Marco Cecchinato è uscito tra gli applausi scroscianti del Philippe Chatrier e, dopo tutto un torneo assolutamente e imprevedibilmente straordinario, da tutto il Roland Garros. Applausi meritati. Meritatissimi. Lui ne è giustamente orgoglioso perché dopo aver battuto tre grandi giocatori ha lottato per 2 ore e due set con Dominic Thiem che è uno dei tre migliori tennisti del mondo sulla terra battuta.
Ho scritto sui giornali che ospitano i miei articoli che… chi di tiebreak ferisce di tiebreak perisce. Marco aveva conquistato la semifinale, Djokovic, i francesi e tutti noi, con quello straordinario tiebreak vinto 13-11 sul Lenglen. Venerdì sullo Chatrier ha invece perso 12-10 (soltanto due punti in meno, 22 invece di 24), quello con Thiem. Con Djokovic non aveva sbagliato nulla, con Thiem ha fatto 4 punti straordinari con altrettante imprendibili smorzate, però si è fatto sospingere talmente in fondo ai 7 metri dell’out del campo principale del Roland Garros che non riusciva a spingere a sufficienza con il dritto. Con il rovescio palleggiava con maggior profondità perché riusciva a utilizzare il lift, la palla superava di un metro e mezzo la rete, quindi in qualche modo si difendeva. Con il dritto, magari più ficcante perché più piatto, tirando da così lontano finiva per giocare corto e per subire. Thiem si apriva il campo e non perdonava.
Se a questo si aggiunge che sulle traiettorie “spinnate” dei servizi di Thiem Cecchinato non riusciva ad opporsi, perché la palla gli saliva sopra la spalla, quasi all’altezza della fronte, si capisce perché a Marco sia riuscito un unico break, quello che gli ha permesso di risalire dal 4-2 al 4 pari nel primo set, ma per il resto sui game di battuta dell’austriaco non c’è stata quasi lotta. Tolto il game del break Thiem ha perso 3 punti in 5 turni di servizio nel primo set, 5 punti in 6 turni di servizio nel secondo. E nel terzo, dopo che Thiem è salito sul 5-0 con tre turni di battuta e 3 punti persi, sono arrivati altri tre punti sul 5-1, con Thiem che ha comunque chiuso 6-1.
Insomma il divario è stato forse più ampio di quanto non dica il punteggio, anche se certamente i 3 setpoint avuti da Cecchinato nel tiebreak, dopo gli inattesi regali di Thiem sul 6-3 nel tiebreak, hanno fatto dire a tutti: “Eh beh, ma se Cecchinato vinceva il secondo set… chissà”. È anche giusto pensarla così. Ma è un fatto che Cecchinato avrebbe potuto trasformare quei setpoint solo se Thiem li avesse giocati male, o avesse avuto la sfortuna di fare un doppio fallo quando invece ha preso un pizzico di riga con la seconda palla sul 9-8 per Ceck: era il secondo setpoint per il nostro, ma sul primo Thiem aveva sparato una prima sulla riga, e sul terzo ha fatto lui una smorzata di rovescio assolutamente imprendibile. Quindi è stato bravo, e coraggioso, Thiem. Cecchinato non ha nulla da rimproverarsi. Chi di tiebreak ferisce… Maledetto sia quest’ultimo tiebreak, come benedetti erano stati i due con Djokovic.
Forse, forse e ancora forse, Cecchinato e il suo coach un rimprovero possono farselo: quello di aver sofferto un po’ troppo per tenere tanti game di servizio, tre break subiti e sei nei quali è stato costretto ai vantaggi dovendo fronteggiare nove pallebreak (di cui sei salvate dunque). Un bello stress. Al termine di quei game persi o lottati strenuamente Cecchinato non riusciva ad opporsi, come ho detto sopra, ai game di servizio di Thiem che scorrevano rapidi, facili, quasi senza perdite di punti da parte dell’austriaco. Come detto, ma qui sottolineo, Thiem ha perso una sola volta la battuta, sul 4-3 del primo set, e ha concesso a Cecchinato di arrivare a 40 un’altra sola volta, sul 5-1 al terzo, a match praticamente finito. Cosa avrebbe dunque potuto fare Cecchinato per evitarsi quello stress nei propri game di servizio che hanno avuto conseguenze letali nei game di risposta per lui e dato grande sicurezza e tranquillità a Thiem, il cui unico punto debole è forse una certa fragilità nervosa? La risposta è giocare qualche serve&volley. Perché con Thiem che rispondeva da sei metri lontano dalla riga di fondo, prima di riguadagnarla subito dopo per dominare gli scambi, la risposta di Thiem avrebbe percorso tanti metri, consentendo a Cecchinato di arrivare abbastanza agevolmente sottorete. Thiem non avrebbe più potuto permettersi risposte liftate alte, che si sarebbero trasformate in comode volée per Cecchinato, anche se il siciliano non fosse un grande volleador, come prima cosa. E come seconda cosa dopo anche solo due o tre punti persi per aver risposto troppo da dietro, Thiem si sarebbe sentito costretto a cambiare posizione, ad avanzare di un paio di metri. Non avrebbe più potuto giocare con il pilota automatico. Avrebbe forse cominciato a dover pensare, volta volta, se stare più avanti o più indietro. Tutto fa stress. Tutto può creare problemi psicologici. E, di contro, alcune soluzioni positive avrebbero potuto dare fiducia ed esaltare Cecchinato… e il pubblico che stava per lui, l’underdog, lo sfavorito, il protagonista inatteso della storia più bella ed avvincente di questo Roland Garros.
Cecchinato serviva bene, anche se non con la potenza e velocità oltre i 200 km orari di Thiem, serviva profondo, lungo, sia prime sia seconde. Ma di serve&volley non ne ha fatto neppure uno. E io ho qui fatto i conti soltanto dei game… e non dei punti del tiebreak. Ne ha persi cinque! Il primo, il quinto, il nono, il ventesimo che era il suo terzo setpoint ma l’unico sul servizio (quello nel quale Thiem ha fatto il punto con una smorzata di rovescio giocata da 4 metri dietro la riga di fondo… se Cecchinato fosse andato avanti dietro al servizio gli avrebbe spuntato anche quell’arma), e il ventunesimo quando ha affossato un dritto in rete perché rimasto sorpreso dalla risposta profonda di Thiem. Non poteva certo trasformarsi in uno Stepanek, o in un Karlovic, ma sono abbastanza sicuro – anche non ci sarà mai controprova – che qualche serve&volley in più avrebbe creato problemi invece mai posti a Thiem. E vedrete che Rafa Nadal, che non serve molto meglio di quanto abbia fatto Marco anche se è mancino, lo farà.
Adesso forse viene il difficile. Cecchinato sarà chiamato a confermarsi. E ora che sarà un top-30, troverà avversari arrazzatissimi per batterlo. Per farsi un nome come se lo è fatto lui. Li dovrà affrontare, almeno fino al ritorno sull’amata terra rossa, sull’ostica erba di Eastbourne e di Wimbledon, dove non ha in pratica alcuna esperienza. Vero che l’erba di oggi non è quella dell’epoca Laver, e nemmeno Sampras – sebbene già lì fosse diventato competitivo Agassi che giocava solo da fondocampo – e che i rimbalzi sono alti, ma sull’erba si corre in modo completamente diverso, a passettini, rispetto alla terra rossa su cui ama scivolare il Ceck. Quindi anche se certamente oggi il Ceck lascia Parigi con ben altra fiducia e consapevolezza nei propri mezzi rispetto a quando ci è arrivato una dozzina di giorni fa, il rischio di subire qualche severo contraccolpo c’è tutto. La mia sensazione però è che l’Italia ha finalmente trovato un giocatore vero dopo tanti buoni giocatori cui però mancavano troppe cose, o la personalità, o i colpi decisivi, o il talento, o la capoccia.
È presto per sbilanciarsi. Un gran bel torneo non basta e non può bastare. Anche perché per ora il Cecchinato competitivo con i migliori del mondo lo si è visto solo sulla terra rossa e sulla distanza dei tre set su cinque, dove forse lui che ha più fisico di altri e anche una varietà di schemi e colpi che gli consente di essere aggressivo a tratti, ma anche di contenere (si pensi ai due diversi tipi di rovescio), ha il tempo di poter fare e applicare entrambe le fasi. Però è indubbio che Cecchinato abbia dimostrato di avere a 25 anni – con il solito ritardo nella maturazione che pare affliggere da sempre tutti i tennisti italiani, vedi l’articolo scritto da Ortu e ispirato da un pezzo di Repubblica – quella personalità e quell’ambizione che aveva fatto intravedere già a 16 anni, quando aveva abbandonato gli agi palermitani – e gli ozi con contorno di sole, mare e grandi scorpacciate di pesce – per il “buen retiro” di Caldaro, al freddo e con la neve. E a Caldaro lui e Vagnozzi hanno certo appreso da persone serie quali vivono da quelle parti, Sartori, Seppi, Knapp e tante altre persone lontane dalla romanità di certi ambienti federali, ad affrontare con determinazione, serietà e consapevolezza varie situazioni. Insieme al trainer Umberto Ferrara che fa collante al team. Se riusciranno a restare a lavorare a Bologna, a non farsi coinvolgere da mediocrità piccolo borghesi, mi sento di prevedere un bell’avvenire per questo ragazzo. Ha ampi margini di miglioramento, tutto il team ne è consapevole, lui per primo non si sente arrivato, non credo che si monterà la testa – sarebbe imperdonabile! – e credo che il trio potrà concretizzare quei progressi. Più che un augurio – c’è anche quello – è una fiducia che mi sento di poter riporre in lui. E, come ho scritto in questi giorni, ne ripongo molta anche in Berrettini. Perché è un altro ragazzo serio, beneducato, deciso, ambizioso con juicio. Vivere a Roma non aiuta, tutto è più difficile, ma lui ha la testa sulle spalle.
Infine due parole sul resto, non senza essermi scusato con i lettori per l’assenza di qualche mio editoriale negli ultimi giorni. Improvvisamente – vuoi per l’Italia del calcio fuori dal mondiale, vuoi per gli inattesi exploit di Cecchinato e anche le belle prove di Fognini e Giorgi (che rimpianto ragazzi… nel vedere Stephens in finale! Ma è l’ennesima conferma – per me almeno – che Camila il potenziale per arrivare prima o poi a un grande exploit ce l’avrebbe tutto e il ritardo che ci sta mettendo è dovuto a una serie di difficoltà che la sua vita le ha comunque riservato) di vita – i responsabili dei miei giornali hanno ricominciato a dare spazi inconsueti. Anche 4, 5, 6 articoli in un giorno. Ho detto la mia in diversi video, e mi spiace che ancora tanti lettori si dimostrino un tantino refrattari alla visione di questi video, perché tante volte avrebbero sostituito quello che avrei scritto. Ad esempio ero straconvinto che del Potro fosse stato svantaggiatissimo a dover giocare quarti e semifinali senza un break di un giorno. Nadal ha passeggiato terzo e quarto set con Schwartzman, del Potro ha sudato sette camicie con Cilic. E non avendo il fisico di Nadal ci ha lasciato le penne, dopo aver lottato praticamente solo per un set, il primo nel quale ha mancato 6 palle break
Nei giorni scorsi avevo polemizzato anche con Nadal, ma sui fatti e non sulle profezie. Zverev, per qualche strano motivo (troppa pressione?), negli Slam continua a non giocare con la stessa serenità con la quale gioca negli altri tornei. Il risultato è che ha giocato 15 set quando avrebbero potuto bastargliene 9 o 10, max 11, per battere Lajovic, Dzumhur e Khachanov. Così quando è arrivato a giocare con Thiem era a pezzi. Nadal mi sfida in una sfida che io non ho alcuna intenzione di accettare quando dice che nei prossimi due anni Zverev vincerà uno Slam. È probabile che ci riesca, non deve convincere me, non ho mai detto il contrario. Dico soltanto che la tensione di dover far bene negli Slam finora non ha aiutato Zverev a dare il meglio di sé. E qualunque cosa dica Nadal resto della mia opinione. Il fatto che lui sia il n.1 del mondo non significa che abbia ragione su ogni cosa.