In attesa di rivederlo in campo in un comodo secondo turno contro il qualificato spagnolo Jaume Munar (155 ATP), Novak Djokovic tiene banco a Parigi con la lunga intervista rilasciata a L’Equipe. Una chiacchierata in cui il serbo ha messo a nudo diversi aspetti del suo momento più complicato dal punto di vista tecnico e psicologico, individuando nei sorrisi della settimana romana un possibile punto di svolta per rilanciare la propria carriera. Soprattutto svela il percorso non esattamente lineare che ha portato al deciso, quasi un po’ stizzito “voglio giocare ancora, non chiedetemelo più” della prima conferenza stampa parigina. Ne riportiamo, in traduzione, i passaggi più significativi.
Roma è stata per te una settimana importante. A che punto siamo sulla strada per ritrovare il miglior gioco?
È stato il risultato di un duro lavoro e della fiducia che sto ritrovando. Ci sono stati momenti, soprattutto negli ultimi dodici mesi, in cui mi sono scoraggiato per l’infortunio e le sfide che mi attendevano. Ma la vita funziona così, ci sono giorni in cui devi stringere i denti e raccogliere tutte le tue forze per continuare sul tuo cammino, e altri dove tutto è perfetto. Il mio percorso da professionista è stato sempre in crescendo, non avevo mai saltato uno Slam prima degli US Open 2017. Gli ultimi sei mesi dello scorso anno sono stati molto strani per me. Non giocare, guardare le partite in tv, allenarmi e provare dolore. Ma sono situazioni che ti rendono più forte. Dopo tutto quello che ho passato, è stato bello essere ricompensati a Roma. È stato sicuramente il miglior torneo che ho giocato nell’ultimo anno.
A Indian Wells e Miami eri l’ombra di te stesso, come hai superato quel momento?
Perdere al primo turno in tornei dove avevo sempre fatto bene, lo ammetto, per me è stato un trauma. A freddo però poi mi sono reso conto che non ero sufficientemente preparato. Avevo subito un’operazione cinque settimane prima. Sono tornato troppo velocemente. I dottori hanno fatto un buon lavoro, ma nessuno mi aveva consigliato di tornare a Indian Wells. Avrei dovuto aspettare fino a Miami o alla stagione su terra. Ho insistito io perché volevo giocare. Ho saltato gli ultimi sei mesi del 2017 a causa del mio gomito, senza operarmi perché nessuno me l’aveva prescritto. Ho ricominciato a giocare e il dolore è tornato. Una situazione frustrante! Quindi, è arrivato l’intervento chirurgico. Sono stato impaziente di rientrare, ma ora ho appreso la lezione. Quel tipo di operazione non ha riguardato solo il gomito, ma tutto il corpo, il mio gioco, la mia fiducia. Tutto dovrebbe essere automatico. Non hai tempo per riflettere, a questi livelli. Devi essere reattivo e giocare. Ho iniziato a pensare troppo. “Perché sto servendo così? È la racchetta giusta? Sono pronto fisicamente? Devo cambiare il mio team?”. Stavano accadendo tantissime cose e non ero abbastanza lucido dal punto di vista mentale per affrontarle. È diverso ora. Ho iniziato il Roland Garros in una situazione mentale diversa, più positiva. Sono più a mio agio con il mio gioco. So che posso ancora migliorarlo, non è al livello che voglio, ma piano piano ci arriviamo.
Dal tuo titolo conquistato qui nel 2016 a oggi, ti è capitato di perdere le giuste motivazioni?
Un bel po’ di volte mi sono chiesto se fosse giusto andare avanti. E se sì, come? Per quanto? L’equilibrio tra vita familiare e vita professionale? Tu cambi come persona, ti evolvi. Oggi non riesco a concentrarmi solo su me stesso e sulla mia carriera. Ho due figli e sono la parte più importante della mia vita. Senza il minimo dubbio. Il giusto equilibrio l’ho ritrovato negli ultimi due mesi, dopo tanti alti e bassi. Pratico lo sport che amo ai più alti livelli, arrivando da un Paese che ha vissuto due guerre venti anni fa. Non cambierei la mia vita con nessun’altra, ma sto solo cercando di crescere e migliorare.