L’ultimo arrivato. Quello inaspettato, quello fortunato. Quello non pronosticato, quello non quotato. Indesiderato, non preventivato. Quello che, solo dopo, verrà amato.
Dammi Tre Parole. Sole, cuore e amore. Dammi il tormentone, quello di una estate. Valeria Rossi. Valeria chi? Ma è nuova? Lo spagnolo sostituisce l’inglese come lingua dominante del pop e i chitarristi rock perdono la guerra del testosterone con i rapper latinos tutto passando attraverso uno smartphone. L’attore che recita se stesso rimedia premi per la miglior recitazione, il Nobel per la letteratura finisce ad un folk singer che è il primo a pensare si siano sbagliati al punto che devono quasi andarlo a prendere a casa per farglielo ritirare.
Qualcuno aspetta che una gara di cavalli la vinca un levriero. Un uomo di colore diventa Presidente degli Stati Uniti e l’Argentina dopo il suo calciatore ha un proprio papa e il Portogallo ancora no. La Grecia vince gli Europei di calcio ma con l’Europa il rapporto continua ad averlo conflittuale. Ulisse è solo il titolo di un programma televisivo. L’inaspettato è dietro l’angolo, ma se là non fosse diverrebbe scontato perdendone l’essenza.
Brasile. Terra di calciatori, spiagge. Ballerine impiumate su carri. Samba. Gente che se le suona danzando: Capoeira. Il mondo il Brasile vuol comprarlo così. Terra di cantanti tristi, di saudade, di piloti di F1 che non muoiono anche dopo morti. Splendide genie di pallavolisti, sport nazionale il calcio. Guga Kuerten nulla di tutto questo. Ragazzo del Sud, di Florianopolis, origine tedesche, riccioli biondi. Pelè è lontano, Baianos e Os Novos Caetanos anche. Guga gioca a tennis. Da l’impressione di poter giocare bene, ma non gli accade spesso. L’8 giugno 1997, Guga alza la coppa dei moschettieri. Inaspettato. Mai nemmeno preventivato.
Una quindicina di giorni prima l’esordio al primo turno degli Open di Francia. Dosedel è asfaltato. I tornei prima di Parigi lo hanno visto giocar talmente male che ha deciso di tornarsene in Brasile a respirare un po’ di aria di casa su quell’isola dalle cento spiagge, con la speranza possa servire a qualcosa. Al secondo batte anche Bjorkman e a quel punto c’è il match proibitivo con Thomas Muster. Ma qualcosa per farsi ricordare comunque l’ha già fatta a cominciare da quel completo giallo/blu riconoscibile forse come solo quelli usati da Borg ed Agassi e come i pigiama estivi fatti indossare al Nadal di inizio carriera. Ma soprattutto quelle gran botte di rovescio sono ad imprimersi nella mente. Kuerten ha un rovescio ad una mano come di rado se ne sono e sarebbero visti. Vario, elegante, sempre incisivo, arma letale specie quello giocato in lungo linea. Oltre il rovescio, gran diritto, grandi gambe, gioco vario, spumeggiante, d’attacco. Guga diverte e si diverte. Tennis Samba imporrebbe dire il luogo comune.
Muster è un cagnaccio su terra, potente, agonisticamente solidissimo, palla pesante, mancino. Tra i i favoriti del torneo che ha vinto nel 1995, due anni prima. Kuerten sta incantando, ma si parla comunque del numero 66 che sfida uno dei giocatori più forti del circuito nonché specialista del rosso. Favorito Muster quindi, e infatti Guga vince in 5 set mostrando, corsa, testa e tanto tennis. E succede che il non pronosticato, l’ultimo arrivato è subito amato. Guga ispira simpatia e il suo dedicare ogni vittoria al fratellino con problemi di handicap rende tutti più buoni. Poi gioca anche un gran tennis che appassiona, emoziona.
Prossimo turno il russo Medvedev, altro giocatore che si esprime molto bene su terra. Altra battaglia in 5 set ed è ancora Guga che vince. Come tra i banchi di scuola il poema epico. Ai quarti di finale c’è Kafelnikov, vincitore dell’edizione precedente. Per quel che si è visto finora il tennis di Kuerten è bastante per fargli battere chiunque e non solo Kafelnikov, ma è sempre del numero 66 che si parla, quindi bisogna andarci piano. O Guga non va piano manco per niente e anche Kafelnikov è domato in 5 set. Quello oramai amato diventa idolatrato. Nasce la KuertenMania, di giallo-blu vestita e la ditta italiana che gli fa le maglie sentitamente ringrazia.
A quel punto tutti aspettano la finale, visto che in semi c’è l’altra sorpresa del torneo, il belga DeWulf. DeWulf non si azzarda nemmeno a mettersi di traverso e viene ‘matato’ in 4 set, che senza una mezz’ora di sonno da pigrizia brasiliana sarebbero stati rapidi 3. Resta la finale contro Sergi Bruguera, gia vincitore di due Parigi. Il favorito d’obbligo è Bruguera, ma in realtà non ci crede nessuno. Quello non quotato è divenuto quello da tutti aspettato. Guga per ringraziare della stima, dell’amore ricevuto si concede la sua migliore interpretazione proprio nella recita conclusiva. Vittoria in tre set e Bruguera trattato come uno dei ragazzini della leva, sommerso da colpi di cannone, spada, fioretto e spargimenti di petali.
Il biondo Guga Kuerten, detto O Guga, di giallo-blu vestito, scarpe blu, racchetta blu, vince Parigi e scrive una delle storie più belle sull’effetto sorpresa del tennis degli ultimi anni. Ne avrebbe vinti altri due di Parigi e forse altri ancora se un infortunio non avesse deciso di mettersi tra lui e i più grandi tennisti di ogni tempo, lasciandogli un ruolo tra quelli che stanno subito sotto ai primi. Guga oggi continua a farsi amare, curando progetti per bambini brasiliani e sostenendo il tennis in quel Paese, cosa per la quale ha rinunciato anche ad importanti partnership come coach di importanti giocatori.
Quello mai quotato, quello che per quote ha rischiato. In un campo secondario di un torneo Challenger in un circolo tra la collina e il mare, si sta allenando l’ultimo vincitore di Wimbledon Juniores. Il mondo del tennis italiano punta molto su di lui, che non fa nulla per non farlo notare in ogni suo gesto. Dall’altra parte della rete, per sparring, è stato scelto un ragazzo palermitano che di quella città ha la vivacità tutta nel braccio destro. Dalla sua racchetta gialla esce un tennis filante, vario, colpi tirati con estrema scioltezza. Il designato messia viene preso a pallate, non di rado scherzato, costretto, ingobbito, a sbuffare, remare, inseguire aggrappato a una presa bimane e a un tennis monocorde, gli estri dell’altro. Pur denotando un caratterino presuntuoso niente male, quello sparring con la racchetta gialla, mai avrebbe immaginato che sarebbe diventato un giorno, per tutti il Ceck.
Una carriera fatta di medi e bassi. L’idea di poter diventare un buon giocatore specie da rosso Marco Cecchinato l’ha sempre data, ma diverse vicende anche extra campo lo han portato un po’ a rallentarne la crescita. Tra Challenger buttati via, qualcuno vinto, ogni tanto Marco fa capolino tra i tornei di prima fascia, con risultati difficili da leggere nel tabellone del secondo turno.
A Budapest finisce per l’ennesima volta eliminato nelle qualificazioni. Viene ripescato come lucky loser. Approfitterà del dono della sorte vincendo il torneo. Budapest non è certo il Roland Garros, ma per chi prima di allora ha vinto solo pochi match nel circuito è Budapest e non Parigi. che val più di una Messa. Marco è in fiducia. A Roma batte Cuevas e perde di poco da Goffin. Con ottime sensazioni, si va a Parigi.
Primo turno: 10-8 al quinto a Copil, di tigna, corsa e diversi vincenti. Al secondo turno il ripescato argentino Trungelliti. Vittoria di carattere, di litigi e gran numero di vincenti. Sedicesmi contro Carreno Busta, seriale tennista boscaiolo spagnolo. Un tennista in fiducia e in buono stato fisico, tecnico e mentale quando non ha nulla da perdere può essere un cliente difficile. Cecchinato è tutto questo e si pensa possa farcela. Marco vince in 4 set, con Carreno Busta che guarda smarrito il suo angolo per chiedere come fare per arginare l’uragano siculo. Prossimo step Goffin, rivincita di Roma.
Intorno a Marco qualcuno inizia a vederci una luce giallo blu e Palermo ricorda sempre più per rumori una città del Sud del Brasile. Goffin infatti battuto e la storia continua. Ostacolo Djokovic, forse il Kafelnikov di quella storia già vista? Djokovic non è più il robot snodato recupera tutto dai nervi d’acciaio di qualche anno prima, ma sempre Djokovic è. Primo set dominato dal Ceck, secondo vinto di nervi. Terzo di riposo e si va al quarto che ha come epilogo il tie-break. Il tie-break ha la sceneggiatura di Stephen King e la regia di Hitchcock.
Uno scappa nel punteggio, l’altro lo raggiunge supera per finir superato. Si arriva alla inevitabile alternanza set poin/march point. Marco non sbaglia nulla, sembra uno che ha giocato mille battaglie simili. A questi livelli è solo la prima. Djoko i punti deve farseli lui che l’altro non ne sbaglia mezza. Ennesimo match point, serve Djoko sull’11-12. Serve e segue a rete, Marco risponde lungo linea di rovescio, non irresistibile, ma il serbo copre la rete come il portiere del Liverpool la porta nella finale di Champion e la vita di Marco Cecchinato diventa un’altra cosa. Primo italiano dopo Barazzutti a vedere le semi a Parigi e nuovo spot vivente del tennis italiano. Quello inaspettato, non pronosticato diventa il più ricercato, il più richiesto, il nuovo faro del tennis italiano.
Semifinale con Thiem. Gioco simile, più vario Cecchinato, più solido e potente l’austriaco con un servizio che può fare la differenza. L’inizio è italiano, ma Thiem non molla e vince 7-5 il primo. Il secondo set è un braccio di ferro. Il Ceck malgrado tre set pont, lo perde al tie-break che tanto amico gli era stato con Djoko. Il terzo è una formalità e Marco lo gioca rivivendo il suo torneo e pensando ai ringraziamenti da fare nelle interviste post-partita. Di interviste ne farà molte, perché Marco è il nuovo nome della lista degli ultimi arrivati. Quelli non quotati che trovi improvvisamente dove non ti aspetti.
L’inaspettato, la sorpresa sono utili, danno brio alla vita. Il certo annoia, l’estemporaneità no e su questa ci si può perdere del tempo. Altrimenti Dio non avrebbe creato i bookmakers.