Amanda Anisimova
Domenica scorsa, mentre Danilovic e Potapova si affrontavano nella finale di Mosca, Anisimova era impegnata negli Stati Uniti nelle qualificazioni del torneo di San Josè, dove ha sconfitto al tie break del terzo set un’altra teenager, promessa del tennis russo: Anna Blinkova. Per Anisimova le US Open Series rappresentano un primo passo nel percorso di rientro dopo il brutto infortunio che l’ha fermata in marzo a Miami, proprio quando stava sorprendendo il mondo del tennis grazie a una serie di eccezionali prestazioni. Un infortunio accaduto nel match di primo turno contro Wang Qiang, sul 6-3, 1-6, 3-0:
https://youtu.be/vIpPxp034Dg?t=547
Incredibilmente Amanda aveva deciso di continuare il match, ed era anche riuscita a vincere il terzo set per 6-2, prima di sottoporsi alle verifiche mediche e scoprire la frattura. Al rientro dopo tanti mesi di stop, in questo momento da lei non si può pretendere nulla, anche se sono rimaste nella memoria le prestazioni della primavera americana. Curiosamente, dopo aver guadagnato l’accesso al tabellone principale di San Josè, la sorte le ha offerto come avversaria di primo turno proprio Wang Qiang, contro cui si era infortunata a Miami.
Nata in New Jersey da genitori russi il 31 agosto del 2001, la carriera da junior di Anisimova è stata più simile a quella di Potapova che a quella di Danilovic: anche lei a mio avviso in parte si è giovata di una maturazione fisica precoce, che ha costituito un vantaggio di fronte a molte coetanee. Numero 2 del mondo junior nel 2017, ha scontri diretti favorevoli sia contro Potapova che contro Danilovic (battuta, come detto, proprio in finale a Flushing Meadows 2017). Penso la si possa accostare al prototipo di tennista che basa il proprio gioco su tre solidi fondamentali da fondo. Ma rispetto a Potapova secondo me una differenza significativa esiste, perché si può parlare di “cilindrate” differenti: Amanda possiede servizio, dritto e rovescio più pesanti, direttamente correlati a un fisico da 1,80 più potente e maturo rispetto anche alla attuale Danilovic.
A Indian Wells 2018 Anisimova aveva sconfitto Parmentier, Pavlyuchenkova e Kvitova; sempre per due set a zero. Aveva poi perso da Karolina Pliskova, ma per una sedicenne l’impresa rimaneva comunque eccezionale. Sedicenne perché, essendo nata alla fine di agosto, compirà i diciassette anni fra un mese.
Sul piano stilistico dei suoi colpi-base personalmente apprezzo di più il rovescio: un gesto che unisce potenza e precisione, e che per le avversarie non è semplice da gestire quando è in grado di caricarlo con tutto il peso del corpo. In California la vittoria più importante era stata contro Kvitova, anche se non era la Petra dei giorni migliori. Kvitova non ha mai giocato bene a Indian Wells e nel turno precedente si era salvata in extremis contro Putintseva che sul cemento non è proprio una avversaria irresistibile. Ma perfino al di là del risultato, Anisimova aveva messo in mostra qualità innegabili: una pesantezza di palla fuori dal comune, una solida risposta e anche, qualche volta, la capacità di ricorrere alla palla corta per variare un tennis estremamente concreto.
Le prospettive future della generazione 2001
È possibile disegnare una prospettiva precisa del futuro di Danilovic, Potapova e Anisimova? Innanzitutto devo sottolineare che non ho visto giocare a sufficienza nessuna delle tre per avere certezze profonde. Anzi, posso al massimo provare a restituire impressioni estremamente superficiali; non bastano alcuni match da junior e un torneo a livello WTA (Mosca o Indian Wells che sia) per definire valori in modo sicuro. In linea generale la storia del tennis ci ha insegnato questa regola: le grandi campionesse sono quasi sempre precoci, ma non tutte le giocatrici precoci diventano grandi campionesse.
Ci sono poi due incognite su cui nessuno può sbilanciarsi. Innanzitutto il fattore fisico: ricordo che le prime giocatrici nate nel 1997 in grado di vincere un torneo WTA, Konjuh e Bencic, hanno avuto le stagioni successive compromesse da infortuni, con interventi chirurgici che hanno impedito loro di giocare con la necessaria continuità. Basta questo per frustrare qualsiasi progresso e ritrovarsi in situazioni estremamente difficili da superare.
La seconda incognita è mentale. Sembrerò ripetitivo, perché l’ho scritto diverse volte, ma in questo momento penso sia praticamente impossibile valutare gli aspetti psicologici di una teenager che si affaccia sul circuito, ed è per questa ragione che ho evitato di parlarne sopra.
Non credo cioè che in questo periodo di passaggio tra l’attività junior/ITF e l’attività WTA emergano i veri caratteri delle giocatrici. Questa è la fase delle grandi emozioni, degli slanci e della novità dell’esordio: dell’incoscienza, del coraggio ma anche delle paure improvvise. Tutti sentimenti estremi, quasi imprevedibili, legati alla scoperta del circuito professionistico. Anche i guadagni sono un fattore difficilmente ponderabile per chi affronta i tornei per la prima volta. E potrebbero incidere in senso positivo come negativo.
Ci vorrà tempo per capire la natura profonda di ogni giocatrice, una natura che emerge solo quando si comincia a vivere la routine del circuito, e si affronta il tennis WTA non più come una “esplorazione“, ma come una professione. Quanto incideranno i continui viaggi, affrontati settimana dopo settimana, mese dopo mese? Quanto rimarrà costante la voglia di allenarsi ogni giorno? O il desiderio di migliorarsi? O la capacità di essere concentrata in ogni singolo match, anche nei primi turni, magari affrontati in una grigia mattina cinese di fronte a un pubblico scarso? Oggi è impossibile saperlo, forse non possono saperlo nemmeno loro stesse.
E poi ci sono le emozioni nei grandi match: la capacità di rimanere fredde e lucide sui punti importanti, nei tornei che possono segnare una carriera. Abbiamo visto con Jelena Ostapenko al Roland Garros quanto possa oscillare il rendimento mentale: nel 2017 vincente e spavalda, nel 2018 sopraffatta dalla pressione, irriconoscibile al punto da perdere al primo turno da Kozlova.
Un secondo esempio, ripreso dall’International di Mosca: nelle statistiche di fine torneo Danilovic ha primeggiato per il numero di break point salvati (69,6%): un tipico aspetto strettamente correlato con la forza mentale. D’altra parte in finale sul primo match point Olga ha regalato il punto con un doppio fallo. Momenti di pressione differenti, con esiti differenti: come possiamo dire oggi quale sia la “vera” Danilovic? Ecco perché penso ci vorranno almeno alcune stagioni per comprendere l’autentico carattere di ognuna di loro.
In chiusura mi rimane giusto lo spazio per esprimere una preferenza sul tipo di tennis. Se oggi potessi avere un solo biglietto e dovessi scegliere chi andare a vedere fra Danilovic, Potapova e Anisimova, sceglierei Danilovic.
Intanto perché da sempre, in modo del tutto irrazionale, subisco il fascino dei mancini; poi perché mi sembra la giocatrice più varia e meno prevedibile. Poi perché in lei vedo ancora tratti di immaturità fisica che mi lasciano pensare che ci sia più spazio di crescita e per evoluzioni future. Tutto questo la rende ai miei occhi più difficile da inquadrare, e quindi più interessante.
Poi sceglierei Anisimova, per poter verificare senza la mediazione della TV la sua reale pesantezza di palla, confrontata, per esempio, con giocatrici come Serena e Venus Williams o come Vandeweghe, che dal vivo comunicano in modo inequivocabile la loro potenza, e quel senso di energia superiore. Infine, ma forse anche perché l’ho già vista dal vivo diverse volte, al momento mi incuriosisce meno Potapova; una tennista che mi sembra già quasi “ottimizzata”, per la quale i progressi credo possano passare sopratutto nell’affinamento di alcune caratteristiche meno strutturali.
Vedremo cosa ci dirà il campo in futuro, con l’augurio che tutte riescano a ritagliarsi uno spazio significativo anche fra le adulte. Lo dico senza però pretendere che basti qualche mese per capire il loro destino, perché anche il talento più cristallino ha comunque bisogno del giusto tempo per esprimersi in pieno.