0 – i top ten ATP e WTA impegnati nella prima settimana post Wimbledon. Erano previsti ben cinque tornei tra circuito maschile (Baastad, Newport e Umago) e femminile (Bucarest e Gstaad). Erano appena tre anche i top 20 (Schwartzman, Carreno Busta e Fognini, iscritti al torneo svedese) in tornei dall’entry list modesta, tutti con la chiusura dell’ammissione al main draw oltre la centesima posizione del ranking. Un problema non nuovo: la settimana successiva agli Slam, in un calendario sempre più fitto, ormai da qualche anno presenta il problema della mancata presenza delle stelle del tennis. Senza di loro, però, si penalizza l’affluenza di pubblico e lo share televisivo, scoraggiando investimenti che nel nostro sport non sono mai modici. Si dice sempre a giusta ragione che si gioca troppo, a discapito della salute dei tennisti e della qualità del loro tennis, ma una vera riforma del calendario, capace di distribuire meglio l’attività dei campioni durante l’anno ha un’urgenza e importanza decisamente maggiori del dibattito sul long set e della stessa riforma della Coppa Davis.
1 – il ritiro a tabellone sorteggiato (di Laslo Djere a Budapest) rivelatosi a posteriori il punto di svolta della carriera di Marco Cecchinato. Il 25enne siciliano aveva ovviamente già iniziato il personale processo di crescita tennistica (era reduce da Montecarlo, dove aveva vinto la prima partita della carriera in un Masters 1000) e presto sarebbe comunque arrivato a raccogliere quel che ha dimostrato pienamente di meritare. A fine aprile, tuttavia, frequentava ancora i Challenger e nel circuito maggiore, dove molto spesso doveva passare per le forche caudine delle quali, solo una volta era giunto ai quarti (Bucarest 2016). Quel ripescaggio in tabellone, chiave d’accesso sino alla vittoria del torneo, è stato un vero e proprio treno in corsa offerto dal destino, che Marco ha saputo in maniera eccellente cogliere per cambiare per sempre la sua carriera, come solo i vincenti sanno fare. In terra magiara è arrivato da numero 92 del mondo, e, dopo il successo di Umago, da oggi sarà 22 ATP. Settanta posizioni scalate e, soprattutto, la bellezza di più di 1300 punti conquistati in meno di tre mesi, lui che era arrivato a Budapest avendo raccolto nell’anno solare circa 600 punti. Una splendida favola sportiva che ha avuto un altro bellissimo capitolo a Umago: in Croazia non ha sconfitto nemmeno un top 70 per conquistare il secondo titolo della carriera, ma vincere un torneo non è mai facile, specie se si è reduci da mesi travolgenti emotivamente e tecnicamente (il passaggio terra-erba-terra, per le sue caratteristiche ed esperienze, decisamente ostico). Dopo aver sofferto (2-6 7-5 7-5) con Vesely, 73 ATP reduce dagli ottavi a Wimbledon, il palermitano non ha più perso un set, eliminando Diere (6-4 6-1), 100 ATP, Trungelliti (6-2 6-1), 188 ATP, e in finale Pella, 72 ATP (6-2 7-6). La fame tennistica e la personalità, oltre alle doti tecniche, fanno pensare che non sia finita qui: Marco, anche ora che i tornei sulla terra sono quasi finiti per questo 2018, saprà mostrarsi capace di sorprendere in positivo anche sul cemento all’aperto.
6 – le partite vinte da Ferrer nei tredici tornei giocati dopo aver raggiunto, nel primo torneo della stagione, la semifinale a Auckland. Un 2018 davvero nero, tennisticamente parlando, per l’ex numero 3 del mondo: nell’anno in cui nella vita privata ha vissuto la grande gioia di divenire padre per la prima volta, sono arrivate sette eliminazioni al primo turno e la vivida impressione di un fisiologico calo psicofisico, dopo aver richiesto tantissimo a corpo e mente lungo quasi vent’anni di carriera professionistica. A parte la gioia di aver regalato nella sua Valencia il punto decisivo per l’accesso alle semifinali di Coppa Davis (contro Kohlshreiber, unico top 50 sconfitto in tutto il 2018), davvero quest’anno c’è poco da ricordare di positivo per David. A Bastad, dove l’anno scorso aveva conquistato l’ultimo dei ventisette titoli vinti in carriera, perdendo in un vero scontro generazionale dal 19enne Casper Ruud, 147 ATP, si è condannato ad un grande salto indietro in classifica: da questo lunedì, dopo più di 13 anni (febbraio 2005) uscirà dalla top 50. L’inevitabile declino di un grande tennista non scalfisce l’ammirazione per quanto di straordinario ha fatto.
7 – le volte nell’ultimo anno solare in cui Guido Pella ha raggiunto almeno i quarti di finale in un torneo ATP. Il mancino argentino è riuscito, come una meticolosa formichina, a cogliere piazzamenti con buona regolarità in tornei su tre superfici diverse: sulla terra di Buenos Aires, Houston, Ginevra e Umago; sul cemento di Chengdu e Doha e sull’erba di Stoccarda. Risultati ottenuti senza particolari picchi di rendimento: nel lasso di tempo considerato ha battuto due volte (Houston e Ginevra) sulla terra Querrey (non propriamente un’impresa), Thiem a Chengdu (le difficoltà dell’austriaco sul cemento sono notorie) e Cilic a Wimbledon (ma la netta impressione è che sia stato il croato a suicidarsi). A Umago è arrivata la terza finale della carriera dopo quella all’ATP 500 di Rio nel marzo 2016 (che gli regalò il best career ranking di 39 ATP, dopo aver battuto in quel torneo Isner e Thiem) e quella di Monaco l’anno scorso. In Istria il 28enne argentino per arrivare in finale ha lottato almeno 100 minuti a partita: nell’ordine in cui li ha affrontati, ha eliminato Daniel (1-6 6-3 6-3), 89 ATP, Bedene (5-7 6-4 6-4) 81 ATP, Lajovic (7-6 7-5) 66 ATP, Haase (6-3 1-6 6-2) 38 ATP, per poi arrendersi al nostro Cecchinato.
8 – le eliminazioni al primo turno rimediate da Albert Ramos-Vinolas in questo 2018 che lo ha visto uscire dalla top 40, nella quale era entrato dopo i quarti nel Roland Garros 2016. La finale raggiunta lo scorso anno al Masters 1000 di Montecarlo lo aveva poi lanciato nella top 20, sino al best career ranking di 17 ATP. I primi sette mesi di stagione sono trascorsi per lui tra poche luci (finale all’ATP 250 di Quito e quarti a San Paolo) e molte ombre (undici sconfitte in ventisette incontri con tennisti non nella top 50). Questa settimana il trentenne spagnolo ha preferito non andare a Bastad, dove nel 2016 ha vinto l’unica delle sei finali giocate nel circuito maggiore, e recarsi invece a Umago, torneo che in tre partecipazioni una sola volta l’aveva visto arrivare ai quarti. Il suo momento nero è però continuato in terra croata: Ramos ha perso in tre set all’esordio contro Lajovic, con il quale conduceva 2-1 i precedenti, avendo vinto entrambi quelli giocati sulla terra.
18 – i mesi trascorsi dall’ultima finale giocata da Alizé Cornet nel circuito maggiore: nel gennaio 2017 giocò nel Premier di Brisbane la sua undicesima finale, cedendo il passo a Karolina Plyskova. A Gstaad la 28enne francese è arrivata dopo una prima parte di 2018 molto deludente, durante la quale solo a Charleston aveva vinto tre partite nello stesso torneo: inoltre, nello stesso periodo erano arrivate sei eliminazioni al primo turno (di cui tre sull’erba, superficie sulla quale non aveva vinto nemmeno un incontro). Risultati che stavano rischiando di far uscire la finalista degli Internazionali d’Italia 2008 dalla top 50, fascia di classifica nella quale da sei anni chiude la stagione. Iscrittasi per la prima volta in carriera all’International di Gstaad, ha sfruttato un’ entry list del tabellone estremamente modesta (lei era l’unica top 50 e la last direct acceptance era Kostova, 183 del ranking) per ottenere – senza perdere un set durante il suo cammino nel torneo – il sesto titolo della carriera. L’ex 11 WTA (nove anni fa) ha sconfitto una sola top 100 nella sua settimana nel torneo svizzero: nell’ordine ha avuto la meglio su Soler Espinosa, 190 WTA, negli ottavi su Perrin, 147 WTA, nei quarti su Stosur 73 WTA, e in semi su Bouchard (7-6 1-0 rit.), 146 WTA. In finale ha poi sconfitto la lussemburghese Minella (6-4 7-6), 226 WTA.
95 – le settimane già trascorse da Fabio Fognini nella top 20 del ranking ATP: quest’anno sono state sinora diciassette, nel 2015 tre, nel 2014 cinquantadue e nel 2013 ventitre. Numeri molto probabilmente destinati ad aumentare da qui a fine anno: il numero uno azzurro doveva difendere soprattutto i 250 punti della vittoria di Gstaad, già rimpiazzati in questi giorni dal brillante successo di Bastad. Restano così in scadenza circa quattrocento punti in questo 2018, sparsi tra la finale di San Pietroburgo e le semifinali di Kitzbuhel e Stoccolma: grossomodo il margine di vantaggio che attualmente lo separa dalla ventunesima posizione. Senza dimenticare che il ligure comunque ha ancora tre mesi e mezzo di attività nei quali trovare preziosi punti. Quando Fabio in questi anni ha sbagliato in campo e deluso per motivi tecnici e comportamentali, non abbiamo lesinato critiche anche molto dure. Altrettanto doveroso, di fronte a questi numeri, è però adesso chiedersi quanti atleti italiani, in un momento attualmente non brillante dello sport azzurro in generale, sono o siano stati nell’ultimo decennio oggettivamente tra i venti più forti della loro categoria per due anni complessivi, soprattutto in specialità iper professionistiche e competitive come il tennis maschile. Crediamo molto pochi e, chi lo è stato, ha avuto celebrazioni e popolarità ben più elevate del ligure, le cui colpe relativamente a errori comportamentali e mancanza di grandi risultati nei tornei più importanti, giustificano solo in parte la disparità di trattamento di cui è stato vittima. Non solo: abbiamo ricordato qualche giorno fa che Fabio dal settembre 2012 è stabilmente nella top 50 e che solo otto giocatori (Federer, Nadal, Djokovic, Cilic, Isner, Gasquet, Raonic e Nishikori), tutti quantomeno riusciti ad arrivare alla top ten, attualmente hanno fatto meglio di lui in tal senso. Un’ulteriore testimonianza, al netto della sempre necessaria dose di fortuna occorrente per evitare gravi infortuni, della professionalità con la quale lavora costantemente il ligure: senza di essa un risultato del genere non sarebbe stato possibile. A Bastad Fabio ha ottenuto il settimo titolo della carriera (tutti sulla terra, cinque di questi vinti in tornei che si giocano luglio) dopo aver sconfitto un top 30 (Gasquet in finale) e un top 40 (Verdasco in semi): un successo che gli consente di avvicinarsi al suo best career ranking (numero 13) e di continuare con fiducia a sognare l’approdo nella top ten.
161 – la classifica di Ramkumar Ramanathan la scorsa settimana. Il ventitreenne numero due indiano (Yuki Bambri è nella top 100), eliminato al primo turno delle quali di Wimbledon da Bolelli, si era già affacciato già due volte sino ai quarti di finale nel circuito maggiore (nel torneo di casa di Chennai nel 2016 e l’anno scorso sulla da lui amata erba ad Antalya, dove sconfisse per la prima volta un top ten, Dominic Thiem). Quest’anno aveva raccolto poco, qualificandosi a un solo torneo ATP (Delray Beach, eliminato poi al primo turno) e raggiungendo una sola finale Challenger (ne ha raccolte quattro in carriera, non vincendone nemmeno una). A Newport, approfittando anche di un buon tabellone (non ha sconfitto nessun top 50), ha raggiunto la prima finale della carriera, eliminando Estrella Burgos (6-4 6-1), 198 ATP, Kudla (4-6 6-3 6-4) 86 ATP, Pospisil (7-5 6-2) , 98 ATP, Smyczek (6-4 7-5) 125 ATP. In finale, contro Steve Johnson, ha lottato, ma ha ceduto in tre set, rimandando l’appuntamento con la vittoria di un torneo ATP da parte di un indiano (l’ultima volta è stata nel 1998, con vincitore Paes, proprio a Newport).
193 – la classifica di Genie Bouchard un mese fa, dopo aver perso al primo turno delle quali del Roland Garros, una posizione nel ranking mai così bassa dall’agosto 2012, quando, ancora 18enne, non si era ancora fatta conoscere nel tennis che conta. La canadese scontava una seconda parte di 2017 davvero deficitaria in termini di risultati – appena due vittorie nei dieci tornei giocati dopo il Major parigino – e un 2018 in cui unici acuti erano stati i quarti raggiunti a Taipei e, soprattutto le due vittorie in Fed Cup su Kateryna Bondarenko, 78 WTA e Lesia Tsurenko, 41 WTA. Sembrava quasi fosse ormai più interessata a entrare nello star system che a recuperare posizioni in classifica: la canadese classe 94 su Instagram ha 1,7 milioni di follower, numeri irragiungibili per le top ten (tra di loro, attualmente l’unica a superare il milione è Wozniacki) e inferiori solo a quelli di Serena (8,8) e Sharapova (3,2). Invece, dopo essere arrivata al secondo turno di Wimbledon e aver superato con umiltà le quali, a Gstaad, a distanza di un anno e mezzo (Sydney 2017) è tornata a giocare una semifinale. Genie vi è riuscita anche grazie a un ottimo tabellone, che l’ha contrapposta a nessuna tennista nella top 100, prima delle semi: ha infatti superato Bacsinszky, 761 WTA, Golubic, 110 WTA, Kudermetova,141 WTA, prima di ritirarsi, dopo aver perso il primo set al tie-break, contro Cornet. Sono però ancora molto lontani i tempi del 2014, anno in cui riuscì per sei volte ad arrivare in semifinale, issandosi sino al quinto posto del ranking. Tuttavia la canadese sta mostrando di essere ancora concentrata sul tennis: scopriremo presto se si rivelerà o meno un fuoco di paglia.