Fabio Fognini, 31 anni oggi, ha scelto di festeggiare sul campo. La decisione è tutta sua, perché a Ginevra nessuno l’ha obbligato ad andarci. Una pausa rigenerante se la prenderà dopo il Roland Garros, ha fatto sapere, ed ecco che al posto delle candeline si troverà a spegnere questo pomeriggio l’ardore del ruspante Sandgren. Sarà il remake della sfida andata già in onda a Rio, in quella campagna brasiliana di inizio 2018 che ha visto il numero uno azzurro conquistare il suo sesto titolo in carriera.
ORDINI DI GRANDEZZA – Sei trofei alzati al cielo come Paolo Bertolucci (per tre volte campione a Firenze, negli anni Settanta), tenuto a distanza di sicurezza dai dieci di Adriano Panatta che però ha raggiunto la doppia cifra piantando la bandierina anche su Roma e Parigi. Fognini è senza dubbio il miglior tennista espresso dal movimento italiano dagli anni d’oro dei due top ten (Panatta 4 e Barazzutti 7), con Bertolucci subito dietro al numero 12. Il best ranking 13, raggiunto dal ligure nel 2014, potrebbe essere quasi sopravanzato in termini di valore assoluto dall’auspicato consolidamento nella top 20 all’età della maturità sportiva. Più dei calcoli congiunturali imposti dalle classifiche, sono altri gli spunti statistici che restituiscono meglio il suo valore. Dal 2012 al 2018 Fognini ha disputato ben 15 finali, vincendone – come detto – “solo” sei e spargendo per il mondo i più vari rimpianti per sconfitte contro avversari non irresistibili: due volte con Klizan (San Pietroburgo 2012 e Monaco 2014), l’anno scorso ancora a San Pietroburgo con Dzumhur. Occasioni perse qua e là che però fanno il paio con gli undici (cifra solida, non casuale) successi quando dall’altra parte della rete c’era uno tra i primi dieci al mondo. La delizia di Roma contro Thiem è l’ultima perla di una collana in cui è stato infilato tre volte Nadal (con una rimonta da 0-2 a New York) e ben due volte Murray, tra Napoli e Roma.
CUORE AZZURRO – Napoli, appunto, è stata solo una delle tante tappe di un percorso d’amore incondizionato con la Coppa Davis. A Fognini si possono rimproverare diverse cose, tranne l’attaccamento alla maglia azzurra. Con tre quarti del peso dell’Italia addosso, a Genova non è riuscito a trascinare l’Italia al successo come aveva fatto in Giappone. Al netto di pur valide spalle che gli sono state affiancate nel corso degli anni, Fognini è il nostro Davisman per eccellenza che lotta con un fardello dal quale rischia di finire travolto: se non vince lui, non vince l’Italia. Al netto dei progetti di riforma, una situazione che allarma per la mancanza (o la non prontezza, almeno) di nuove leve pronte a raccoglierne il testimone nell’immediato.
PRESENTE E FUTURO – Da qui alla fine della carriera, ipotizzabile in un lustro, Fognini può porsi ancora obiettivi ragionevoli se accompagnato da una buona condizione fisica. Anche da una maggiore serenità, ci sentiamo di aggiungere. Perché il carattere (con i suoi spigoli assai acuti e quegli eccessi a volte fuori luogo) non si cambia. Ma la crescita da ragazzo a uomo, la paternità, la vicinanza di Flavia possono invece aiutarlo a ottimizzare la gestione dei suoi difetti. La crescita sul piano mentale può aiutarlo a togliersi soddisfazioni importanti almeno nel prossimo biennio. Anche per alzare l’asticella di un solo centimetro, quando si arriva a un certo punto della carriera, serve la massima cura dei dettagli. Perché l’inerzia non spinge più da alleata, come negli anni d’oro. Sarà difficile migliorare il suo tennis spinto sempre al limite, ricco di talento, istinto e improvvisazione, ma condannato alla discontinuità. Uno stile di gioco troppo poco costruito per poterci intervenire a 31 anni. Il Fognini di oggi può comunque porsi l’obiettivo ambizioso di uno Slam da protagonista (perché no, proprio Parigi, dove ha raggiunto i quarti nel 2011) e di esporre in vetrina un trofeo più prezioso di quelli già sollevati. Non gli basteranno le sue forze, chiaro, ma dovrà farsi trovare pronto nella testa e nel fisico per indirizzare dalla sua parte eventuali aiuti della buona sorte. “Flavia è stata brava a New York nel 2015 – ha raccontato a Che tempo che fa – ma si devono completare diverse cose per arrivare a una vittoria del genere. La fortuna c’è sempre secondo me. Ho rosicato perché lo vorrei vincere io al posto suo”. La fortuna c’è sempre. Basta farsi trovare pronti.