“Vuoi giocare gli Slam e la Davis o guadagnare molti più soldi con esibizioni e tour in giro per il mondo?”. Questo era il dilemma che si trovavano di fronte i tennisti dalla metà degli anni venti, quando “la divina” Suzanne Lenglen aprì la strada del professionismo nel 1926. E i più forti, comprensibilmente, sceglievano il denaro ai tornei più antichi e prestigiosi della storia. Una situazione paradossale in cui a perderci in realtà erano gli stessi Wimbledon, Roland Garros, Australian Open e US Open, che registravano le assenze dei migliori giocatori del mondo. Il tutto era reso ancora più paradossale dal fatto che gli stessi amatori che prendevano parte agli Slam e ad altri tornei in realtà percepivano somme di denaro per competere.
Questa assurda ‘apartheid tennistica’ ebbe finalmente fine nel 1968, quando i tornei dello Slam decisero di aprire le porte a tutti i professionisti, tra i quali all’epoca spiccavano i nomi degli australiani Ken Rosewall e Rod Laver. A spianare la strada fu Wimbledon con un voto dall’esito per nulla scontato alla fine dell’anno precedente. Seguirono a ruota US Open e Roland Garros. E così in aprile si disputò a Bournemouth, sulla costa sud dell’Inghilterra il British Hard Court Championship, primo torneo dell’era Open. A giocarsi la prima sfida, il 22 aprile, in un pomeriggio freddo e umido, come raccontato dallo storico del tennis Bud Collins, furono l’australiano Owen Davidson, professionista di ottimo livello, e lo scozzese John Clifton. Quest’ultimo vinse il primo punto ma, come da pronostico, ad aggiudicarsi il match fu Davidson in quattro set con il punteggio di 6-2 6-3 4-6 8-6. Davidson in carriera collezionerà nei Major buoni risultati sia in singolare, con tre quarti di finale, che (soprattutto) in doppio, con 13 titoli complessivi tra maschile e misto.
A dimostrazione della netta superiorità dei professionisti in quel torneo un solo semifinalista, l’inglese Mark Cox, era un dilettante. Nonostante la bella vittoria contro l’australiano Roy Emerson, venne annichilito in semifinale dall’allora 33enne Rosewall in tre set, che in 11 anni di professionismo era stato bandito da 44 prove dello Slam. Lo stesso fenomeno di Sydney si impose poi in finale anche sul connazionale Laver, che secondo molti esperti poteva essere il tennista più vincente della storia senza quel lungo periodo di discriminazione. Il premio per aver vinto il torneo e questa annosa battaglia? Solo 1000 sterline. Ma senza quelle oggi Federer, Nadal e Djokovic non potrebbero guadagnare milioni di dollari facendo al contempo incetta di Major.