Ogni settimana si danno battaglia sui campi di tutto il mondo diverse tipologie di giocatore. Ci sono i grandi colpitori, i regolaristi, gli attaccanti vecchio stile, i tuttocampisti e poi c’è Gilles Simon. Il francese è un tennista assolutamente atipico nel suo essere normale: pochi muscoli e poca fantasia, ma tanto, tantissimo fosforo. Ai più potrà sembrare noioso a causa di quegli scambi a volte estenuanti, giocati nell’attesa del momento giusto per colpire in lungolinea o dell’errore dell’avversario, ma Gilles è uno dei migliori “cervelli da tennis” degli ultimi anni. Uno che conosce il gioco come pochi nel circuito e che può sbagliare un’esecuzione, difficilmente una scelta tattica.
Anche fuori dal campo pondera bene le parole e difficilmente parla a caso. Se si esprime lo fa con cognizione di causa e con sincerità. Come quando, dopo la sua sconfitta contro Kei Nishikori di qualche giorno fa, gli è stato chiesto un parere sulla sparata di Fognini contro l’eccessiva attenzione mediatica dedicata ai giovani membri della cosiddetta “Next Gen”. Fabio, senza peli sulla lingua (e anche a ragion veduta), aveva definito l’invenzione della Next Gen una ‘cazzata‘ e aveva contestato la scelta di programmare i match di Shapovalov sui campi principali, sacrificando campionesse Slam come Muguruza e Kuznetsova.
“Adoro Fabio per questo genere di cose, ma non so perché e in che contesto abbia detto questo. I giovani sono forti. Hanno personalità e stile. Molti di loro mi piacciono un sacco e si comportano generalmente molto bene in campo. È vero che alla stessa età, e io sono in una buona posizione per dirlo perché ci ho giocato e perso lungo tutta la mia carriera, quei quattro (i Fab Four, ndr) fossero ingiocabili. Hanno fatto meglio e stanno ancora giocando molto bene. Non so se effettivamente i media abbiano ingigantito la cosa, ma è un bene che ci siano giovani che giocano bene. Ovviamente non sono Rafa, ma chi lo è?“.
Tra i giovani chi spicca è senz’altro Alexander Zverev, per la prima volta qualificato per i quarti di uno Slam – affronterà Dominic Thiem nella rivincita della finale di Madrid – e ormai a tutti gli effetti un big del tennis mondiale. Un tennis che però per molti è diventato troppo monotono, troppo ripetitivo a causa dell’invasione dei grandi colpitori, favorita dall’evoluzione tecnologica di corde e racchette e dalle superfici sempre più uniformate. In tal senso ad esempio si è espresso Toni Nadal, che propugna l’utilizzo di palline più morbide per ovviare al problema delle scarse variazioni e del proliferare dei grandi battitori. Simon invece non vede la situazione così nera come l’ex allenatore di Rafa Nadal e riafferma con grande convinzione il primato della difesa sull’attacco, dell’intelligenza sulla potenza pura.
“È da un po’ che vediamo ragazzi alti che colpiscono forte e forse è un po’ più monotono. Eppure Rafa ancora vince sulla terra. Alcuni giocatori hanno molte variazioni come Dominic Thiem, che usa più traiettorie, ma c’è una generazione di bombardieri che non hanno voglia di difendere. Io credo che nel tennis sia importante capire cosa è efficace e al giorno d’oggi i giocatori che fanno la differenza sono quelli che sanno difendere. Zverev spicca all’interno della sua generazione perché difende meglio degli altri, non perché colpisce la palla più forte di quanto non facciano loro. Questo genere di giocatori monolitici hanno prodotto molto spesso grandi performance, ma raramente sono arrivati al numero 1 o 2. Quelli che possono vincere i tornei del Grande Slam hanno questa qualcosa in più, cioè l’abilità di difendere e non semplicemente di colpire la palla più forte che possono ogni volta. Questo vale per gli uomini come per le donne“.
Un punto di vista interessante e un discreto attestato di stima per Sascha Zverev. Il tedesco in questi giorni ha dimostrato al mondo che è in grado di vincere anche soffrendo e combattendo con la pressione oltre che con l’avversario al di là della rete. I match vinti in rimonta al quinto set contro Lajovic, Dzumhur e Khachanov ci consegnano uno Zverev ancora titubante negli Slam, ma capace di non farsi sopraffare dalle difficoltà. Specialmente il match contro il “compagno di Next Gen” Karen Khachanov può essere visto come una dimostrazione pratica del discorso di Simon. Dominato per lunghi tratti dal russo, Sascha ha saputo soffrire, incassare i colpi e ribaltare la situazione quando il mirino dell’avversario ha iniziato a perdere di precisione. “Serve un qualcosa in più” dice Gilles. Sicuramente Zverev ce l’ha e nei prossimi anni farà la differenza.
Se non addirittura già adesso. Nella sfida con Thiem la superficie e la lunga distanza sembrano favorire l’austriaco, che pure è sembrato inerme nella recente sfida alla Caja Magica: un test forse fraintendibile in virtù delle condizioni di gioco profondamente diverse a Madrid, che con Parigi condivide solo la terra battuta. Lì il servizio di Zverev era stato impeccabile, come nel corso di tutto il torneo, mentre nelle tre sfide che Zverev ha vinto al quinto set qui al Roland Garros la sua battuta è stata attaccata con successo per ben diciotto volte. Quello che Lajovic, Dzumhur e Khachanov alla fine non hanno saputo prendersi per inesperienza e ingenuità difficilmente sfuggirebbe alla clava inesorabile di Thiem. Serve una prestazione sensibilmente migliore da parte di Zverev, ma il fatto che lo si ritenga possibile nonostante i tentennamenti delle scorse uscite dice tanto, forse tutto, sulle qualità del tedesco.