò il primo Major della carriera e, contestualmente, il primato in classifica, riconquistato a distanza di quasi sei anni. Tornata a giocare la settimana successiva agli Australian Open al Premier di San Pietroburgo e battuta ai quarti da Kasatkina, a Doha aveva fatto benino (vittoria sulla Kerber nei quarti, prima di perdere di misura dalla Kvitova in un match nel quale aveva servito due volte per il match). La danese classe 90, ha però soprattutto deluso nei Premier Mandatory statunitensi: a Indian Wells si è fermata in ottavi, nuovamente contro la Kasatkina, e ha fatto poi ancora peggio a Miami, dove ha perso all’esordio dalla campionessa olimpica Monica Puig, scesa al numero 83 del ranking Wta, vincitrice col punteggio di 0-6 6-4 6-4.
12- i tornei giocati da Alexander Zverev dopo i Canadian Open vinti lo scorso agosto a Montreal in finale su Roger Federer. Da quel momento in poi, un misero bottino era stato raggiunto dal quasi 21enne (compie gli anni il prossimo 20 aprile) tedesco, capace di raggiungere appena due semifinali in tornei di non primissimo piano (gli Atp 500 di Pechino e Acapulco). Una crisi di risultati testimoniata anche dal misero bilancio in tale lasso temporale contro top 10 (1-3) e tennisti tra la 11° e la 20° posizione(1-2) e dalle tre eliminazioni rimediate nella partita inuagurale del torneo. Il tedesco si è però saputo riprendere a Miami, dove con un rendimento diesel ha prima sconfitto soffrendo Medvedev – col punteggio di 6-4 1-6 7-6 (5)- poi Ferrer (2-6 6-4 6-4), Kyrgios (con un duplice 6-4) Coric (sempre con un 6-4 periodico) e Carreno Busta (7-6 6-2). In finale ha perso al fotofinish una lunga finale con Isner, con lo statunitense vincitore solo 6-4 al terzo. Lo si attende nei Major per capire se si possa battezzarlo campione, come vaticinato da tanti addetti ai lavori.
29- i mesi dall’ultima volta che Jeremy Chardy aveva vinto tre partite consecutive in tornei del circuito maggiore assegnanti punti in classifica. Vi era in verità riuscito anche nello scorso aprile, sconfiggendo nei singolari dei quarti di Coppa Davis i britannici Edmund (a punteggio acquisito) e Evans, e superando il primo turno a Marrakech, ma appunto due di queste vittorie -una delle quali una semplice formalità statistica- non assegnavano punti. L’ultima volta che vi era propriamente riuscito è stata nell’estate del 2015, quando agli Us Open arrivò agli ottavi sconfiggendo tra l’altro l’allora numero 7 del mondo David Ferrer. Era quello il periodo migliore della carriera per il 31enne francese- che molti ricorderanno capace di battere Federer a Roma nel 2014 e nel 2012 Murray a Cincinnati- il quale un mese prima si era anche issato alle semifinali al Masters 1000 di Montreal. La miglior posizione nel ranking lo ha tuttavia raggiunta a gennaio 2013, dopo aver conquistato i quarti a Melbourne, suo miglior risultato nei Majors. I mediocri piazzamenti dell’ultimo anno lo avevano fatto scendere al numero 100 del ranking, ma il cemento all’aperto statunitense è stato il teatro della sua rinascita: prima ha fatto molto bene a Indian Wells, dove ha sconfitto nell’ordine un giocatore coriaceo e due top 30 come Benneteau, Fognini e Mannarino, prima di arrendersi a Federer. Quello della California non era però un caso isolato e a Miami il francese ha sconfitto di fila Dutra Silva (6-3 7-6), Gasquet (7-5 6-1) e infine, tornando alla vittoria su un top ten dopo due anni e mezzo, Dimitrov (duplice 6-4), prima di arrendersi a Raonic, vincitore su di lui col punteggio di 6-3 6-4.
175- la classifica con la quale Thanasi Kokkinakis ha partecipato alle quali di Miami, dove aveva ricevuto una wild card. L’accesso al tabellone principale è arrivato dopo aver sconfitto, senza perdere un set, prima Thiago Monteiro (6-2 6-3), poi il giustiziere a Indian Wells di quel che resta attualmente di Djokovic, Taro Daniel (7-5 7-5). Dopo aver avuto la meglio su un altro qualificato, il 23enne francese Calvin Hemery, 147 ATP, ha poi scombussolato i vertici della classifica mondiale sconfiggendo 3-6 6-3 7-6(4) Roger Federer. Un risultato statisticamente molto rilevante: ad eccezione della partita persa contro Tommy Haas nel primo turno di Stoccarda 2017, lo svizzero non perdeva contro un tennista non compreso tra i primi 150 dal 2000 a Indianapolis, quando, già tra i primi 40 del mondo, fu sconfitto in due set dall’australiano James Sekulov. Purtroppo la classifica, a causa degli infortuni continui che hanno falcidiato sin qui la carriera dell’Aussie, che il 10 aprile compie 22 anni, non ha mai premiato Thanasi, mai salito oltre il 69°posto del ranking ATP. Eppure, “Kokk” – così viene chiamato da chi gli è vicino- già nel 2014 terminava la stagione nei primi 150, per poi chiudere il 2015 nei primi 80. L’operazione alla spalla destra gli aveva però poi fatto saltare praticamente tutto il 2016, nel quale aveva giocato solo il torneo olimpico, per poi rientrare nel circuito solo nel 2017 sulla terra rossa di Lione, giocando senza classifica. Una situazione di ranking che gli ha quantomeno consentito di infrangere alcuni record, come quello successivo alla vittoria – prima della carriera su un top 10- su Raonic al primo turno del Queens (non accadeva dal 1994 che il numero 6 del mondo venisse battuto da un tennista con la classifica più bassa, 698, dell’Assie nel giugno scorso) e quello conseguente alla prima e sin qui unica finale raggiunta a livello ATP, la finale persa da Querrey a Los Cabos nell’agosto 2017 (dal 2008 non succedeva che un giocatore con peggiore classifica della sua si spingesse così avanti in un torneo del circuito maggiore). Successivi problemi fisici -ha sofferto anche di problemi ai muscoli addominali- lo hanno poi costretto, dopo gli ultimi Us Open, a giocare solo nel 2018. Al posto di Thanasi, chiederemmo dove “comprare” un pò di salute.