Da quando Novak Djokovic ha vinto il Roland Garros nel 2016, per lui sono cominciati i guai. Calo della tensione e della motivazione? Stanchezza mentale? Problemi personali? Le prime due hanno certamente contribuito alle defaillance di Novak che, dal torneo di Wimbledon 2016, ha visto incepparsi quella temibilissima “macchina serba” che, nel periodo d’oro, asfaltava senza pietà i malcapitati avversari.
E poi l’infortunio al gomito. Per mesi il serbo ha dovuto battagliare con un problema fisico dalla guarigione lunga e complicata; dopo essersi deciso ad affrontare l’intervento chirurgico, ora la cosa sembra superata e il dolore finalmente svanito. Tuttavia, a differenza di Roger Federer e Rafa Nadal, il rientro per Djokovic dopo il lungo stop è una strada tutta in salita, irta di ostacoli e incertezze, lungo la quale, lentamente, il tennista di Belgrado sta raccogliendo i pezzi di un meccanismo perfetto, cercando di ritrovare le misure e il ritmo che hanno fatto di lui uno dei tennisti più vincenti di sempre.
Nel 2018, in sette tornei disputati, Novak Djokovic ha un bilancio di 10 vittorie a fronte delle 7 sconfitte subite. Un risultato impensabile per il campione vincente a cui ci eravamo abituati negli ultimi anni. Tuttavia, sembra che la luce stia riapparendo in fondo al tunnel e il torneo di Roma, evento a cui Novak è particolarmente legato e che ha vinto quattro volte (2008, 2011, 2014-2015), sembra avergli ridato buone sensazioni. Nole produce in campo un tennis più solido e preciso approdando così alla semifinale, poi persa contro il futuro vincitore del torneo Rafa Nadal. Ecco che, dopo la disastrosa tournée americana di primavera (a posteriori lo stesso Novak ha riconosciuto non essere stato sufficientemente pronto fisicamente e mentalmente per affrontare Indian Wells e Miami), al Foro Italico cominciano a vedersi gli sprazzi del vero Djokovic. Il Djokovic pressoché invincibile era tale anche grazie ad un team consolidatosi negli anni, diventato quasi parte integrante della famiglia del serbo e capitanato da Marian Vajda. Una squadra peraltro nella quale si era integrato molto bene anche Boris Becker, che era riuscito a creare un buon sodalizio con il coach slovacco. Insomma, squadra che vince non si cambia. E invece…
Al posto di Becker e Vajda arrivano Agassi e Stepanek. Con l’ausilio di un altro “supercoach” come il “Kid” di Las Vegas, con un amico di lunga data come Radek e con la costante ossessione del “pace e amore” di Pepe Imaz, Novak spera di ritrovare buone sensazioni e nuove motivazioni. Ma non funziona. E allora, in fondo, la cosa migliore è tornare alle radici e a quell’intesa che tanto aveva dato alla carriera di Nole. Ecco dunque che nel box si rivede Marian Vajda, quasi un secondo “padre” o un “fratello” maggiore per il serbo, uno che lo conosce e sa prenderlo come nessun altro, del quale Djokovic si fida ciecamente. E in effetti a Roma, contro Rafa – dopo un primo set lottato al tie-break e nonostante un secondo perso nettamente – l’atteggiamento e i colpi del tennista di Belgrado ricordano, a sprazzi, il RoboNole delle grandi sfide.
Sarà così anche al Roland Garros? Lo slam parigino si avvicina a grandi passi e ormai manca poco meno di una settimana. Il superfavorito ovviamente è il n. 1 del mondo (Rafa scalza nuovamente Federer dai vertici del ranking grazie alla vittoria a Roma), in lizza per l’ “Undecima” anche a Parigi dopo Montecarlo che, però, il giorno della finale contro Zverev, dopo un primo set dirompente, è apparso in grande difficoltà nel secondo e, se non fosse stato per l’interruzione dovuta alla pioggia, chi lo sa… Comunque, chi vince ha sempre ragione e, dopo le performance a Montecarlo, Barcellona e al Foro, è lui l’uomo da battere. Tuttavia, ci sono altri pretendenti al trono di Francia. Primo fra tutti Sascha Zverev. E poi Marin Cilic, Grigor Dimitrov (seppure deludente negli ultimi mesi), Dominic Thiem e David Goffin; senza dimenticare le possibili sorprese da parte di Shapovalov e gli altri NextGen. Con Federer, Kyrgios e Raonic per ora fuori dai giochi, con un Del Potro infortunatosi all’adduttore e un Wawrinka che si affaccia ai campi dopo ancora tre mesi di stop, chissà che Novak Djokovic non arrivi a Porte d’Auteuil ulteriormente in fiducia, galvanizzato dalla semifinale romana e consapevole che, in fondo, su quel mattone tritato di Parigi si era finalmente conclusa la caccia al career grand slam. Ora, dal Roland Garros, croce e delizia della sua carriera, tutto potrebbe ricominciare.