Halep a Parigi: la finale
La finale tra Helep e Stephens è stata, almeno nella prima parte, una partita molto incerta in cui le differenze di gioco sono apparse piuttosto sfumate. Ma poi le sfumature si sono delineate sempre più chiaramente con lo sviluppo della partita.
All’inizio le due giocatrici hanno cercato di mettere alla prova i punti deboli dell’avversaria. O meglio: quelli che alla vigilia si potevano ipotizzare come i punti deboli di ciascuna. In sostanza: Simona ha provato a verificare quanto fosse solido il rovescio di Sloane (sicuramente il colpo meno naturale e più costruito), mentre a sua volta Stephens cercava di indirizzare lo scambio sulla diagonale opposta, dato che dalla parte del dritto aveva un vantaggio in termini di potenza. Senza nemmeno spingere al massimo, visto che prima di tutto si trattava di capire se Simona fosse scesa in campo con il “braccino” (e dunque in vena di regali sotto forma di errori gratuiti) oppure no.
E così nei primi giochi abbiamo assistito ad alcuni scambi abbastanza insoliti, tutti condotti fra il dritto lungolinea di Halep e il rovescio lungolinea di Stephens, con la palla che viaggiava in parallelo al corridoio sempre dalla stessa parte, e rare aperture di gioco.
Ma sono bastati due-tre game per far capire a entrambe che non potevano sperare in scorciatoie, visto che l’avversaria da battere era solida e in palla: Simona non tremava, ma nemmeno Sloane mostrava crepe nel rovescio. Alle protagoniste non restava che prenderne atto: ogni quindici sarebbe stato sudato e combattuto. Certo, Halep avrebbe sempre privilegiato il lato del rovescio di Stephens, ma senza l’insistenza così marcata dell’inizio.
Il confronto ha preso allora un indirizzo più aperto. Da una parte la costanza ad alti livelli di Halep: vicina alla perfezione nei due fondamentali in topspin, ma per natura tecnica poco portata a variazioni sulla palla. Dall’altra il gioco più articolato di Stephens, che modulava di più i colpi (con traiettorie differenti e potenze variabili) con l’obiettivo di trovare condizioni utili su cui accelerare. Per arrivare a ottenere, se non un vincente, quanto meno un errore forzato. E, almeno per il primo set, questa impostazione si è rivelata efficace: non nei vincenti (4 Halep, 5 Stephens) ma negli errori forzati, causati dalla pressione avversaria (6 di Stephens, contro i 17 di Halep, quindi più spesso in difficoltà). Malgrado Sloane avesse sbagliato di più (15 gratuiti a 10) erano proprio gli errori forzati a risultare determinanti.
Per fare meglio di Simona (che non per niente con questo standard di gioco è diventata numero 1 del mondo) Sloane era stata però obbligata a mettere in campo un tennis non solo di qualità molto alta, ma anche senza pause di alcun genere: né fisiche, né tecniche, né mentali. Il tutto si traduceva in limitati errori gratuiti, profondità di palla notevole e abnegazione anche nel gioco di contenimento, visto che nei casi in cui Stephens accorciava, Halep grazie al ritmo costante ma implacabile rovesciava lo scambio a proprio favore, obbligandola alla rincorsa.
In generale una cosa risultava abbastanza evidente: con due tenniste così abili nella copertura del campo, ottenere vincenti era molto difficile; occorreva davvero mettere la palla a un palmo dalle linee (se non sulle linee), oppure avere la pazienza di aspettare una traiettoria più attaccabile. Solo che “aspettare” una palla attaccabile significava molto spesso condurre uno scambio intenso di una decina di colpi prima che arrivasse la minima incertezza dell’avversaria su cui incidere. Uno sforzo fisico non da poco.
La partita si è sviluppata in questo modo per poco meno di un’ora: i 46 minuti del primo set e l’inizio del secondo, fino al 6-3, 2-1 Stephens. Poi qualcosa è cambiato. Al momento di servire per confermare il break di vantaggio (per il teorico 3-1) Sloane ha avuto un passaggio a vuoto, con una serie di gratuiti che sono stati il segnale di un primo cedimento. Le gambe avevano perso la reattività e la velocità del primo set, e contro la Halep di questo Roland Garros scendere sotto un certo standard ha significato trovarsi subito con l’acqua alla gola. Il calo di Sloane è stato repentino: difficile dire se solo per ragioni fisiche o se per un mix di tensione legata allo sforzo sin lì compiuto. Senza la precedente accuratezza negli spostamenti il match è girato: parziale di 8 punti a zero per Halep.
La percezione di una situazione differente è stata immediata: Sloane dava l’impressione di non condurre più lo scambio con un obiettivo, ma sembrava cercasse solo di prolungarlo, senza avere più sbocchi. Il tennis di Simona aveva aperto una breccia.
Se cerchiamo nelle parole delle protagoniste la spiegazione per questa inversione di tendenza troviamo due versioni contrastanti. Ma credo che la ragione stia nel fatto che entrambe, con grande sportività, non hanno voluto sembrare troppo egocentriche, riconoscendo quindi all’avversaria il ruolo decisivo per il cambio di indirizzo del match. Versione di Stephens in conferenza stampa: “La partita è cambiata perché Simona ha semplicemente alzato il livello del suo gioco e iniziato a giocare meglio”.
Versione Halep: “(…) ad un tratto ho sentito che la mia avversaria forse stava iniziando ad essere un pochino stanca e a sbagliare qualche colpo in più”.
Anche se nel tennis i cambiamenti difficilmente sono del tutto unidirezionali, se si riguardano con attenzione il quarto e il quinto game del secondo set è facile riconoscere che la versione più attinente alla realtà è quella di Simona: un primo punto vincente di Halep, ma poi una serie di gratuiti di Stephens (sei, aperti da un doppio fallo, inframmezzati da un bel rovescio lungolinea di Simona).
Da quel momento è emersa tutta la sostanza e la consistenza del tennis di Halep: mentre l’avversaria aveva bisogno di rifiatare, lei dava l’impressione di poter continuare con il proprio livello, senza cedere di un solo millimetro, ancora per molto tempo. Ed è così passata dallo 0-2 al 4-2 con un parziale di 16 punti a 4. Ormai era lei ad avere in mano il destino del match. Calata negli spostamenti e più frequentemente in ritardo sulla palla, Stephens aveva ben poche possibilità di vincere continuando con lo stessa impostazione. Occorreva modificare qualcosa; e allora ha provato a farsi più aggressiva, prendendo più rischi, per accorciare gli scambi.
Un cambiamento che le ha permesso di conquistare due game (dal 2-4 al 4-4), ma che a lungo andare non poteva che rivelarsi inefficace. Infatti nel giro di pochi minuti Simona ha preso le misure alla “nuova” Stephens, ed è apparso chiaro che aveva di fronte la giocatrice perfetta per valorizzare il suo tennis: un’avversaria che “picchia” di più sul ritmo, e che spingendo offre la possibilità di appoggiarsi su una palla più tesa per rilanciare a propria volta.
Davvero l’ideale per Halep. Che infatti ha cominciato a sfoderare rovesci lungolinea di altissima qualità, una soluzione che prima (sulla palla più lavorata della prima parte di incontro) faticava a eseguire. In pratica l’ultimo serio sforzo messo in campo da Sloane per provare a chiudere la partita si è rivelato una mossa disperata. E come spesso accade per le mosse disperate, controproducente. I fatti hanno dimostrato che, diventata meno lucida e precisa, nemmeno il “piano b” poteva rovesciare l’esito del match. Sul piano fisico-tecnico la partita sembrava decisa, l’equilibrio definitivamente spezzato. Rimaneva da scoprire se Simona sarebbe stata in grado di tenere sul piano mentale.
E questa volta non ci sono stati tentennamenti, né incertezze: sullo slancio del successo nel secondo set, Halep ha continuato a macinare tennis, contro un’avversaria che sbagliava di più. Nel terzo set forse il divario era diventato troppo grande per permettere rovesciamenti; o forse la numero 1 del mondo ha davvero compiuto il progresso decisivo sul piano psicologico.
Fatto sta che la sensazione che ho avuto in quel momento è stata questa: mentre Simona giocava per vincere il torneo, Sloane sembrava avere un obiettivo ben più limitato, cioè racimolare un game per sottrarsi al 6-0. E visto che i traguardi erano compatibili fra loro, entrambe li hanno raggiunti: Stephens ha chiuso 1-6, evitando il bagel, mentre Halep si è finalmente aggiudicata la prima finale Slam, al quarto tentativo in carriera, il terzo a Parigi. Dopo tre sconfitte al terzo set, questa volta il parziale decisivo è stato dalla sua, in modo inequivocabile (3-6, 6-4, 6-1).
a pagina 3: Conclusioni