COPPA DAVIS, QUARTI DI FINALE
SPAGNA-GERMANIA 3-2 (dal nostro inviato a Valencia)
R. Nadal (SPA) b. A. Zverev (GER) 6-1 6-4 6-4
Doveva essere il match di punta del tie di Valencia, è stato un massacro. Nella Plaza de Toros tutta esaurita – non c’era spazio per uno spillo, tanto che molti si sono radunati sui balconi e sui tetti circostanti per seguire la Roja – Rafa Nadal ha visto rosso, confermando sul campo la distanza che ancora mantiene da Alexander Zverev. Anzi, è una distanza che pare crescere: dal primo confronto a Indian Wells 2016, in cui il tedesco allora diciottenne divorò il match point con una volée orrida, i confronti tra i due si sono fatti sempre più a senso unico per il mancino di Manacor. Fino al 6-1, 6-4, 6-4 che ristabilisce la parità nell’ottavo di finale da cui dovrebbe uscire l’avversaria (serve pregare) dell’Italia.
Entrambi avevano individuato nel servizio il colpo da migliorare dopo le “prove libere” della prima giornata, ma la vera chiave dell’incontro sembra essere stata la testa. Nelle due ore e venti di gioco Zverev ha potuto poco, ma ci ha messo anche quasi niente: spinto fin da subito lontano dal campo dai colpi profondi e implacabili di Nadal, privo di una diagonale forte su cui attaccare – il suo colpo sicuro è il rovescio, che però cade sul letale dritto del maiorchino -, ha subìto il break di svantaggio presto in tutti e tre i set dell’incontro e molto, molto di rado ha dato l’impressione di saper reagire.
Soprattutto dal punto di vista emotivo, perché qualche bel cambio lungolinea e una discreta reattività nelle schermaglie a rete non sono bastate a mutare in positivo il suo linguaggio del corpo, neppure nelle rare occasioni in cui le orchestre sugli spalti hanno abbassato il volume per qualche quindici. La fatica mortale che Nadal gli fa fare per uscire dai punti, e la facilità con cui invece è lui a chiuderli con una “chela” mancina sempre più vicina alla forma ottimale, frustrano Sascha molto presto e la serie di racchette lasciate cadere in terra sanno di resa ben prima del game, set e match. “Ero stanco, non c’è nessun segreto dietro questa sconfitta” ha detto chiaramente Zverev in conferenza stampa. “Dovete capire che non sono un robot”.
Robotico è sembrato invece Rafa, che con il passare dei giochi si è invece infuocato sempre più: lo strappo definitivo nel punteggio, nel set finale, è arrivato al termine di due scambi da vero Nadal, con l’avversario a un passo dal chiudere e lui che con due colpi lo riporta indietro, trasformando la difesa in equilibrio e l’equilibrio in dominio. Tra pugnetti e vamos il suo tennis si è acceso di sensazioni positive, ma al numero uno mondiale serve ancora un bel po’ di crescita per tornare davvero tremendo su terra battuta. Per ora, in ogni caso, queste due vittorie senza cedere set sono un segnale forte per i potenziali avversari dei prossimi mesi.
E servono come il pane alla Spagna, che chissà dove sarebbe senza i due punti vinti da lui in questo momento, la metà casalinga del 2-2 sul tabellone all’angolo dell’arena. Due punti che dicono che Spagna-Germania si giocherà fino alla fine, fino all’ultimo sbuffo di pallina sulla terra rossa di Valencia. Il sole oggi splende finalmente alto e chiede tutto il tennis che c’è.
That moment when you bring your team level in #DavisCup@RafaelNadal
🇪🇸2️⃣🆚2️⃣🇩🇪 pic.twitter.com/NBa3QeBQ1I
— Davis Cup (@DavisCup) April 8, 2018
D. Ferrer (SPA) b. P. Kohlschreiber (GER) 7-6(1) 3-6 7-6(4) 4-6 7-5
Per tanti non doveva neppure giocarlo David Ferrer, questo quinto incontro. Non per Sergi Bruguera. Dopo il risultato di venerdì, tra le voci che insistevano su Bautista Agut e quelle che avrebbero persino preferito il Carreño a mezzo servizio, il capitano del team Spagna ha confermato l’uomo di Javea, a un passo da Valencia. E contro un Philipp Kohlschreiber già battuto nove volte e la sua Germania, quando era dentro o fuori dalla Coppa Davis per chiunque, l’uomo di Javea ha confermato tutto il resto.
Diciott’anni di carriera riassunti in cinque set e quasi altrettante ore sulla terra asciuttissima e polverosa della Plaza de Toros, che turbinava attorno due avversari lasciandoli più volte in piedi ad aspettare e scrutarsi, come cowboy nel Far West. Né Ferrer né Kohlschreiber avevano mai vinto un incontro decisivo di Davis, prima d’oggi. Erano e sono due giocatori quasi sempre definiti per mezzo delle loro mancanze – il pedalatore, lo spagnolo numero due, quello che ci mette “tanto cuore” perché troppo altro non c’è e il tedesco dal bel rovescio, che trema e si perde nei momenti importanti, dalla palla troppo leggera per fare del male – e nel momento della verità, con una piccola gloria a portata di mano, non hanno mostrato nulla di troppo diverso.
Nessuno dei due ha mostrato il “braccino” nel momento di terminare i primi due parziali. Prima il lob con cui Ferrer concludeva il tie-break di un set inaugurale senza scatti in avanti, poi l’ace con cui Kohlschreiber chiudeva il secondo sfruttando l’unico break, mostravano un match equilibrato e pregno di concentrazione. Al momento del terzo set però la famigerata paura di vincere ha preso in mano la racchetta del tedesco: due volte sopra di un break, e avanti tre a zero a inizio tie-break, ha lasciato che gli oltre ottomila dell’arena sospingessero “David, David!” verso la rimonta. E quando il singolarista ospite l’ha ripresa sul due pari, con un nastro vincente a chiudere il secondo set di fila, sembrava quasi destino che tutto dovesse decidersi più in là possibile.
“Lui ci ha creduto fino in fondo” è la frase cruciale della conferenza stampa dello sconfitto. La verità sta lì nei paraggi, perché nel set finale le opportunità sono state tante per entrambi ma soltanto Ferrer ha saputo trasformarle in vittoria. Rimontato un break di svantaggio, Kohlschreiber ha avuto addirittura due palle per strappare il servizio sul 4-3 e andare a servire per il match: due punti di grinta hanno salvato la Spagna e condannato lui, sorpassato tre game più tardi dai propri pasticci sotto rete e da un avversario che non ha smesso di crederci, di muoversi, di restare attaccato all’incontro neppure per un solo punto. “La pressione di giocare in casa, circondato dai miei amici più cari, dalla mia gente, la sceglierei sempre. È questo che voglio” ha detto ai microfoni, esausto.
Al servizio per caricarsi in spalla la nazionale e portarla fino in Francia, dove a settembre disputerà la prima semifinale dal 2012, Ferrer non ha sbagliato. E al passante di rovescio al primo match point è seguito il tuffo di schiena sulla terra, prima che i canti e i balli e la ola e gli applausi del pubblico valenciano chiedessero indietro il suo campione, per un giorno soltanto forse più importante di Nadal. Per questo grande match, lungo, pieno, rosso, vinto.
Se la Coppa Davis non dovesse tornare sui suoi passi, in tutti i sensi, avrà almeno lasciato la Plaza de Toros nel modo giusto: con una bella storia dal giusto finale.