da Parigi, il Direttore
Se Damir Dzumhur fosse riuscito a servire come si deve quando ha servito per il match sul 6-5 nel quarto set contro Sasha Zverev, la sorpresa del giorno sarebbe stata certamente quella. Ma invece il piccolo bosniaco (1.75 m) di 26 anni appena compiuti – “Sono nato un mese dopo che la guerra era cominciata a Sarajevo, ma per la mia famiglia sono stati 4 anni sotto le granate… per mia fortuna non ricordo quel periodo, i miei genitori sanno quanto fu dura…” – non ha messo dentro neanche una “prima”, ha perso quel servizio a zero, il successivo tie-break a 2, e nel quinto set anche se era stato bravissimo a recuperare un break – da 2-4 a 4-4 e a conquistarsi un matchpoint sul 4-5 servizio Zverev – non ha troppo da rimproverarsi perché lì ha servito molto bene Zverev che poi ha chiuso a suo favore il match per 7-5. Dieci set e sette ore e mezzo per battere Lajovic e Dzumhur, il tedesco ancora non sembra aver assorbito del tutto lo stress che procura uno Slam. Mentre il ragazzo bosniaco che fu allenato a lungo dal nostro Alberto Castellani (“È una gran persona e un gran coach, è in buoni rapporti con tutti i giocatori che ha allenato”), alla fine era certo dispiaciuto per l’occasione mancata ma non se ne lamentava poi troppo, avendo vissuto momenti ben più difficili che lo aiutano sempre a relativizzare.
“Con la guerra tutto era stato distrutto, non c’erano campi da tennis, cominciai ad allenarmi in una scuola dove c’era un minicampo da tennis. Ho dovuto lavorare tantissimo, senza strutture… ma mio papà era un maestro di tennis e se vuoi davvero arrivare ci riesci, puoi arrivare ovunque. Ne sono la dimostrazione. Ho cominciato a giocare a tre o quattro anni, insieme a un altro ragazzo bosniaco, Mirza Basic, che quest’anno era qui al Roland Garros. Abbiamo cominciato insieme… In Bosnia Erzegovina, paese piccolissimo non c’è nessun aiuto per gli atleti, di nessuno sport, le federazioni non possono permetterselo. Per i miei genitori trovare i mezzi finanziari per sostenermi è stata dura, e sono orgoglioso ora se sono dove sono (n.29 del mondo, ma era n.26 all’inizio del Roland Garros)”. Ho voluto riferire quest’intervista che ho fatto in solitario con Dzumhur perché quanto sento i nostri ragazzi che dicono che non ce l’hanno fatta perché non sono stati abbastanza aiutati, beh…farebbero meglio ad ascoltare storie come queste.
Ad ogni modo, scampata la clamorosa eliminazione della testa di serie n.2 refrattaria agli Slam – almeno fino a oggi: pensate che come mi ha segnalato Federico Mariani, il 32 per cento dei 29 match giocati negli Slam da Zverev, si sono conclusi al quinto set! – si registrava la sorprendente sconfitta della bi-campionessa degli Internazionali d’Italia Elina Svitolina per mano della rumena Mihaela Buzarnescu. Per me una sorpresa maggiore che non quella della vittoria di Verdasco su Dimitrov, il bulgaro chiaramente allergico al Roland Garros. Verdasco un anno fa qua aveva eliminato Zverev… Insomma la sorpresa del giorno l’avrebbe fornita – una tantum, evviva! – un tennista italiano. E cioè Marco Cecchinato, n.72 ATP fino a ieri (ma ora può già dirsi n.51). Onestamente nessuno – non so lui e il suo clan – si aspettava che potesse battere Pablo Carreno Busta nel modo in cui lo ha battuto. Cioè rimontando un set e un break di handicap, e finendo da dominatore, addirittura 6-3 6-1 nel terzo e quarto set. Tanto di cappello. Anzi, visto che siamo in Francia, chapeau! Grande dimostrazione di autorevolezza, fiducia, determinazione, personalità. Bravo davvero.
Carreno Busta non sta attraversando un periodo felicissimo, forse è ancora “traumatizzato” dall’inattesa semifinale raggiunta all’ultimo US Open, però non è uno che si batte da solo, come ha detto giustamente il ragazzo palermitano che dal Challenger di Santiago in poi ha infilato una serie di risultati notevolissimi, dalle “quali” superate a Montecarlo (e al primo turno in tabellone ha battuto proprio quel Dzumhur di cui ho appena finito di scrivere), al primo torneo vinto a Budapest, al successo su Fognini a Monaco di Baviera. Con Carreno Busta aveva preso una stesa, 6-4 6-1 a fine febbraio a Rio de Janeiro; un altro si sarebbe forse disunito dopo aver perso il primo set anche stavolta e invece Cecchinato ha dimostrato grande solidità. Come ho accennato nel video l’ultimo italiano a raggiungere gli ottavi qui era stato Andreas Seppi nel 2012. Perse, sciupando un vantaggio di due set, da Djokovic. Cecchinato affronterà il vincente di Goffin-Monfils. A Roma Marco perse proprio con Goffin. Strana partita. Goffin avanti 5-0, poi il belga si sente male, vomita, perde 7-5. Ma si riprende e vince 6-2 6-2. Cecchinato aveva battuto Cuevas al primo turno e l’uruguagio sui campi rossi è un tipo tosto.
Dovreste aver letto le interviste di Cecchinato, e ricordo sempre a tutti che chi riesce a seguire Ubitennis su twitter ha la possibilità di riceverle le dichiarazioni dei protagonisti proprio mentre le fanno. In diretta dalla sala stampa. È un servizio di straordinaria tempestività. Però forse non tutti ricordano perché Cecchinato è stato molto fortunato ad essere uscito da una bruttissima situazione nella quale si era scioccamente cacciato. Quella di un match truccato nel corso di un Challenger disputato in Marocco, a Mohammedia, nell’ottobre 2015. Oggi benevolmente si può dire essere stato un peccato di gioventù, commesso a 22 anni… però è stato piuttosto grave. E l’altro giocatore con cui lui era stato “indagato”, il polacco Majchrzak, per quello stesso match-fixing, ha scontato due anni di squalifica.
Marco era stato condannato da una prima sentenza della procura federale del 18 luglio a 18 mesi e 40.000 euro di sanzione. Una seconda sentenza, di fine ottobre 2016, gli aveva ridotto la squalifica a 12 mesi dimezzandone la sanzione: 20.000 euro. C’erano volute 72 pagine di sentenze, ma come ha scritto lo scrupoloso Riccardo Bisti, furono cancellate da poche righe del presidente Franco Frattini e del relatore del pronunciamento della “cassazione” dello sport. Secondo l’articolo 89 del regolamento di giustizia infatti il Tribunale Federale (organo giudicante di primo grado) deve esprimersi entro 90 giorni dall’inizio dell’azione disciplinare. Con una sentenza pubblicata il 18 luglio, la scadenza era ampiamente superata. Insomma a Marco Cecchinato è andata davvero molto bene. Non è stato assolto… ma per un vizio procedurale la sua leggerezza – la devo chiamare così? – è caduta in una sorta di prescrizione. Se la procura federale italiana si fosse mossa con la stessa prontezza di quella polacca anche lui sarebbe stato squalificato per un certo periodo, 18 mesi, 12, 6, insomma quanti fossero stato decretati nei tempi giusti. Adesso si capisce che Marco non ne voglia più parlare. La sua carriera, e tanti sacrifici, sarebbero stati troncati in modo pesante. Difficile da recuperare. Però, come dice lui, questo adesso fa parte del suo passato, è giusto informarne chi non ne sia al corrente, ma non è neppure il caso di farne una vittima all’infinito.
Oggi quella stessa federtennis che voleva punirlo severamente – e francamente non ho capito bene che tipo di prove avesse acquisito legalmente (ci sono registrazioni sui social non così lampanti) – festeggia il ritorno di un italiano in ottavi al Roland Garros sei anni dopo Seppi. E spera, insieme a noi tutti , di festeggiare anche Fognini, se Fabio riuscirà a battere nel primo match di giornata Kyle Edmund dal quale lo separa un solo posto nel ranking ATP: n.17 il Brit nato in Sud Africa, n.18 il ligure di Arma di Taggia. Se Fognini – che nel 2011 raggiunse i quarti dopo una epica lotta con Montanes ma non li giocò con Djokovic perché “stirato” – ce la facesse sarebbe la prima volta dal 1976 – quando Panatta vinse il torneo e Barazzutti perse in ottavi – che due tennisti italiani avrebbero raggiunto gli ottavi qui a Parigi. Record storici… di cui non dovremmo essere per nulla orgogliosi. Anche se tutti i presidenti federali che si sono succeduti da allora, nessuno escluso, hanno sempre magnificato lo straordinario stato di salute del nostro tennis. Cosa non si dice per giustificare una seduta prolungata su una poltrona. Del resto quel che sta accadendo nel nostro Paese in questi mesi post-elettorali a livello politico la dice lunga sull’onestà intellettuale dei nostri dirigenti…
Siamo talmente affamati di risultati, dopo digiuni così prolungati, che ieri quando Berrettini aveva vinto il secondo set contro Thiem e Cecchinato stava battendo Carreno Busta, che eravamo andati a rivedere l’ultimo tabellone nel quale almeno tre italiani erano giunti in ottavi qui: di fatto non erano tre ma quattro! Ma si parla del 1962! Quell’anno raggiunsero “almeno” gli ottavi Beppe Merlo, che al terzo turno battè il davisman americano Whitney Reed ma perse poi con il francese Darmon, Pietrangeli che fece altrettanto con il sudafricano Abe Segal (poi superò pure Hughes ma nei quarti si arrese a Neale Fraser: Nicola aveva già vinto due Roland Garros), Martin Mulligan che avevamo naturalizzato che sconfisse il futuro “Rain-Man-Referee” di Wimbledon Alan Mills e pure Stolle prima di mancare un matchpoint con Rod Laver (poteva saltare il Grande Slam di quell’anno!), e infine il doppista Sergio Jacobini (abituale partner di Michele Pirro, coppia di riserva di Davis… così relegata da Pietrangeli-Sirola) che ebbe una fortuna sfacciata a passare due turni per ritiro ma poi battè il brasiliano hippie Tomas Koch. In quell’edizione del Roland Garros erano in tabellone anche Cesare Guercilena, Sergio Tacchini e Michele Pirro. Dubito fortemente che alla gran maggioranza dei lettori di Ubitennis questi nomi dicano qualcosa. A me invece dicono eccome. Con molti di loro ho anche giocato. E quasi sempre perso.