Ci ha provato. Per ben cinque volte ha provato a rialzarsi e a ricominciare, ma l’avventura di Karin Knapp nel circuito WTA è ormai giunta al termine. Il ginocchio fa troppo male e anche l’ultimo barlume di speranza si è spento: la voglia di lottare purtroppo non è sempre sufficiente.
“In questi giorni al Foro Italico, dove seguivo le altre ragazze che si allenano all’accademia di Anzio, tante persone mi hanno domandato quali fossero i miei piani e allora mi sembra giusto annunciare che è arrivato il momento di ritirarsi dal tennis agonistico. Si tratta di una decisione molto sofferta, ma purtroppo devo rassegnarmi all’idea che il mio ginocchio destro non ce la fa più. Dopo il quinto intervento chirurgico, nel febbraio dello scorso anno, ho provato in tutti i modi a rientrare, lavorando duramente per mesi, ma ogni volta che aumentavo i carichi il dolore si riproponeva sempre: mi allenavo bene e poi mi faceva male, tanto da rischiare di non camminare poi per tre giorni. Una situazione che, capite bene, non è sostenibile“.
L’ultimo torneo di Karin rimarrà dunque l’Australian Open 2017, conclusosi amaramente con un ritiro quando ormai si trovava in svantaggio di un set e di un break contro Su-Wei Hsieh. Un epilogo infelice per una carriera costellata di inciampi e sfortune sin dall’inizio, ma nella quale c’è stato anche spazio per discrete soddisfazioni. I primi problemi arrivano già nel 2008 e in quell’occasione è il cuore a fare le bizze. La stagione seguente è ancora più catastrofica: prima un altro problema cardiaco, poi un’infiammazione al ginocchio la costringono a fermarsi e a ripartire dai tornei minori. Tutto questo non scoraggia Knapp che riprende a giocare e lentamente inizia a salire in classifica. Arrivano le prime partecipazioni Slam, partendo dalle qualificazioni, e nel 2013 il suo miglior risultato in tornei di questo livello. Elimina una dopo l’altra Lucie Hradecka, Lucie Safarova (testa di serie numero 27) e Michelle Larcher de Brito (qualificata che al turno precedente aveva eliminato Sharapova), prima di arrendersi in due set a Marion Bartoli, futura vincitrice del torneo. A conferma di questo ottimo risultato, l’anno successivo conquista il suo primo titolo WTA, a Tashkent in finale contro Jovanovski.
Per una sorta di crudele ironia, il momento migliore della sua carriera coincide anche con l’inizio della discesa. Nel 2015 infatti si registrano il secondo alloro a Norimberga (in finale contro Roberta Vinci, anch’essa prossima al ritiro) e il best ranking di numero 33 del mondo, ma anche l’ennesimo infortunio al ginocchio che le impedisce di prendere parte ai tornei post US Open. Da lì in poi il calvario non si è praticamente mai arrestato fino all’addio ufficiale di oggi. “Posso considerare la mia carriera come bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Di sicuro sono orgogliosa di quello che sono riuscita ad ottenere dopo cinque operazioni al ginocchio e due al cuore. Però rimane un po’ di rammarico per tutti gli infortuni che mi hanno impedito di esprimermi con continuità ad alti livelli e quindi pure una certa incertezza sul dove sarei potuta arrivare senza questa serie di problemi fisici. Un aspetto però sul quale non hai un controllo diretto“.
Rimpianto dunque, ma anche soddisfazione e, soprattutto, la certezza di aver fatto tutto quanto era umanamente possibile per tornare a giocare allo sport che ama. Il destino purtroppo a volte ha piani diversi dai nostri. La passione di Karin però è troppo grande per tenerla lontana dai campi e da questo grande circo che di settimana in settimana gira il mondo dietro a palline di feltro giallo. “Amo troppo questo sport e quindi mi immagino un futuro sempre in ambito tennistico. Magari all’inizio sarà anche duro ritrovarmi in contesti prima abituali da giocatrice ma in un’altra veste, però ritengo sia un passaggio naturale quello di mettere a disposizione di ragazze più giovani il mio bagaglio di esperienze e la passione per il tennis. Ci sarà modo comunque per definire meglio gli aspetti e le modalità operative”.
Qualunque sarà la strada che intraprenderà, non resta che una cosa da dire. Grazie di tutto, Karin, e in bocca al lupo!