Accade per qualsiasi presentazione di un evento. È inevitabile, e in fondo giusto, celebrarlo. Questo è successo anche per la recente presentazione degli Internazionali d’Italia. Di fatto in quelle occasioni nessuno ha voglia di approfondire, tantomeno interesse. Senza approfondimenti di sorta non ha nemmeno senso sviluppare un minimo di senso critico. Tutti ascoltano qualunque cosa venga detta, da chiunque. E alla fine applaudono. È un rito. C’è l’oratore più spiritoso, quello incredibilmente e pervicacemente prolisso perché presume di dire cose interessanti, quello più carismatico, la solita inevitabile presenza “ufficiale” che si dichiara onorata di sedere a quel tavolo, quello che racconta quel che vuole spacciandole per assolute verità e bluffando senza che nessuno si azzardi a smascherarlo. Tutti ascoltano o fingono di farlo felici e contenti, poi c’è il buffet, si magna, e dopo ognuno se ne torna a casa.
Qualcuno però forse rifletterà su quanto è stato annunciato da Binaghi a proposito a) sulla retrocessione tecnica del tennis italiano che, senza le wild card, avrebbe visto per la prima volta in 75 edizioni un solo italiano – Fognini, 31 anni, – presente nei due tabelloni. B) del calo degli incassi previsto per quest’edizione n.75 del torneo (il 6% al momento) e le motivazioni che il presidente ne ha dato. Sul punto A ho fatto una domanda, unica voce fuori dal coro, e la risposta di Binaghi è stata: “Mentre il processo quantitativo è un percorso che ha un legame diretto con le nostre attività, il percorso in termini di risultati agonistici lo è meno”. Poteva dire anche… molto meno! Rileggete la cronaca puntuale e ben scritta della presentazione di Raoul Ruberti. Un lettore più attento degli altri, il suo nick name è Virginio, ha poi scritto un condivisibile intervento sotto all’altro mio pezzo. Quel commento ho deciso, dopo averlo posto in evidenza, di copiarvi e incollarvi, perché mi è parso saggio. E perché, soprattutto mi ha suggerito altre considerazioni che potrete leggere più giù.
Ubaldo, una curiosità: ma l’aumento quantitativo dei tennisti in Italia di cui parla il presidente federale è reale o si tratta di un semplice dato statistico, per cui si conteggiano come nuovi giocatori semplicemente i nuovi iscritti alla Fit, in forza del nuovo regolamento entrato in vigore qualche anno fa che tende a rendere obbligatoria l’iscrizione alla Federazione per chi vuole giocare a tennis?
Qual è il criterio di rilevamento usato dalla Federazione per conteggiare gli effettivi giocatori di tennis? Non mi risulta che si facciano dei censimenti “tipo Istat”.
Se non erro, tra gli iscritti alla Federazione figurano anche i giocatori di bridge che frequentano i circoli di tennis: sbaglio? Anche questi rientrano nel dato quantitativo citato dal presidente? Saresti infine in grado, con il tuo forte schieramento di “forze tennistatistiche”, di chiarirci qual è stata la reale evoluzione del dato quantitativo, non “figurativo”, della “forza tennistica” nazionale negli ultimi vent’anni?
Un’ultima considerazione: il presidente afferma che il numero di giocatori è aumentato significativamente negli ultimi anni in virtù della sapiente politica della Federazione. Benissimo. Ma a me sembra molto grave che a fronte di un aumento quantitativo non si rilevi, nell’arco di un periodo tanto lungo quanto quello cui si riferisce il presidente, anche un aumento qualitativo, soprattutto di punta. Di solito, più è grande il numero dei praticanti, più è probabile che tra essi emerga uno o più giocatori di qualità più elevata, in specie nel medio/lungo termine. Se la qualità in vetta resta costante, o addirittura peggiora, a fronte di un aumento dei praticanti, ciò può significare solo una cosa: che la gestione dei tennisti è peggiorata. Ma se è così, c’è molto poco di cui esseri fieri. A meno che il fine istituzionale della Federazione non sia quello di aumentare il “parco buoi” (senza offesa per nessuno). Non credo, tuttavia, che una Federazione possa esultare per avere milioni di praticanti e fra questi nessun campione di spicco.
Ringrazio e mi complimento per il lodevole lavoro di tutta la redazione.
Non ho molto da aggiungere a quel che scrive Virginio (non ho idea di chi si nasconda dietro questo nick name, ma non è importante…). L’aumento dei tesserati che viene sbandierato di continuo, al primario scopo di strappare in avvenire richieste economiche sempre più pesanti al CONI – almeno fino a quando il presidente della Federnuoto non riuscirà a far tesserare chiunque nuoti al mare o in piscina (di certo con Malagò non la spunterà Barelli…) – è dovuto ad una serie di operazioni border line, tramite le quali la FIT è riuscita a far tesserare anche tutti i giocatori di carte soci dei circoli (senza che abbiano mai preso una racchetta in mano), i bambini che partecipano ai trofei tipo Kinder e giocano ancora con le racchettine, e prossimamente – vedrete – anche quelli delle scuole elementari se si… fingerà di dimostrare che il tennis è entrato nelle scuole (anche quando le scuole non hanno il campo da tennis…ma hanno a malapena palestre decenti). Se il numero dei tennisti fosse in costante ascesa, come si professa, dovremmo avere in proporzione anche molti più giocatori buoni. Concordo con Virginio. Ma non mi pare sia il caso.
A contrario se il numero dei praticanti è fittizio, e la vera base è ristretta… ecco che al limite si potrebbe arrivare a giustificare la… latitanza di campioni, di giocatori di vertice. Ma quale che possa essere stata la pratica in atto costante di “gonfiamento drogato” dei tesserati, è certo vero che oggi essi dovrebbero essere assai di più di 40 anni fa, quando avevamo 2 tennisti fra i primi 10 del mondo. Vero e indubbio che è cresciuta di pari passo anche la concorrenza e che si gioca a tennis molto di più in tutto il mondo, ma vero anche che non stiamo parlando di una crisi in atto da un anno o due, o cinque, o dieci. Avere un solo tennista fra i primi 50 fra uomini e donne è un bel fallimento tecnico o mi sbaglio, o sono troppo severo io… per partito preso? Se in qualsiasi altro sport individuale olimpico anziché avere un atleta che si batte per salire sul podio, o raggiungere (nel nuoto, nell’atletica, scegliete voi la disciplina olimpica che più vi aggrada) una finale a otto, una semifinale a 16, potessimo…vantare un solo rappresentante azzurro fra il n.20 e il n.50 – e il podio visto con il binocolo – che cosa mai diremmo e leggeremmo ovunque di quello sport se non che è uno sport in crisi profonda, che va malissimo, addirittura da commissariare? Guardate quel che è successo con il calcio perché non si è qualificato per i mondiali. I risultati contano. Anche se la federcalcio avesse raddoppiato o triplicato i suoi tesserati. E di certo il calcio predomina tutti gli spazi dello sport in tv, sui giornali. Quindi a livello quantitativo sta benissimo. A livello qualitativo meno. Ma sempre meglio del tennis no?
Chi fosse stato presente alla presentazione degli Internazionali l’altro giorno non avrebbe avuto minimo sentore di tutto ciò. Tutti felici, tutti contenti, pronti a celebrare un tennis italiano in crescita e in salute, come l’ha definito Binaghi accennando orgogliosamente al crescente interesse delle aziende attorno al torneo. La cosa curiosa è proprio questa: il torneo cresce (anche se non con gli incassi, ma lo ha fatto peraltro negli ultimi dieci anni sia pur a seguito di costanti aumenti nel costo dei biglietti) e di questo va dato giusto merito a FIT e Coni Servizi. Ma il tennis italiano a livello tecnico di crescita proprio non se ne può parlare. I nostri primi tre tennisti hanno superato la trentina: Fognini 31 anni n.20, Lorenzi 36 anni n.57, Seppi 34 anni n.62; poi abbiamo Cecchinato 25 anni n.100, Fabbiano 28 anni n.103, Berrettini 21 anni n.104, Travaglia 26 anni n.110, e poi nessun altro fino a Giannessi 27 anni e 157. Sulla situazione donne meglio stendere un velo pietoso: il fatto stesso che due wild card siano concesse a due atlete di 31 e 35 anni, sia pure precedute da una carriera straordinaria come Errani e Vinci, la dice lunga. N.151 la Paolini, n.167 la Chiesa, sono le sole tenniste comprese prima della n. 200 fra i cosiddetti rincalzi giovani.
Riguardo al punto b), cioè la previsione di Binaghi che quest’anno non si batterà il record di incassi, le spiegazioni del presidente non mi hanno convinto. Non lo si batterà nonostante il costo dei biglietti sia aumentato – e sebbene sia il torneo di Montecarlo sia quello di Madrid avessero già prezzi ben più bassi rispetto a Roma – perché secondo Binaghi – in sintesi –i campioni della Old Generation sono sempre più spesso infortunati o convalescenti (vero) mentre quelli della nuova non hanno ancora lo stesso appeal (vero anche questo). Tutto vero, ma allora il problema dovrebbe riguardare tutti i tornei. E invece sappiamo che non è così. Quindi le cause devono essere (quantomeno anche) altre. I prezzi molto alti sono certamente una causa importante. Soprattutto perché una intera famiglia, che magari ha fatto tanti chilometri per raggiungere Roma (con le solite difficoltà di parcheggio…) possa permetterseli. Ma anche per una semplice coppia che voglia permettersi due sessioni di tennis nella stessa giornata o in due giornate successive. Troppa gente per pochi campi con i protagonisti sono un’altra. Binaghi ha parlato di oltre 200.000 spettatori per 8 giorni di gare. Quando ci sono stati 25.000 spettatori al Foro Italico, al massimo in 9.500 possono andare sul “Centrale”, altri 3.800 sul “Pietrangeli”. E tutti gli altri? Fanno tante code e non vedono quel che vorrebbero. Sui servizi in giro per altri tornei c’è di meglio. E anche di peggio, naturalmente. Ma insomma la diffusa sensazione è che più che a promuovere il tennis fra le fasce meno abbienti, la Federazione si comporti come un’azienda privata che deve privilegiare gli incassi a dispetto di ogni altra cosa. Spremendo più che può gli appassionati.
Chiudo qui, curioso di leggere i vostri commenti. Non senza aver aggiunto che come ampiamente previsto e a dispetto di tante dichiarazioni reboanti del passato sul “sorpasso” che Roma avrebbe fatto ai danni di Madrid e sul prolungamento dei giorni del torneo tutto si è risolto in una gran bolla di sapone. Riprendo infine un commento di Raoul Ruberti che ha raccontato con le righe che seguono le sue impressioni comparate sui tre Masters 1000, Montecarlo, Madrid, Roma dove si è trovato a lavorare: “I tre Masters 1000 su terra nascono e vivono in situazioni inevitabilmente differenti. Madrid è quello che funziona di gran lunga meglio ma l’impianto, fatta eccezione per il “ponte” dei campi secondari sul laghetto artificiale, a mio modestissimo parere è veramente brutto. E il quartiere in cui è situato non è meglio. Montecarlo regala un colpo d’occhio splendido ma, in quanto non combined, non è paragonabile dal punto di vista della logistica (ha bisogno della metà degli spazi di Roma e Madrid). In ogni caso arrivare in auto al Country Club è un inferno, andarsene forse anche peggio. Definire il nostro Masters 1000 come il peggiore dei tre, o addirittura dei nove in assoluto, mi pare un’opinione forte e un po’ ingenerosa. Ci sono tantissimi aspetti da migliorare (alcuni possibili, alcuni meno) ma troppo spesso se ne parla come di un torneo tenuto in piedi da stuzzicadenti e malaffare. Io dei nove ne ho visti soltanto cinque dal vivo finora, quindi sospendo il giudizio per ora. Al momento mi limito a dire che la bellezza del Foro Italico, a parte quel cazzotto in un occhio che è il Grandstand, ce la invidia quasi tutto il mondo e che non vorrei mai vedere Roma fare la fine di Miami, trasportato dall’isola di Key Biscayne a uno stadione di metallo a chilometri dal centro cittadino”.