da Londra
Fin dai primi grandi successi, la carriera di Andy Murray è stata una rincorsa per dimostrare di meritare appieno il titolo quarto Fab Four. Dopo i titoli Slam e la posizione di numero uno mondiale, il “Ringo Starr” del quartetto più forte degli ultimi quindici anni di tennis si trova davanti una nuova prova, forse ancor più difficile, da superare per rimanere al passo degli altri tre giganti: il famigerato comeback.
Un problema all’anca destra ha costretto Murray ad andare sotto i ferri in gennaio – non la prima operazione chirurgica della sua carriera, ma di certo la più seria – e quindi a rinviare un rientro dopo l’altro mentre gli altri big, chi meglio e chi peggio, superavano i propri acciacchi e tornavano a vincere. Ogni volta invece l’appuntamento del trentunenne scozzese con il campo veniva spostato più in là. E ognuna di quelle volte la paura che il danno fosse irrecuperabile cresceva, alimentata anche in parte dalla tendenza drammatica della stampa britannica (che lo ha ovviamente braccato più assiduamente del solito nell’arco dell’ultimo anno).
Prima l’Australia, poi la terra, poi un Challenger fatto apposta per lui, poi ancora l’erba olandese. Nel mezzo, blocchi di allenamento interrotti per sparire di nuovo dai radar, come quello di marzo all’academy di Patrick Mouratoglou a Nizza. Alla fine, il ritorno sarà a casa: a poche ore dal sorteggio del tabellone dei Fever-Tree Championships di Londra, confortato dalla mezza dozzina di set giocati in settimana, Murray ha confermato la sua presenza al torneo che ha vinto più di ogni altro in carriera (cinque titoli record). L’assegno di £500.000 per la presenza, come da contratto che lo lega al torneo fino al termine della sua carriera, ha probabilmente influito sulla decisione soltanto in minima parte.
“Ho fatto dei test con il mio fisioterapista la mattina stessa, per essere sicuro di non essermi irrigidito né di aver perso mobilità all’anca” ha detto in un incontro con la stampa dopo l’allenamento al Queen’s Club, nel quale è apparso lontano dalla migliore condizione ma piuttosto motivato. Le domande di cui è stato tempestato erano tutte un po’ simili, miravano a cavargli di bocca una frase dal tono un po’ drammatico buona per un titolo ad effetto. Lui invece ha spiegato con sincerità come sia stato difficile accettare i momenti in cui il corpo non rispondeva all’aumentare dei carichi di lavoro, e come al momento non stia ancora giocando “pain free“, cioè senza alcun dolore. Per il resto, il futuro è un’incognita.
Dovrà essere intelligente nello scegliere quali e quanti tornei giocare, pensando poco al fatto che ripartire, adesso, significa farlo quasi da zero. Il suo ranking, precipitato alla posizione 156, resiste ormai unicamente grazie ai punti dei quarti di finale raggiunti a Wimbledon lo scorso anno, destinati a scadere nel giro di un paio di settimane. Novak Djokovic, interrogato a riguardo, ha portato l’esempio di Del Potro e della sua programmazione delle ultime tre stagioni – meno tornei, tante pause, comunque di nuovo in top 5 – che potrebbe non essere del tutto peregrino. Del resto Roger Federer è appena tornato numero uno dopo aver rinunciato a giocare per l’intera, logorante stagione su terra.
Ha perso un paio di chili – “quando non gioco perdo l’appetito” – ma a parte questo si augura di non tornare in campo come un Murray 2.0. “Ovviamente dovrò trovare un equilibrio tra le richieste del mio corpo e un gioco efficace” ha risposto a chi, giustamente, aveva domandato se l’infortunio gli avrebbe richiesto un cambiamento anche temporaneo nel suo stile di gioco, finché la preoccupazione non smetterà di essere la salute e tornerà ad essere solo la competitività. “Non mi metterò a giocare serve and volley su tutti i punti, perché magari è una strategia buona per faticare di meno ma non è certo quella per farmi vincere tante partite a questo livello“.
Aspettative, zero. “Sarebbe ingenuo aspettarmi il mio miglior tennis dopo tutto questo tempo“. Ma messo di fronte a futuri più tetri e grandi ritorni, prende tempo: vuole prima vedersi in campo. Lo farà martedì contro Nick Kyrgios, in un incontro già molto complicato “ma con l’aspetto positivo che probabilmente non ci saranno molti scambi lunghi“. Se poi i risultati non dovessero arrivare, contro l’aussie come contro avversari meno quotati, non si dispererà troppo. “Gioco per vincere, è ovvio. Ma dopo essere stato fuori per così tanto tempo sento di essere felice d’essere di nuovo qui semplicemente perché amo il tennis. È come quando ho iniziato: non l’ho fatto per vincere Wimbledon, o per diventare numero uno“.
“Ciò che ho ottenuto non mi era mai passato per la testa come possibile, da ragazzo, finché i risultati non hanno iniziato ad arrivare e la pressione intorno a me è montata“. Da ex numero uno, la pressione potrebbe non mancare neppure adesso. “Amerei tornare in cima alla classifica, mi alleno e faccio tutto ciò che devo con quell’obiettivo. Ma se non dovessi riuscirci, non sarebbe comunque la fine del mondo. Voglio soltanto ricominciare a giocare“. Mancano solo poche ore, ormai.