Wimbledon 2018, il torneo delle eccezioni, delle sorprese e degli imprevisti, si concluderà con una finale del tutto “regolare”: Serena Williams contro Angelique Kerber. Un remake, un confronto che è stato un classico di due anni fa, quando diedero vita a due finali Slam (Australian Open 2016 e Wimbledon 2016). I nomi attesi anche dai bookmaker alla vigilia delle semifinali. Un match che promette di essere tecnicamente interessante, con il tipico scontro di stili, attacco contro difesa.
Ma sulla finale ci sarà tempo di tornare tra qualche ora; qui è tempo di provare ad analizzare le due semifinali. Due partite in cui ha prevalso l’esperienza, e anche la solidità dei fondamentali. Perché a dispetto del diverso modo di impostare le partite, sia Kerber che Serena hanno concluso i loro match con un dato perfettamente identico: appena 7 errori non forzati in tutto il match.
Prima semifinale: Kerber b. Ostapenko 6-2, 6-4
Kerber e Ostapenko non si erano mai incontrate prima, ma lo sviluppo del loro confronto ha seguito il disegno ipotizzato alla vigilia: Ostapenko in spinta costante, alla ricerca dello sfondamento del muro di Kerber, e Angelique che puntava a sbagliare poco, tenere la palla in campo e obbligare Jelena ad andare fuori giri.
Dovessi dire cosa è risultato non proprio scontato, sceglierei l’utilizzo della palla corta da parte di Ostapenko; specie nei primi game ha ottenuto 3-4 punti grazie ai drop-shot (di rovescio, ma anche di dritto). L’uso della smorzata penso sia stato pianificato, probabilmente con l’idea di costruire soluzioni vincenti non solo sulle geometria destra/sinistra (colpi in spinta fino ad allargare il campo per chiudere nella parte sguarnita) ma anche sulla verticale. In questo modo Kerber avrebbe dovuto preoccuparsi di non concedere campo in termini di profondità, evitando di arretrare troppo dalla linea di fondo. Questa soluzione ha funzionato nei primi game, ma poi la precisione esecutiva di Jelena è calata, e troppo spesso le sue palle corte sono risultate imprecise (il più delle volte lunghe), trasformandosi in assist per Kerber.
La partita è stata in equilibrio sino al 3-3 30-0 servizio Ostapenko. Poi Jelena non ha più messo la prima e ha perso tre scambi consecutivi iniziati con la seconda di servizio: break point. Convertito grazie a un tentativo lungo di rovescio lungolinea di Jelena. Da quel momento Kerber ha infilato un parziale di 8-2 sul servizio Ostapenko (due break consecutivi) che ha indirizzato il primo set e probabilmente anche la partita.
In questo passaggio cruciale sono emersi due aspetti significativi del confronto. Primo aspetto: anche se Ostapenko non costruisce un tennis in cui il servizio è davvero fondamentale, ugualmente la battuta è diventata determinante nel match: ma in senso negativo. Seconde di servizio tirate attorno a 70 miglia (e anche meno) sono risultate attaccabili perfino da una giocatrice che non cerca spesso il punto diretto in risposta come Kerber; oppure hanno obbligato Jelena a prendere troppi rischi per riportare a proprio favore l’inerzia dello scambio.
Secondo aspetto: una certa difficoltà a uscire dalla diagonale sinistra. Spesso lo scambio si è cristallizzato fra il rovescio incrociato di Ostapenko e il dritto incrociato di Kerber (ricordo che Angelique è mancina), perché Jelena non si sentiva sicura con il rovescio lungolinea, necessario per cambiare geometrie.
E così mentre con il dritto riusciva a manovrare con più creatività e variazioni, di rovescio spesso finiva per bloccarsi in una situazione per lei poco produttiva. Peccato non avere il numero di dritti e rovesci eseguiti da Ostapenko in tutto il match, ma sono convinto che troveremmo un numero di rovesci molto superiore.
Parlo soprattutto di Ostapenko perché questo è stato il tipico match in cui una giocatrice imposta il gioco, e l’altra reagisce di conseguenza. Ma tutto questo a Kerber andava benissimo, almeno fino a che il punteggio era dalla sua. E lo score è stato dalla sua per tutto il match.
Le cose nel secondo set sono andate sostanzialmente allo stesso modo fino al 6-3, 5-1. Qui Angelique ha servito per chiudere in meno di un’ora, ha raggiunto anche un match point, ma ha finito per subire il primo break dell’incontro. Una situazione già accaduta nei turni precedenti, quando Kerber aveva perso il break di vantaggio conquistato in avvio di secondo set contro Bencic e Kasatkina. Si potrebbero considerare queste mini-rimonte delle avversarie come un segnale di debolezza di Angelique: personalmente aggiungerei che conta anche la reazione di chi è sotto nel punteggio, ormai non ha più nulla da perdere e gioca a braccio sciolto, diventando così più efficace e incisiva. Solo che poi quando si avvicina il momento di vincere il set, la tensione riaffiora, e Kerber torna a capitalizzare sugli errori delle avversarie.
Quest’anno a Wimbledon Kerber si è rivelata la “giustiziera” della classe ’97: ha eliminato in sequenza Osaka, Bencic, Kasatkina e Ostapenko. Un poker di grande talento, che ha provato in modo diverso a mandare in crisi le sue difese senza però alla fine riuscirci. In conferenza stampa Ostapenko ha detto di essere rimasta sorpresa dalla lentezza del Centre Court (sul quale aveva giocato solo una volta in carriera, contro Venus nel 2017), e che questo abbia avvantaggiato Kerber. (“I think the Centre Court is much slower than the other courts I played before. I think she had really many advantages because of that. My shots were not that effective on such a slow court”).
Una dichiarazione che non mi pare abbia trovato riscontro dagli altri tennisti. Forse sono semplicemente cambiate le condizioni climatiche rispetto ai giorni passati. O forse è Kerber a far sembrare tutto più complicato, visto che lei è davvero una “retriever” fantastica. Il saldo complessivo vincenti/errori non forzati spiega in sintesi il match. Ostapenko -6 (30/36), Kerber +3 (10/7), e nei 10 vincenti sono inclusi 3 ace.
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