Con la collaborazione di Alessandro Stella
Si ringrazia Andy Miller – braingametennis.com
Il corpo? Ovvio, capita a tutti perché è naturale sia così. Sarà talmente logoro un giorno, dopo tutte le scivolate, le sbracciate, le sollecitazioni, che per forza lo costringerà ad abbassare la guardia. Ma non si può certo sperare in un suo malanno, o augurarsi di indovinare una giornata in cui ha la febbre, ha storto il piede uscendo dalla doccia, ha mangiato pesante. Si presenta qualche acciacco, la carta d’identità inizia a chiedere un obolo ogni tanto. Ma sono eccezioni a una regola che ancora lo vede straripante, rapido, potente. Insomma se la si butta sulla battaglia di puri muscoli, col cavolo che si vince.
Il tennis? Mah. Ha avuto una flessione negli anni passati, peraltro collegata al fisico di cui sopra. E si è detto che il dritto è corto, che non serve bene, che resta troppo indietro; ed è vero, per carità, la palla gli viaggiava pochissimo e gli avversari aggredivano. Ma da giugno scorso le manate mancine sono tornate pesantissime, la tattica infallibile. Il servizio corre e anche il rovescio è ormai un fendente ben lontano dal colpo di eccessivo contenimento che gli si imputava in passato. Qualcuno è riuscito a imbrigliarlo, senza dubbio: qualcuno ha disegnato e soprattutto interpretato linee perfette, impatti anticipati e soluzioni offensive per togliergli il tempo. Di ragionare, di agire, di controllare.
La mente. È quella la chiave. Perché ogni volta che le sue certezze sono state incrinate, prima ancora che venute meno, l’intera macchina ha cigolato. Quando c’è stato il timore di un fisico ormai allo stremo il gioco ne ha risentito, perché la sicurezza di avere un motore di cilindrata aliena era in bilico. Quando uno dei suoi schemi prediletti è andato in pezzi di fronte a una soluzione inaspettata e un approccio mai visto prima, la solidità psicologica è crollata, perché un’arma affilatissima era stata spuntata e la consapevolezza di poter far male, cancellata.
Il problema vero però è un altro, esageratamente più complesso. Il tennis è uno sport mentale è una citazione che ha anche un po’ rotto le palle, si sa, basta. Ma adesso, in questa fase della stagione, non dipende più da lui, perché è chiaro che non calerebbe mai. Perché a ogni vincente la sua fiducia aumenta, per ciascun recupero impossibile si aggiunge una tacca di autostima succhiata all’avversario. Qui si tratta di trovare qualcuno che riesca proprio a entrarci, nella sua mente. In qualsiasi modo possibile.
Qualcuno che abbia quella cazzimma indispensabile per poter anche solo fare partita pari. Altrimenti non se ne esce. Una trovata alla Becker, che sullo stesso campo che ora Lui sta masticando per l’undicesima volta, ha ricevuto l’anello della Hall of Fame. Quel Becker che per battere Agassi gli andò fin sotto la pelle a Wimbledon nel ’95, tossendogli in faccia ai cambi di campo quando in svantaggio, per scuotergli i nervi, e dopo il match poi vinto fece volare parole grosse. Una malizia un po’ subdola, tipica dei migliori, che lo stesso Agassi fece sua per prendersi la rivincita su Bum Bum, sul palcoscenico importante dello stesso anno, quasi urtandolo alzandosi dalla sedia, con occhiatacce continue.
La malizia però rischia di non bastare: il tennis è una faccenda di testa ma rimane anche una faccenda di tennis, e ci sono determinati accorgimenti tecnico-tattici in mancanza dei quali la prospettiva di metterlo con le spalle al muro non compare neanche tra le alternative. Basta scorrere la lista delle sue trentacinque sconfitte sulla terra: solo Gaudio e Djokovic hanno saputo imporgliene più di due, e solo il secondo quando Nadal era già diventato la montagna più ardua da scalare della storia di questa superficie. Si deve essere (molto) solidi sul lato sinistro, si deve essere sfrontati, si deve sostenere lo sguardo di Rafa senza ottenerne in cambio il timore reverenziale, l’anticamera della sconfitta.
Per batterlo, dunque, servirebbe qualcuno capace di coglierne le debolezze, comprenderle, per arrivare in quello spicchio di cervello che nasconde la sua paura. Federer quello spicchio lo ha dominato lo scorso anno. Ma sulla terra rossa, e questo torneo di Montecarlo non fa eccezione, dubbi e insicurezze si seppelliscono sotto polvere e sole. E qualcuno che sappia come andare a scavare, per scoprirli, studiarli e approfittarne, in questo momento non c’è.