Danielle Collins: il passato
Quasi dal nulla, Danielle Rose Collins ha raggiunto la semifinale di un Premier Mandatory, diventando una delle protagoniste del torneo di Miami. Lo ha fatto a 24 anni compiuti, ma con alle spalle nemmeno due stagioni intere da professionista.
Non è facile trovare imprese del recente passato che possano essere paragonate a questa, perché Collins ha avuto una carriera molto particolare. Pochi match da junior (con un best ranking da numero 430) poi la rinuncia al professionismo per svolgere l’attività di college, che grazie alle borse di studio le ha permesso di giocare in un circuito meno competitivo ma economicamente più sostenibile. I suoi due titoli NCAA non sono una sicura certificazione di qualità: ci dicono soltanto che Danielle era più forte della concorrenza universitaria, che però oggi è piuttosto limitata; infatti normalmente le migliori promesse decidono di passare professioniste da giovanissime, seguendo la trafila Junior – ITF – WTA.
Dopo la laurea, a poco meno di 23 anni (è nata nel dicembre 1993) nell’estate del 2016 Collins inizia l’avventura fra le pro, ma nelle prime due stagioni l’impatto con il circuito maggiore non è dei più semplici: quando si misura a livello WTA subisce 10 sconfitte in 13 match (tra qualificazioni e main draw).
Durante lo stesso periodo, vanno meglio le cose a livello ITF, con tre tornei vinti (da 25mila dollari) e un record di 35 vittorie e 15 sconfitte. Ma il grande salto è delle ultime settimane. Classifica prima di Indian Wells 2018: numero 117. Classifica oggi: numero 53. Un progresso di 64 posti in pochi giorni. Giocatrici sconfitte nei main draw di Indian Wells e Miami (tra parentesi il ranking): Townsend (101), Keys (14), Zhuk (136). Poi Begu (37), Vandeweghe (16), Vekic (55), Puig (82), Venus Williams (8).
Questo il quadro di riferimento. Se cerchiamo dei precedenti senza andare troppo lontano nel tempo, di giocatrici fuori dalle prime 100 capaci di arrivare in una semifinale di Premier Mandatory mi viene in mente la numero 130 del ranking Louisa Chirico a Madrid 2016, anche lei partendo dalle qualificazioni. Però Chirico era molto più giovane di Collins (20 anni ancora da compiere), ed era stata agevolata dal forfait della testa di serie numero 5 Azarenka.
Se invece prendiamo come principale riferimento l’età, attorno ai 24 anni hanno compiuto un progresso decisivo Angelique Kerber e Johanna Konta. Kerber (che è nata nel gennaio 1988) nell’agosto 2011 era numero 107 del mondo. Poi il “clic” improvviso: raggiunge la semifinale a Dallas (partendo dalle qualificazioni) e qualche giorno dopo quella degli US Open, dando il via a una carriera di altissimo livello che in pochi, arrivata a quella età, avrebbero pronosticato.
Johanna Konta è nata nel maggio del 1991. Nel luglio 2015 era numero 146 del mondo. Nello spazio di poche settimane conquista la vittoria in due ITF, il quarto turno agli US Open e la semifinale a Wuhan (partendo dalle qualificazioni). È la svolta decisiva della carriera, che la porterà a un best ranking di numero 4 (luglio 2017) e alla vittoria proprio nel torneo di Miami dello scorso anno.
In sintesi: per quanto è stata capace di fare Collins si possono trovare similitudini parziali, ma nessuna che le assomigli in pieno. Potendo scegliere, penso che Danielle preferirebbe seguire le orme di Kerber, con due vittorie Slam e il numero 1 del mondo, oltre ai quasi 23 milioni di dollari (a oggi) guadagnati di soli montepremi…
Danielle Collins: il futuro
Dunque cosa aspettarsi per il futuro? Ho visto giocare Collins troppo poco per avere grandi certezze. Direi che del suo tennis soprattutto mi hanno colpito la convinzione e la fiducia in se stessa. E i pochi errori nei momenti importanti dei match. In sintesi: la forza mentale. Ma non sono sicuro che significhi garanzia di successo.
Immagino la replica: “Ma come, nel tennis la “testa” è la base di tutto, e ora questa dote diventa secondaria, se non addirittura irrilevante?” Beh, lo dico sulla scorta delle esperienze del passato, di giocatrici che stupiscono per risultati inattesi e favorevoli. Sono risultati ottenuti sull’onda di un entusiasmo quasi irripetibile, che permette di vivere le partite come una specie di fiaba che dovrà avere, comunque, il lieto fine. Una situazione eccezionale che rende particolarmente forti, lucide, coraggiose.
Piccolo esperimento: provate a rileggere i commenti riferiti a qualsiasi nuova giocatrice protagonista inattesa di un torneo. Il post che non manca mai è all’incirca questo: “Più di tutto mi ha colpito per la capacità mentale, la lucidità e l’intelligenza nel condurre il match”. Osservazione che in quel momento è verissima. Ma non è detto che la stessa giocatrice sia poi capace di esprimersi con la stessa efficacia quando il tennis esce dalla sfera dell’evento “magico”, per trasformarsi in qualcosa di molto più prosaico: in routine e professione.
È nella fase successiva, che Danielle Collins non ha ancora affrontato, che si capiscono le autentiche qualità caratteriali di una giocatrice: la capacità di tenere duro durante i periodi difficili (che prima o poi arrivano per tutte) o quando si affronta un torneo con punti pesanti in scadenza. L’opposto rispetto alla condizione leggera del periodo della sorpresa, in cui nulla c’è da perdere.
Per questo penso sia più attendibile valutare gli altri aspetti del suo tennis, quelli fisico-tecnici. Per Collins ho ricavato alcune impressioni favorevoli; altre un po’ meno. A favore: la mobilità e un bel rovescio in top spin. Contro: un dritto un po’ macchinoso nello swing e la sensazione che per far viaggiare la palla debba spingere veramente al limite, rischiando il “fuori giri”. In sostanza: caricare all’impatto con tutta se stessa per ricavare la potenza necessaria per incidere con i colpi.
Questo è forse il mio dubbio maggiore. Se davvero emergesse che per misurarsi con le migliori le manca un po’ di “cilindrata”, si troverebbe con un problema strutturale piuttosto serio. Per ovviare al deficit dovrebbe ricorrere a soluzioni che per il momento le ho visto utilizzare poco: variazioni sulla verticale, colpi più lavorati, palle slice che spostino il confronto dal piano della potenza a quello della tecnica. Ad esempio per tenere a bada una grande colpitrice come Ostapenko in giornata sì, queste soluzioni sarebbero state una risorsa importante. Daria Kasatkina giocando in questo modo contro Ostapenko ha vinto la finale di Charleston 2017 e Petra Martic l’ha eliminata qualche giorno fa a Indian Wells. Invece Collins ha provato a battagliare quasi alla pari contro Jelena, e ha finito per pagare lo scarto di potenza nei passaggi decisivi della semifinale (7-6(1), 6-3).
a pagina 3: la finale di Miami